FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 23
luglio/settembre 2011

Vulcani

 

EUGENIO MONTEJO E LA TERRITUDINE

di Alessio Brandolini



Nel giugno 2008 è morto a Caracas (dove era nato nel 1938), Eugenio Montejo, una delle voci fondanti della poesia ispanoamericana nel secondo Novecento. In Italia è stata pubblicata la bella antologia La lenta luce del tropico (2006, Le Lettere1).
L’esordio in poesia di Montejo risale al 1967, con la raccolta Élegos seguita, nel 1972, da Muerte y memoria. Già in questi due lavori sono presenti i temi nodali e ricorrenti che poi qualificheranno i libri più maturi: la natura, gli animali, la terra o, meglio ancora, la territudine, e la nostalgia di un passato meno tecnologico e inquinato (anche a livello mentale ed etico), dove ogni cosa accadeva con un ritmo naturale dando la possibilità all’uomo di “vedere” e di “sentire” la vita che gli vibra intorno.

Temi che sono al centro di Terredad, importante raccolta del 1978, un neologismo (tradotto in italiano con “Territudine”) che esprime l’importanza della presenza dell’uomo nel mondo, il suo imprescindibile legame al nostro pianeta e, congiuntamente, il mistero e la sacralità che avvolge ogni esistenza. Anche nella raccolta successiva, Trópico absoluto, (1982) il titolo ha un valore decisivo perché mette subito in risalto l’ambiente, i luoghi, i “paesaggi tatuati negli occhi”.
Il mondo poetico di Montejo è misurato e integro eppure mitico, una complessa “semplicità” taoista che sa godere delle cose basilari, per via degli scenari ricorrenti, della visione spalancata sull’universo, di tutto ciò che si ascolta, degli odori forti della savana. Tutto sulla base di una forte nostalgia per il legame perduto, il dolore per le cicatrici storiche, i crolli e le rovine intorno all’uomo, ormai inconsapevole di ciò che lo circonda.

I riferimenti poetici di Montejo sono estesi. Dalla poesia greca, con i temi del viaggio e dell’esilio, Itaca e l’omaggio a Kavafis al suo svagato passaggio tra le rovine d’Alessandria d’Egitto, a quella orientale, dove gli artisti trovano la propria fonte nella fusione con la natura. Dai poeti spagnoli del “Secolo d’oro” a Pessoa, ad Antonio Machado e, ovviamente, alla poesia latinoamericana: il venezuelano Vicente Gerbasi, il peruviano César Vallejo, il colombiano Álvaro Mutis (al quale dedica diversi testi), i messicani Ramón López Velarde, Octavio Paz, Jaime Sabines per la poesia amorosa dell’ultimo periodo, e i grandi poeti brasiliani della generazione del 1922 come Carlos Drummond de Andrade. Ma si pensa anche all’Ungaretti di “Girovago” e “I fiumi” (al quale Montejo ha dedicato diversi studi), a Eugenio Montale con quell’osservare “le forme della vita che si sgretola”. Viene in mente anche Saba per il tono della voce pacato e limpido, fasciato di luce lenta ma implacabile che destruttura paesaggi e ricordi, il tempo che “intorno a noi esiste e non esiste”, in una prospettiva circolare tesa a erigere un nuovo mondo coi residui del vecchio. Montejo riconquista materiali poetici e “impasta” poesia non solo con le mani o, meglio, le sue mani sono fatte di alberi, di pietre, di animali, di antenati, anche degli uomini che un giorno abiteranno la Terra. Una sorta di “classicismo radicale” che accettando fino in fondo il ruolo della poesia – quasi inutile ai nostri giorni – la rende ancora più necessaria.

A lungo ho intessuto un dialogo con questi versi, che poi all’improvviso si sono intrecciati ai miei e sono nate le poesie di “Tevere in fiamme (20 asterischi per Eugenio Montejo)” pubblicate sul numero 5 di Fili d’aquilone. Silloge che poi, ampliata, è divenuta il libro Tevere in fiamme (Azimut, 2008).
Ora il dialogo continua attraverso la traduzione del quarto libro di poesia di Eugenio Montejo, Territudine (1978), di cui qui si propone una scelta al lettore italiano. Con la speranza che il libro possa uscire presto anche da noi (si attende la concessione dei diritti da parte degli eredi).

Territudine è un libro che celebra il dono della la vita, e quindi del viaggio come umile e continua scoperta del mondo e di se stessi (“calpestare a piedi nudi i solchi della terra”), teso all’armonia tra il presente e il passato, tra la vita e la morte, tra un granello di polvere e lo spazio. Un libro fedele alla luce del Tropico, alla purezza della neve e delle montagne, custodi della pazienza del mondo. Fedele alla fecondità della Terra che si contrappone all’istinto rapace e distruttivo dell’uomo: per progredire ci siamo staccati dalla natura, dai suoi ritmi, ma il giusto benessere non deve bruciare le nostre radici, impedirci di avvertire il “fragile miracolo di essere vivi”.
Il poeta, che “custodisce il canto della terra”, si identifica con il mondo sia nell’istante concreto che nel fluire del tempo, con l’albero, la pietra, l’animale. Piccola parte d’una complessa e infinita totalità. In questo libro Montejo vive in pieno e rivela la propria territudine, si osserva dall’alto fuso a ogni cosa, calato a picco nel mistero del cosmo.



1Eugenio Montejo, La lenta luce del tropico, Antologia poetica, a cura di Marta Canfield, traduzione e note di Luca Rosi, con un’intervista all’autore di Marina Gasparini Lagrange, Le Lettere / Ediciones del Fóndaco, Collana Latinoamericana, Firenze 2006, pagg. 157, euro 18,00.




DIECI POESIE DI EUGENIO MONTEJO
da Terredad / Territudine


TERREDAD

Estar aquí por años en la tierra,
con la nubes que lleguen, con los pájaros,
suspensos de horas frágiles.
A bordo, casi a la deriva,
más cerca de Saturno, más lejanos,
mientras el sol da vuelta y nos arrastra
y la sangre recorre su profundo universo
más sagrado que todos los astros.

Estar aquí en la tierra: no más lejos
que un árbol, no más inexplicables,
livianos en otoño, henchidos en verano,
con lo que somos o no somos, con la sombra,
la memoria, el deseo, hasta el fin
(si hay un fin) voz a voz,
casa por casa,
sea quien lleve la tierra, si la llevan,
o quien la espere, si la aguardan,
partiendo juntos cada vez el pan
en dos, en tres, en cuatro,
sin olvidar las sobras de la hormiga
que siempre viaja de remotas estrellas
para estar a la hora en nuestra cena
aunque las migas sean amargas.


TERRITUDINE

Stare qui per anni sulla terra,
con le nubi che arrivano, con gli uccelli,
sospesi a fragili ore.
A bordo, quasi alla deriva,
più vicini a Saturno, più lontani,
mentre il sole fa un giro e ci trascina
e il sangue percorre il suo profondo universo
più sacro di tutti gli astri.

Stare qui sulla terra: non più lontani
di un albero, né più incomprensibili,
leggeri d’autunno, gonfi d’estate,
con ciò che siamo o non siamo, con l’ombra,
la memoria, il desiderio, fino alla fine
(se c’è una fine) voce a voce,
casa per casa,
sia chi porta la terra, se la portano,
o chi l’attende, se l’attendono,
dividendo insieme ogni volta il pane
in due, in tre, in quattro,
senza dimenticare gli avanzi per la formica
che sempre viaggia da remote stelle
per essere puntuale all’ora della nostra cena
sebbene le briciole siano amare.


MONTAÑAS

Se doran cuando el sol las recompensa,
tendidas, calmas, sin un gesto
aunque atesoren sobre su regazo
la paciencia del mundo.

Nos ven envejecer aguardando que hablen,
nos van siguiendo al apartarnos
de ciudad en ciudad,
ondulando a través de remotas ventanas.

Yacen colgadas con sus capas en el aire,
las doblamos mirándolas de lejos,
son trajes de bodas antiguos pero intactos,
en las fotografías enmarcan lo que fuimos
y hasta sonríen
siempre tan calmas bajo el sol que las dora,
serenísimas madres.


MONTAGNE

S’indorano quando il sole le ricompensa,
distese, calme, senza un gesto,
nonostante custodiscano nel loro grembo
la pazienza del mondo.

Ci vedono invecchiare attendendo che parlino,
ci seguono quando ci trasferiamo
di città in città,
ondulando attraverso remote finestre.

Giacciono sospese con le loro vette nell’aria,
le superiamo guardandole da lontano,
sono antichi abiti matrimoniali però intatti,
nelle fotografie incorniciano quello che fummo
e finanche sorridono
sempre così calme sotto il sole che le indora,
serenissime madri.


SÓLO LA TIERRA

        a Reynaldo Pérez-Só
Por todos los astros lleva el sueño
pero sólo en la tierra despertamos.

Dormidos flotamos en el éter,
nos arrastran las naves invisibles
hacia mundos remotos
pero sólo en la tierra abren los párpados.

La tierra amada día tras día,
maravillosa, errante,
que trae el sol al hombro de tan lejos
y lo prodiga en nuestras casas.

Siempre seré fiel a la noche
y al fuego de todas sus estrellas
pero miradas desde aquí,
no podría irme, no sé habitar otro paisaje.
Ni con la muerte dejaría
que mis cenizas salga de sus campos.
La tierra es el único planeta
que prefiere los hombres a los ángeles.

Más que el silencio de la tumba
temo la hora de resurrección:
demasiado terrible
es despertar mañana en otra parte.


SOLTANTO LA TERRA

        a Reynaldo Pérez-Só
A tutti gli astri conduce il sogno
ma solo sulla terra ci svegliamo.

Addormentati flottiamo nell’etere,
navi invisibili ci trascinano
verso mondi remoti
ma soltanto sulla terra si aprono le palpebre.

La terra amata giorno dopo giorno,
meravigliosa, errante,
che da così lontano porta il sole sulle spalle
e lo offre alle nostre case.

Sempre sarò fedele alla notte
e al fuoco di tutte le sue stelle
ma viste da qui, non potrei
andarmene: non so abitare in un paesaggio diverso.
Neanche con la morte lascerei
che le mie ceneri escano dai suoi campi.
La terra è l’unico pianeta
che preferisce gli uomini agli angeli.

Più che il silenzio della tomba
temo l’ora della resurrezione:
troppo spaventoso
è svegliarsi domani da un’altra parte.


SOY ESTA VIDA

Soy esta vida y la que queda,
la que vendrá después en otros días,
en otras vueltas de la tierra.

La que he vivido tal como fue escrita
hora tras hora
en el gran libro indescifrable,
la que me anda buscando en una calle,
desde un taxi
y sin haberme visto me recuerda.

Ya no sé cuándo llegará, qué la detiene,
no conozco su rostro, su cuerpo, su mirada,
no sé si llegará de otro país
en un tapiz volante
o de otro continente.

Soy esta vida que he vivido o malvivido
pero más la que aguardo todavía
en las vueltas que la tierra me debe.
La que seré mañana cuando venga
en un amor, una palabra;
la que trato de asir cada segundo
sin saber si está aquí, si es ella que escribe
llevándome la mano.


SONO QUESTA VITA

Sono questa vita e quella che resta,
quella che verrà dopo in altri giorni,
in altri giri della terra.

Quella che ho vissuto così come fu scritta
ora dopo ora
sul grande libro indecifrabile,
quella che mi va cercando per strada,
da un taxi
e senza avermi visto mi ricorda.

Ancora non so quando arriverà, chi la trattiene,
non conosco il suo viso, il suo corpo, il suo sguardo,
non so se arriverà da un altro paese
in un tappeto volante
o da un altro continente.

Sono questa vita che ho vissuto o malvissuto
ma ancor di più quella che deve arrivare
nelle orbite che la terra mi deve.
Quella che sarà domani quando arrivi
in un amore, una parola;
quella che in ogni attimo spero di prendere
senza sapere se è qui, se è lei quella che scrive
guidandomi la mano.


DURACIÓN

Dura menos un hombre que una vela
pero la tierra prefiere su lumbre
para seguir el paso de los astros.
Dura menos que un árbol,
que una piedra;
se anochece ante el viento más leve,
con un soplo se apaga.
Dura menos que un pájaro,
que un pez fuera del agua;
casi no tiene tiempo de nacer;
da unas vueltas al sol y se borra
entre las sombras de las horas
hasta que sus huesos en el polvo
se mezclan con el viento.
Y sin embargo, cuando parte
siempre deja la tierra más clara.


DURATA

Dura meno un uomo che una candela
ma la terra preferisce la sua luce
per seguire il passaggio degli astri.
Dura meno di un albero,
di una pietra;
si abbuia davanti al vento più lieve,
con un soffio si spegne.
Dura meno di un uccello,
di un pesce fuori dall’acqua;
quasi non ha tempo di nascere;
fa un giro intorno al sole e si cancella
tra le ombre delle ore
finché le sue ossa nella polvere
si mescolano con il vento.
E comunque, quando va via
sempre più nitida lascia la terra.


PROVISORIO EPITAFIO

No me despido en una piedra
ilegible a la sombra del musgo,
voy a nacer en otra parte.

Es provisorio mi epitafio,
quedan líneas en blanco
que alguien podrá llenar más tarde;
son cifras de otra vida, no de muerte,
son una partida futura
de nacimiento.

Ignoro adónde voy,
de qué planeta seré huésped,
a partir de cuál forma de materia
– carbon, sílex, titanio–
me explicaré después por aerolitos,
hablaré desde el agua.

No digo adiós en una piedra,
provisoriamente la dejo desnuda.
Lo que nadie imagina es lo más prático.


EPITAFFIO PROVVISORIO

Non mi congedo su una pietra
illeggibile all’ombra del muschio,
vado a nascere da un’altra parte.

Il mio epitaffio è provvisorio,
ci sono righe in bianco
che qualcuno potrà compilare più tardi;
sono cifre di un’altra vita, non di morte,
sono una partenza futura
di nascita.

Ignoro dove vado,
in che pianeta sarò ospitato,
a partire da quale forma di materia
– carbone, selce, titanio –
mi spiegherò dopo, per mezzo di aeroliti,
parlerò dall’acqua.

Non dico addio su una pietra,
provvisoriamente la lascio nuda.
Ciò che nessuno immagina è la cosa più semplice.


QUITA A LA PIEDRA QUE SOY

Quita a la piedra que soy
lo que le sobra,
martilla, esculpe, talla.
Sé que tu mano puede dar la forma exacta,
sé que tu amor puede alcanzarme
más allá del peso de las horas
y la ciega tiranía de los astros.
No soy sólo esta sombra en la tierra
que persigue la muerte,
lee las vocales de mi cuerpo
las palabras que buscan la vida
al fondo, venidas desde lejos, las que estallan
en el sueño,
haz que a tus ojos sea legible, sea nítido,
quiero indagar mi noche estrella por estrella.
Quita a la piedra que soy
su oscuridad,
su pátina terrestre,
frente a frente quiero ver mi deseo.


TOGLI ALLA PIETRA CHE SONO

Togli alla pietra che sono
quello che le è di troppo,
martella, scolpisci, intaglia.
So che la tua mano può dare la giusta forma,
so che il tuo amore può raggiungermi
più in là del peso delle ore
e della cieca tirannia degli astri.
Non sono soltanto quest’ombra sulla terra
che insegue la morte,
legge le vocali del mio corpo
le parole che cercano la vita
nel fondo, venute da lontano, quelle che esplodono
nel sogno,
fa che ai tuoi occhi sia leggibile, sia nitido,
voglio indagare la mia notte stella per stella.
Togli alla pietra che sono
la sua oscurità,
la sua patina terrestre,
fronte a fronte voglio osservare il mio desiderio.


CUALQUIER SOLEDAD

Cualquier soledad, sea la que llegue,
per no la del hombre sin montañas.
Que nuestras voces vuelvan por sus ecos
y los ojos avancen hasta apoyar los párpados,
que los postigos las custodien
y al abrirse las muestren soñando como siempre
aunque nunca nos hablen.

Cuando el horizonte se nos dobla
por el peso de las cosas
y la mirada cae al fondo y nada la alza,
cuando la vida insiste terriblemente llana,
cualquier exilio entre las islas, aun las más yermas
las más frías, cualquier amargura
pero no la del hombre sin montañas.


UNA SOLITUDINE QUALSIASI

Una solitudine qualsiasi, una delle tante,
ma non quella dell’uomo senza montagne.
Che le nostre voci tornino dai loro echi
e gli occhi avanzino fino a calare le palpebre,
che le persiane le custodiscano
e nell’aprirsi le mostrino che sognano come sempre
anche se non ci parlano mai.

Quando l’orizzonte si raddoppia
sotto il peso delle cose
e lo sguardo s’inabissa e niente lo solleva,
quando la vita continua orribilmente piatta,
un qualunque esilio nelle isole, anche le più deserte
le più fredde, una qualsiasi amarezza
però non quella dell’uomo senza montagne.


CREO EN LA VIDA

Creo en la vida bajo forma terrestre,
tangible, vagamente redonda,
menos esférica en sus polos,
por todas partes llena de horizontes.

Creo en las nubes, en sus páginas
nítidamente escritas
y en los árboles, sobre todo al otoño.
(A veces creo que soy un árbol).

Creo en la vida como terredad,
como gracia o desgracia.
Mi mayor deseo fue nacer,
a cada vez aumenta.

Creo en la duda agónica de Dios,
es decir, creo que no creo,
aunque de noche, solo,
interrogo a las piedras,
pero no soy ateo de nada
salvo de la muerte.


CREDO NELLA VITA

Credo nella vita sotto forma terrestre,
tangibile, vagamente rotonda,
meno sferica ai poli,
in ogni luogo piena di orizzonti.

Credo nelle nuvole, nelle loro pagine
nitidamente scritte
e negli alberi, soprattutto d’autunno.
(Talvolta mi sembra d’essere un albero).

Credo nella vita come territudine,
come grazia o disgrazia.
Il mio più grande desiderio fu quello di nascere,
e ogni istante aumenta ancora.

Credo nel dubbio agonico di Dio,
ovvero, credo di non credere,
anche se di notte, da solo,
interrogo le pietre,
ma non sono ateo di nulla
se non della morte.


VUELVE A TUS DIOSES PROFUNDOS

Vuelve a tus dioses profundos;
están intactos,
están adentro con sus llamas esperando;
ningún soplo del tiempo los apaga.
Los silenciosos dioses prácticos
ocultos en la porosidad de las cosas.
Has rodado en el mundo más que ningún guijarro;
perdiste tu nombre, tu ciudad,
asido a visiones fragmentarias;
de tantas horas ¿qué retienes?
La música de ser es disonante
pero la vida continúa
y ciertos acordes prevalecen.
La tierra es redonda por deseo
de tanto gravitar;
la tierra redondeará todas las cosas
cada una a su término.
De tantos viajes por el mar,
de tantas noches al pie de tu lámpara,
sólo estas voces te circundan;
descifra en ellas el eco de tus dioses;
están intactos,
están cruzando mudos con sus ojos de peces
al fondo de tu sangre.


TORNA AI TUOI DÈI PROFONDI

Torna ai tuoi dèi profondi;
sono intatti,
stanno dentro aspettando con le loro fiamme;
nessun soffio del tempo li estingue.
Gli dèi silenziosi e pratici
nascosti nella porosità delle cose.
Hai girato per il mondo più di ogni ciottolo;
hai perduto il nome, la tua città,
abbracciato a frammentarie visioni;
di tante ore: che ti resta?
La musica dell’essere è dissonante
ma la vita continua
e certi suoni prevalgono.
La terra è rotonda per la voglia
di tanto orbitare;
la terra arrotonderà tutte le cose
ciascuna alla sua fine.
Di tanti viaggi per il mare,
di tante notti sotto la tua lampada,
soltanto queste voci ti circondano;
decifra in loro l’eco degli dèi;
sono intatti,
passano in silenzio con i loro occhi di pesce,
in fondo al tuo sangue.



Traduzione dallo spagnolo di Alessio Brandolini


alexbrando@libero.it



Su Eugenio Montejo vedi anche:

sul num. 5
Eugenio Montejo, La lenta luce del tropico
di Antonella Ciabatti

sul num. 11
In ricordo di Eugenio Montejo
di Alessio Brandolini

sul num. 17
La terredad di Eugenio Montejo
di Claudia Ianniciello