FILI D'AQUILONE rivista d'immagini, idee e Poesia |
Numero 5 gennaio/marzo 2007 Alterazioni climatiche |
TEVERE IN FIAMME di Alessio Brandolini |
La poesía cruza la tierra sola, Eugenio Montejo |
nascosti nelle voci suadenti delle foglie quando si staccano dai rami e lente planano sull'asfalto, sui sacchi d'immondizia. Da qui vedo il paese, in alto sulla destra Il fischio vibrante delle canne è spronato Ora mi lascio sfoltire dall'erba
allo spiazzamento della tua lingua priva di salvia e di saliva. Mormorio di voci dalle statue: l'impatto e, subito dopo, lo schianto. L'odore del rosmarino appiccicato addosso dopo aver faticato sulla terra (ancora nostra, lo confermo) il braccio che trema e brucia all'altezza del gomito la gamba destra indolenzita per via del peso. Che ricordo avrò di te e di noi fra qualche estate o un solo lungo autunno? che ne sarà del ghiaccio in fiamme del tuo sguardo?
la paura del fischio d'arrivo, la tarantola del desiderio che morde la carne asciuga la gola, percuote il sesso le tempie. Allora si scende di corsa per passare in mezzo al vortice delle canne. avvolga il recinto: ogni tanto qui s'introduce qualcuno dal tenero piede e semina un odore straniero, di cinghiale ferito. Tocca ogni cosa ma nulla sottrae, né sposta o distrugge gli arnesi da lavoro: decespugliatore vanga falce zappa rastrello.
alla rete di recinzione, entra e apre il malconcio armadio in ferro. Tira fuori le cose, le osserva e respira il silenzio.
marcire dal rimorso né di temere la bocca cucita che sgretola il buio delle parole gli incendi disseminati nell'acqua. Non avere paura della ragnatela del cielo che sostiene Farsi audaci e camminare a naso, in punta di piedi
sottrarmi alle tenebre, all'abisso nel mare chiuso in uno specchio e scalzo andare incontro al figlio con le mani assicurate a un fosso. Se potessi parlarti un giorno Quello non era un sogno
adesso persino il Tevere è in fiamme!
con il tiepido sussurro emanato dal sordo che ascolta il sole la devozione del sarto che a occhi chiusi si cuce le labbra lo scuotimento dell'animale dalle zampe annodate. Sulle spalle le spine delle rose, le schegge degli alberi le pietre ancora calde di case e palazzi divorati dalle bombe. Uccelli della notte mettono il becco nella luna dei nostri occhi Mi ritrovo uno scalpitio di puledri nel petto
e immobile ascolto le cicale che da sempre ci respirano accanto o si nascondono nelle nostre vene. Così resisto ai colpi del tempo, addolorato ma non sconfitto A volte osservo ad occhi chiusi come avrei
per prendere di petto il buio che s'attorciglia alle gambe e alle braccia ci trasforma in statue di carta e non retrocede neanche all'alba sotto i colpi del canto del gallo. Verranno altri custodi a chiudere le porte Da decenni percuoto la tua groppa Il giallo snervato della neve regala il sospetto Quanti di questi giorni dovrò sopportare
stando in ascolto delle stelle da rosicchiare in silenzio delle cicale rinchiuse in bolle d'aria che fanno tanta tenerezza. Le branchie slargate Divido con gli squali di passaggio Ora se parlo qualcuno mi ascolta.
fluisce in modo perfetto, hollywoodiano e blatera dentro gli occhi della tivù e addolcisce le scene di violenza con il se stesso peggiore che altrimenti sfonderebbe il tetto della casa reso più forte dal vortice dei colori. Sulla zattera le fiamme del Tevere cavano allo sguardo i ruderi del foro le sudice glorie della storia, il marmo candido della fontana.
nei viottoli di fango. Il volo degli uccelli nell'occhio della tana.
atavico come tu dici, ma la fontana di Trevi e sulle foglie dei platani disposti a croce non sta scritta la vita. Da lì non scendono gemme dorate ma punte di lance che si conficcano nella carne marcia dei pesci d'acqua dolce e nelle teste dei passanti: li puoi vedere a lungo in ginocchio a raccogliere frammenti, ricomporre con scrupolo il puzzle della memoria, delle emozioni. Infatti lungo il Tevere oggi le auto in coda ardono l'aria Questo stormire d'acqua è il pianto che piove dentro. Essere costretti alla forca
il colore dello sguardo, non il calore materno. Non voglio seppellirmi in fretta anche lo stomaco richiede la sua parte di stelle e animali che gracchiano nel cervello. E' la solita storia, dirai, farsi a pezzi con un'accetta per poi rinascere noce possente nel bianco della neve. Stare qui, immobili davanti al fiume Nutrirsi d'aghi di pino e scaglie di sale che salvano le mappe Alle volte da bambino, dopo il lavoro, giocavi persino a carte.
strappare la coda alle scimmie ammaestrate che danno ordini... Rapito davanti al duomo d'Orvieto per via dei colori, dell'oro. Nervi d'acciaio sfondati dal trapano dei rumori Inoltrarsi con coraggio nella tua morbida carne ed è bello vederti godere
strapazzato dai tubi di scarico delle auto dei bus lunghi una quaresima voluti dal sindaco ecologista. Da un pensiero antico nascosto tra foro d'Augusto e le torri le dighe di calcestruzzo di Tor Bella Monaca, del Prenestino. Buccia d'arancia la basilica di San Pietro
la cupola va in fuga e lesta arriva all'altra sponda latina dove la chiesa cattolica ha indorato regimi di tortura. Colpito proprio in mezzo E non dimentico nulla del giorno
meglio un calcio al basso ventre uno schiaffo esteso a tutto il corpo. Con gli occhi di bue ho imparato la necessità del silenzio parlando ogni giorno a vuoto. Per questo a te, chiusa nel gorgo del lavoro, domando: avremo un residuo di vita (e d'amore) dopo la morte? I disastri sono stelle ignote che svestite
questa follia che mi affibbi mi piace perché ha in sé un robusto senso del sano non è infetta, falsa o inquinata.
fissano a lungo Roma murata dalle auto poi si stringono a sottile, oscena fessura cerniera di rame e d'acciaio, antiscasso punto esclamativo scoppiato in silenzio in combutta con l'odio che ancora perdura. La notte è un foglio bianco ricoperto di solchi profondi Cola a sorpresa il sogno (dopo anni avviliti dall'oblio)
non mi chiederò se dormo o son desto e la notte è solo un residuo di luce gialla o se questa gioia è il nostro umile concerto. Coi baci volevo spogliarti dal dolore e dall'esilio le mie dita legate al tuo corpo erano una grancassa la lingua lo svelto violino che scioglieva ogni dubbio. Senza gloria mi piego per raccogliere Indosso le tue parole che un giorno
quasi senza forza eppure sferza l'attesa, evidenzia gli acciacchi del mondo. Poi chiude il cancello con colpi d'ascia precisi e di buio abbatte gli ulivi e il folto castagno. tanto non sboccia e l'erba indugia nel nero seppia che squarta la luce i tronchi degli alberi sanguinano così scorticati, pieni di nodi e ferite. Per questo poi le rose hanno la bocca ammalata e i denti schiacciano pietre, chiodi, palme, i gradini delle antiche fortezze precolombiane e incollano al ferro delle caviglie il fischio del treno. Alla tempia allora premo la canna dei pensieri: lo sparo si dilata sopra il bianco e sfronda il cielo di Roma. Scava strade segrete dove nascondere la linfa del ricordo, i sussurri dei genitori e dei nonni Tilla e Antonio giunti dalla luce lenta del tropico, su leggere barche di canne e foglie.
né sulla foglia canta la cicala che non ha più voce e poi nel sonno ha smarrito un'ala, forse persino gli occhi. Restano le formiche che all'acqua infetta regalano la resa.
è perso nell'oblio. Sai che l'oro dell'anima sprofonda nel creato e il corpo se ne va dove il freddo sotterra il tepore del forno spento del padre, dell'uva e dell'olio d'oliva cosparso sulla pelle, gli occhi, le fette di pane. Oggi il Tevere è un candido lenzuolo di neve Terre sotto le torri medievali incuneate nel palmo della mano.
sorseggio il mosto con le mani a coppa.
né il verde profumo della savana. Ai tropici fa freddo e a volte cade persino la neve. Sono stato sotto i ponti e ho visto le tenebre le croci, il fiume tagliato in due dall'oceano dei liquami il tatuaggio di nuvole sulla pelle strappata alle lucertole. Crolla addosso la pioggia di settembre
perso al volo, in salita bagna il becco nel nero delle strade nella calma dei buoi che trascinano le foglie dei platani, degli ulivi persino dei banani dove sta scritta la vita. Nel paesaggio saldo e assoluto delle rovine che ci rotolano addosso oggi trovo un canto e ti vengo incontro (se posso, se me lo permetti) negli occhi la luce sfibrata ma tenera di Roma sulle spalle le pietre del fiume. E questa voce che alla tua s'affianca. |
Le pietre del Tevere, di Ambra Laurenzi
"Tevere in fiamme" andrà a far parte della raccolta inedita Il fiume nel mare.
Un grazie
|