FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 46
aprile/giugno 2017

D'acqua o di fuoco

 

EDUARDO CHIRINOS
Rimedi per i malesseri del falco

di Francesco Tarquini



Dopo una prima silloge tradotta da Alessio Brandolini e apparsa sul numero 40 di Fili d’Aquilone, esce, per la omonima casa editrice, il testo completo di Rimedi per i malesseri del falco (Medicinas para quebrantamientos del halcón) del peruviano Eduardo Chirinos. Un’altra silloge, dalla sua ultima raccolta Natura morta con mosche, era stata pubblicata, sempre a cura di Brandolini, su Fili d’Aquilone numero 45.
Il poeta, traduttore ed editore Alessio Brandolini aggiunge così una nuova tappa alla sua ormai lunga attività di diffusione in Italia della poesia latinoamericana. Lo fa pubblicando un libro intensissimo e complesso, dai cui strati sovrapposti affiora, intrecciandosi a un continuo riferirsi ai molteplici, multiformi, difformi aspetti del mondo, una conoscenza profonda e dialogante dell’universale patrimonio poetico, nella sua tradizione come nelle sue forme recenti e attuali.

Nato a Lima nel 1960, autore prolifico, una ventina di libri di poesia, Eduardo Chirinos è scomparso nel 2016 a Missoula, in Montana, presso la cui Università insegnava dal 2000. Questa traduzione italiana esce dopo la sua morte, e vuole dunque essere anche un omaggio alla sua memoria. Anche perché “Los poetas pueden ir y venir – così lo stesso Chirinos secondo il ricordo di un amico –, pero la poesía no debe detenerse”.
Rimedi per i malesseri del falco fu pubblicato in Spagna nel 2014 e successivamente negli Stati Uniti. Il titolo richiama un’opera scritta più di seicento anni prima dal Cancelliere Pero López de Ayala, poeta, scrittore, uomo politico, fatto prigioniero nel 1385 dai portoghesi che difendevano Lisbona dall’assedio spagnolo. Opera in cui l’autore non racconta della triste prigionia ma descrive e celebra gli uccelli e il loro volo, Libro sulla caccia agli uccelli apre lo spazio carcerario al cielo solcato dalle ali e dal canto, come restituendo paradossalmente allo scrittore prigioniero quella libertà che, se della prigionia soltanto avesse scritto, gli sarebbe rimasta preclusa. Il posto d’onore è dato nell’opera di López alle varie razze dei falchi, alle loro abitudini, ai modi di addestrarli alla caccia, e infine, con meticolosa attenzione, ai loro malanni e alle relative cure.

Seicentoventisette anni dopo, scrive Chirinos, “il mio corpo ospitò un inquilino deciso a soppiantarmi, a impadronirsi di ciò che è più intimamente mio, a scombussolare le mie abitudini notturne e a scuotere tenacemente la mia biblioteca”. L’inquilino che mira a sostituirsi all’io del poeta e a buttarne all’aria la biblioteca – non, ovviamente, quella materiale, piuttosto quella che costituisce il suo sistema di letture – è ciò che Susan Sontag in Malattia come metafora definisce come “un tema raro e scandaloso in poesia, una malattia inimmaginabile come oggetto estetico”: il cancro.
Come illustra Brandolini nella prefazione, i libri di Eduardo Chirinos “mai si assomigliano, insoliti e ironici e sempre molto coinvolgenti per via del loro fervido eclettismo, l’entusiasmo che vuole esplorare ogni cosa”: si tratti delle profondità della biologia e della chimica, dell’interesse per gli animali, della musica (quella dei Beatles come quella dell’amato John Cage), dei poeti prediletti, dell’amicizia e del sesso. Così, per ognuno dei suoi libri Eduardo Chirinos “impiega o inventa un registro nuovo, diverso”. Come diverso è appunto il registro di Rimedi, in cui tutti gli ingredienti prediletti del poeta si incontrano in nuova forma su una sponda oscura, dove li aspetta e li manipola l’inquilino sconosciuto.

Ma come López de Ayala non scrisse un libro sul carcere, Rimedi non è un libro sulla malattia. Con il racconto della storia del Cancelliere, Chirinos apre, e con la poesia che dà il titolo al libro, conclude, stringendo un patto. Non a costituire una sorta di diario serve dunque la malattia al poeta, ma piuttosto a dilatare in ogni direzione lo spazio ristretto di una stanza d’ospedale, lasciando che si riempia di tutte le presenze che abitano le sue opere precedenti: voci, immagini, parole, citazioni, evocazioni di animali, osservazioni di elementi naturali, principii scientifici, richiami musicali, insieme a un fiume di ricordi che sfocia qui e ora venendo a popolare le rêveries e i sogni. Ma tutto si opera all’interno di quella sorta di usurpazione dello stesso io del poeta da parte dell’inquilino oscuro, al quale, se a volte pare abbandonarglisi con una forma di passività, egli resiste con tutta la forza della sua volontà letteraria da quel letto in cui giace sentendosi come un viaggiatore senza biglietto su un treno che “perfora la quiete come un ago nella / arteria, come il sangue che circola in un corpo / inerte eppure ancora vivo”.
È dunque di un conflitto che il libro parla. “Ho scritto queste poesie – scrive l’autore nella nota d’apertura – prigioniero di quell’inquilino, sotto l’oscuro colpo d’ala di un corvo mordace ed esigente. O di un falco che reclamava, come me, medicine per curare gli acciacchi e alleviare i propri malesseri”. Poesie in larga parte legate, come afferma lo stesso autore in una lunga intervista, al dominio di un “delirio dell’infermità”: in cui i materiali stessi che confluiscono nel discorso poetico sono destrutturati, mescolati, ricomposti.

Con una certa audacia si potrebbe dire che la stanza d’ospedale si trasforma in una consolle sulla quale il mondo pluriforme che occupa lo spazio mentale dell’autore si compone e si assembla in nuova musica, in un ripetersi di immagini da un testo all’altro, in una ripresa e rilancio del tema in uno stesso testo con l’arditezza di una composizione musicale; e sulla quale si compongono le note di un dialogo intenso con altre voci. Omero, presenza costante nella sua opera, ed Eliot, da cui riprende l’immagine del poeta come di un filamento di platino, e Kafka, del quale fantastica di prendere in prestito bombetta e cappotto grigio per andarsene per le strade di notte, e Valéry, del quale, nel cimitero marino che aveva ispirato al poeta francese la sua poesia più conosciuta, non riesce a rivivere la “sacra impazienza”, né ad emozionarsi per “l’incessante e gloriosa vicinanza del mare”. E poi Vallejo, la Bibbia, Blake, Cisneros, Lezama Lima…. James Bond, il grande ornitologo dal quale Fleming prese il nome per creare il suo 007…. Zagajewski, fratello nel pensare la poesia come luogo in cui si fonde l’esperienza del dolore con quella della bellezza… Ed altri, numerosi, fra i quali fanno la loro apparizione scienziati, chimici, medici le cui opere legge sul suo letto all’ospedale, tutte intrecciandole e sovrapponendole tra loro.

Rimedi appare dunque percorso da una dominante intertestualità, intertestualità come coscienza dell’appartenere di ogni singolo testo poetico a un ordine creativo universale. È proprio per questa coscienza che fra i tanti interlocutori di Chirinos appare il poeta americano Robert Duncan e la sua visione della poesia per la quale ogni testo è riflesso in tutti gli altri come ogni elemento dell’universo con tutti gli altri elementi è in relazione. “Allora ci sono ricordi ovunque, / – scrive Chirinos in Poesia che inizia con un verso di Duncan – ricordai. E uscimmo, come nella prima poesia, / al mare di notte, alla deriva”.
È in questo stesso testo, et pour cause, che si afferma il confronto con il linguaggio, con lo stesso esistere incerto e fluttuante della parola: “Le parole sbucano e cercano una febbre, una / musica dove fluttuare alla deriva, una svista / dove accomodarsi. Le parole non vogliono / ordine, vogliono confusione”. E più avanti “Uno scivolone ove accomodarsi. È così che / funzionano le parole. Non badano alla / gerarchia, l’ordine col quale appaiono i cerchi”. Un esplicito richiamo, confermato dalla successiva evocazione di Beatrice e Virgilio, al poema dantesco, i cui cerchi, o gironi, sono evocati anche in altri testi.

Le parole colano come le gocce della flebo: “Con che lentezza le gocce si staccano / dal tubo, somigliano tanto alle parole”. E insieme alle gocce che scendono e si accumulano nelle vene del poeta, colano parole mai finora udite, “Da un giorno all’altro lievita il vocabolario. / Nuove parole accorrono a noi, crescono / senza barriere, si moltiplicano, adattandosi / senza difficoltà al nostro linguaggio. Si / modificano in una versione finita di noi stessi”. Questo scopre Chirinos in Leggendo Siddharta Mukherjee, il grande oncologo autore di una famosa Biografia del cancro. Le parole si moltiplicano, si adattano, si modificano in una versione finita di noi stessi. Finita: compiuta, definitiva. Come le cellule ammalate, con le quali le parole tendono a identificarsi, in quel movimento di metamorfosi continua che a me sembra una primaria sorgente di senso nell’opera di Chirinos. “La parola è proliferazione. Dove si nasconde / la rosa c’è proliferazione. Dove si tinge il / sangue c’è proliferazione. / Dove pullula la / paura c’è proliferazione”, scrive in Poesia dimenticata sul sedile di un taxi. E alla strofa successiva, “La parola non è proliferazione. La parola / è copia. Un figlio deforme è copia. Un fiocco / di neve è copia”.

Il moltiplicarsi, in quanto “proliferare”, è una parola propria del cancro. È ancora Susan Sontag che scrive “si dice del cancro che ‘si estende’, o ‘prolifera’, o ‘si diffonde’; i tumori vengono estirpati chirurgicamente, e la loro conseguenza più temuta, a parte la morte, è la mutilazione o amputazione di una parte del corpo”. Ma come ricomporre la parola, se il corpo, che la emette, è stato mutilato? Questo interrogativo, formulato dal poeta e critico peruviano Miguel Ildefonso a proposito dei Cuadernos de quimioterapia (Contra la poesía) di Victoria Guerrero, è specularmente proponibile nei confronti di Rimedi per i malesseri del falco. Appunto nel testo Intorno a una poesia di Victoria Guerrero Chirinos prende di petto appassionatamente la parola. La malattia è qui chiamata Buio, con un’invenzione nominativa analoga a quella con cui altrove il corvo che visita e perseguita l’uomo disteso viene chiamato Oblio: “Buio s’impadronisce dei nomi. / Gli inietta / infermità”. Questo avvelenamento dei nomi, delle parole, è la base del conflitto che la poesia combatte con la malattia: per Chirinos si tratta di ritrovarle, le parole, e solo possono essere, come quelle di Victoria Guerrero, “così nude / contro la poesia, così secche contro la carne / dove si schianta il senso. Contro la pagina / dove balbetta ed esplode il silenzio”. E ancora “In quel bidone di rifiuti troverai una parola. / Cercala affamato, cercala impazientemente. / La troverai tra l’ala rotta d’un falco e una / borsa di residui medici. / La troverai nuda / contro la poesia…. / ..… / Il silenzio in penombra che aspetta di esplodere, / inchiodare le sue schegge nella carne che puzza, / nella sua bucata e impoverita sintassi”. Il corpo come parola. Mano a mano che il linguaggio subisce l’ingresso di parole fin qui sconosciute, quelle legate alla malattia, la sintassi del corpo viene sforacchiata e impoverita.

In una stupefacente sintonia con il libro della Guerrero Chirinos smentisce l’assunto della Sontag che il cancro non possa, al contrario dell’antica, letteraria tubercolosi, esser fatto oggetto di estetica. Lo smentisce non nel senso di scrivere sulla malattia, bensì di ascoltarla parlare. Possiamo dire perciò che in Rimedi per i malesseri del falco, come era accaduto nell’opera di Victoria Guerrero, è la malattia stessa a farsi libro, per mezzo del corpo ammalato. Il corpo, così presente, e al quale invano Chirinos cerca di sottrarsi: “Scrivo / sugli animali per scappare dal mio corpo, per / fuggire dall’oblio. Ogni animale mi ricorda / il mio corpo. Ogni animale mi ricorda l’oblio”. I sensi, l’udito anzitutto, e poi la vista, i cui ruoli sono di reciproco supporto, “L’orecchio corregge il paesaggio dell’occhio. /…. / L’occhio corregge ciò che l’udito non capisce”. Ma anche, sovente, si invertono, sicché è possibile ascoltare con gli occhi, vedere con gli orecchi, in una prospettiva di proliferanti sinestesie.

La ricerca delle parole “nude / contro la poesia” reca in sé l’evocazione del “silenzio in penombra che aspetta di esplodere”. Il silenzio, di cui la poesia è lo spazio privilegiato – come silenzio dell’autore, del testo e del lettore –, è un asse tematico che attraversa l’opera di Chirinos fin dalla sua tesi di master, La morada del silencio, appunto, la dimora del silenzio, in cui egli percorreva la tradizione del silenzio in molti autori latinoamericani, fra i quali l’argentina Alejandra Pizarnik. Ma anche nella pittura di Malevitch e nella musica dell’amato John Cage, quel John Cage che afferma “Non ho nulla da dire, lo sto dicendo, e questo è la poesia”. Rude affermazione contro quel “mito della leggibilità dell’arte” che la moderna problematica del linguaggio mette in discussione; e alla quale sembra far eco lo stesso Chirinos nella raccolta Humo de incendios lejanos, che precede di qualche anno Rimedi per i malesseri del falco: “el sueño del lenguaje se desploma”; e “no sé quién me dice cuídate / de los significados no busques la verdad detrás de la belleza / aprende a respirar con la mirada”.
Il sogno del linguaggio viene meno. Non so chi mi dice guardati dai significati non cercare la verità dietro la bellezza impara a respirare con lo sguardo.


Eduardo Chirinos, Rimedi per i malesseri del falco, traduzione di Alessio Brandolini, Edizioni Fili d’Aquilone, 2017, pagg. 145, euro 15.




POESIE DI EDUARDO CHIRINOS
da Rimedi per i malesseri del falco


Poesia che inizia con un verso di Duncan

1

“Allora ci sono ricordi ovunque,
ricordai. E uscimmo, come nella prima poesia,
al mare di notte, alla deriva”. Trentasei
anni, quattro mesi, tre settimane. Tiene
il conto un orologio che non avanza nel tempo,
che si rifiuta di rispettare i calendari. Ogni
giorno gli do corda, ma si fa notte, arriva il
mare e lo zittiscono. Al mattino l’orologio
brilla di nuovo. Segna le ore con parole,
i minuti con sillabe. Se le incontro si
affretta, se le cancello si ferma.

2

Le parole sbucano e cercano una febbre, una
musica dove fluttuare alla deriva, una svista
dove accomodarsi. Le parole non vogliono
ordine, vogliono confusione. La risata non
gli fa male: uno tende a sbagliarsi con la
speranza di prevedere. L’errore è necessario.
Come le variazioni del clima, come l’olfatto
di alcuni animali che mangiano carne morta.

3

Alla fine dei suoi giorni Duncan era certo di
ascoltare gli araldi nello scricchiolio d’un ramo.
Forse ricordava le quattro canzoni che cantava
l’infermiera. Forse soffriva di blocco renale,
di alta pressione arteriosa ma scelse l’immagine
di un ramo. Lo scricchiolio che annuncia e
oscura l’albero.

4

Uno scivolone ove accomodarsi. È così che
funzionano le parole. Non gli importa della
gerarchia, l’ordine col quale appaiono i cerchi.
Il caos è la sua Beatrice, la sorpresa il suo Virgilio.
Conosco quel tremore, somiglia un po’ alla paura.
Somiglia alla felicità priva di speranza.

5

“Allora ci sono ricordi ovunque”. Nelle
parole che non invoco, nella maniera in cui
turbano le mie orecchie, nella mia ostinata
tendenza a sbagliarmi. Trentasei anni, quattro
mesi, tre settimane. Tiene il conto un orologio
che non avanza nel tempo. Che ammutolisce
con l’arrivo della notte, la vicinanza del mare


Poesia dimenticata sul sedile di un taxi

1

La parola è proliferazione. Dove si nasconde
la rosa c’è proliferazione. Dove si tinge il
sangue c’è proliferazione. Dove pullula la
paura c’è proliferazione. Dove si affittano
film muti c’è proliferazione. Dove
pascolano i bisonti c’è proliferazione. Un
bambino gioca con la porta girevole dell’hotel.
Avrà paura della quiete, avrà paura
del riposo. Nel suo gioco c’è proliferazione. Nei
suoi occhi infantili e ciechi c’è proliferazione.

2

La parola non è proliferazione. La parola
è copia. Un figlio deforme è copia. Un fiocco
di neve è copia. Una cialda di gelato
d’inverno è copia. La divisione cellulare
è copia. Qualunque sfida è copia. Un pesce
dorato salta fuori dallo stagno. I bambini
guardano e applaudono. Grato, il pesce ripete
l’acrobazia e i bambini tornano ad applaudire.
Il pesce dorato è copia. Applauso è copia.

3

Che vuol dire dove si colora il sangue? Non
lo so. Delle cellule sono bianche e dovrebbero
essere rosse. Come il colore dei film muti,
come bisonti che pascolano indifferenti lungo il
tuo corpo. Il tassista preferì cambiare argomento.
Parlò di clima, del rialzo dei prezzi,
della falsa onestà dei politici.

4

Un bambino gioca con la porta girevole dell’hotel.
Non gli importa dello sguardo severo dei genitori,
nemmeno dello spettacolo del pesce. A ogni giro
il bambino si trasforma in altri bambini. Lo specchio
facilita la visione. Il bambino moltiplica il bambino
senza paura della luce, dell’esterno innevato e un po’
selvaggio. Dell’interno che lo reclama e lo protegge.

5

“Vivere della nostra vita”. Suona affettato e
suona falso. Mi piacerebbe sapere chi vive
della propria vita. Ci sono cellule che fuggono
a qualsiasi regola, che spezzano il circuito
e si lanciano a fiutare nei vicoli del
corpo. La polizia le insegue con armi
e con cani, ma mai le raggiungono. I
cani sono bene addestrati. Vedo i loro occhi
arrossati dal sangue, la loro bava schiumosa
colare dalla museruola. Il tassista s’è perso.
Chiede perdono. Dice che molto presto
arriveremo, che l’hotel è davvero vicino.




Eduardo Chirinos
è nato a Lima (Perù) il 4 aprile del 1960 ed è morto a Missoula (Stati Uniti) il 17 febbraio del 2016. Poeta, autore di racconti per bambini, saggista e traduttore. Ha studiato linguistica e letteratura nella “Pontificia Universidad Católica del Perú” e nel frattempo, dovendosi pagare gli studi, ha lavorato come insegnante e giornalista culturale. Nel 1986-1987 ha soggiornato in Spagna con una borsa di studio. Dal 1993 al 1997 ha compiuto il dottorato di ricerca presso l’Università di Rutgers (New Jersey). Ha lavorato all’Università di Binghamton e all’Università della Pennsylvania. Nel 2000 si trasferisce con la moglie Jannine Montauban a Missoula, dove ha insegnato Letteratura ispanoamericana e spagnola all’Università del Montana. Ha pubblicato i libri di poesia:

  • 1981 Cuadernos de Horacio Morell (Perù);
  • 1983 Crónicas de un ocioso (Perù – Premio Municiapalidad de Lima);
  • 1985 Archivo de huellas digitales (Perù – Premio Copé 1984);
  • 1987 Rituales del conocimiento y del sueño (Spagna);
  • 1988 El libro de los encuentros (Perù);
  • 1989 Canciones del herrero del arca (Perù);
  • 1991 Recuerda, Cuerpo… (Spagna);
  • 1998 El Equilibrista de Bayard Street (Perù – Premio El Olivo de Oro; Spagna, 2013, Stati Uniti, 2017);
  • 2000 Abecedario del agua (Spagna);
  • 2001 Breve historia de la música (Spagna – Premio Casa de América de Poesía);
  • 2003 Escrito en Missoula (Spagna; Stati Uniti, 2011 – Traduzione di Gary J. Racz);
  • 2006 No tengo ruiseñores en el dedo (Spagna; Perù, 2008);
  • 2009 Humo de incendios lejanos (Messico; Perù, 2010; Stati Uniti, 2012 – Traduzione di Gary J. Racz);
  • 2009 Quatorze formes de mélancolie (Perù; Spagna 2010; Francia, 2012 – Traduzione di Modesta Suárez e Álvaro Ruiz, con l’aggiunta di “Poema de amor con rostro oscuro”);
  • 2010 Mientras el lobo está (Spagna – XII Premio de Poesía Generación del 27; Perù, 2010; Stati Uniti, 2014 – Traduzione di Gary J. Racz);
  • 2012 Anuario mínimo 1960-2010 (Spagna; Messico, 2014; Colombia, 2014);
  • 2013 35 lecciones de biología (y tres crónicas didácticas) (Spagna; Perù, 2015; Messico, 2015; Stati Uniti, 2015 – Traduzione di Gary J. Racz);
  • 2014 Fragmentos para incendiar la Quimera (Spagna, 2014);
  • 2014 Medicinas para quebrantamientos del halcón (Spagna; Perù, 2014; Stati Uniti, 2015 – Traduzione di Gary J. Racz).
  • 2016 Harmonices Mundi (Spagna);
  • 2016 Naturaleza muerta con moscas (Stati Uniti; Spagna).
Ha pubblicato anche diverse antologie, tra le quali si segnalano: Reasons for Writing Poetry (Inghilterra, 2011 – Traduzione di Gary J. Racz); Catálogo de las naves 1978-2012 (Perù, 2012); Coloquio de los animales (Spagna, 2008; Colombia, 2013 e 2015 - edizione ampliata); Fragmentos de una alabanza inconclusa (Colombia, 2014); Incidente con perro en la calle cinco, Antología 1993-2013 (Usa, 2015).

In Italia è uscito nel febbraio 2017, a cura di Alessio Brandolini, Rimedi per i malesseri del falco, Edizioni Fili d’Aquilone.

(foto di Jannine Montauban)


tarquini.francesco@fastwebnet.it