FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 46
aprile/giugno 2017

D'acqua o di fuoco

 

FELIPE GARCÍA QUINTERO, QUALCHE BATTITO

di Alessio Brandolini



Effimero, batte nel tempo un cuore solitario
e l’ombra della terra non basta a nasconderlo.

Lêdo Ivo


Uscito recentemente in Messico Algún latido (Qualche battito) rappresenta per ora l’ultimo lavoro del fecondo e percussivo autore colombiano Felipe García Quintero. Nell’introduzione all’edizione italiana di Terral (2015, Edizioni Fili d’Aquilone) il poeta Samuel Vásquez analizzando la poesia contemporanea colombiana afferma che essa negli ultimi anni si è profondamente rinnovata soprattutto nel linguaggio ma che è “nell’opera di Felipe García Quintero che, per la prima volta, il silenzio è origine, tema e materia della poesia stessa”. E questo fin dagli inizi dei suoi lavori, a partire da libri come Vida de nadie (1999) e Piedra vacía (2001).

Occorre fare il vuoto intorno e dentro di sé per poi riuscire a creare qualcosa di nuovo e non è facile visto il peso della tradizione, dell’inevitabile rimando letterario che il verso all’istante innesca: basta un fruscio d’ali, un suono dopo un colpo sulla pietra per far scattare immagini nella mente, visioni che si mescolano a libri meditati a fondo. Il vuoto, quindi, è la base per costruire il silenzio quel silenzio in cui è possibile percepire “qualche battito”, sebbene effimero, di un cuore solitario, per recuperare i versi posti in esergo al libro del grande poeta brasiliano Lêdo Ivo.

Nel precedente Terral (pubblicato in Uruguay nel 2013) l’autore compie un percorso nel suolo naturale, un viaggio di ritorno alle origini, alle forze spirituali della sua terra e ricostruisce un dialogo autentico con la natura, annota la musica quieta e segreta suonata dalle radici degli alberi, lì dove “la pioggia non irriga solo distanze; altri animali, altre spiagge ospita il silenzio”. In Qualche battito erompe l’ascolto, come un fungo dalla terra fertile e bagnata dalla pioggia, e dai quei battiti (essenziali) assorbiti dall’udito germoglia un nuovo verso: franto, vitale, arricchito dello spazio bianco che si interpone tra una parte e l’altra della poesia, come una luce muta che fa da eco alle parole, al verso tracciato come un percorso.

I testi sono per lo più in prosa poetica, o comunque debordano dalla pagina come un filo arrotolato su se stesso. Il libro è scandito da cinque parti della stessa misura (10 poesie) con la sesta parte che traccia uno scarto dalle precedenti sezioni eppure ne riassume il senso, in soli due testi.
Da pochi battiti si percepisce l’insonnia del mondo e dell’infinito o l’oscurità delle stelle, come se il colpo seguitasse a vibrare nell’aria fino a raggiungere luoghi lontani. Il verso si condensa e talvolta appare come separato dal resto della poesia (v. “Marea”), immagini già piene di una loro storia e poi, tra l’una e l’altra, s’inserisce il mistero di quel che accade altrove (in questo stesso istante), di quel che non è percepito: “Cessato il tremore resta il battito, quest’incerto nel frattempo”.

L’udito si fa olfatto, vista e tatto e dall’altrove si torna al nostro territorio, a perlustrare il mondo che conosciamo, pieno di rumori, ben collegato e connesso, con efficaci reti sociali ma battuto da un vento che “sparge il suo silenzio per strada”. Quel silenzio che accantona le parole e con calma risale la corrente, pur restando immobile: “lo testimonia la pietra che buca il torrente”.
Ogni artista è condannato al proprio tempo, scriveva l’esule Marina Cvetaeva nel 1932, ovvero alla nostra contemporaneità e alla sua ombra che si agita in mezzo ai piedi e questo ugualmente se ci s’infuria, se le pietre mettono le ali volteggiando all’orizzonte e “le stelle spezzano il loro manto scuro”. E in “Massacro” ci sono “cespugli di ossa” e la poesia che chiude il libro è dedicata ai rapiti del suo paese con “la pioggia che scava altre viscere” in attesa che il prigioniero venga liberato dopo il riscatto.

Qualche battito apre un fronte nuovo nella poesia di Felipe García Quintero: una ricerca di qualcosa nascosto nell’aria e nell’alito dell’essere umano, qualcosa di silenzioso e impercettibile ma che ci segue e palpita accanto a noi, e che ogni tanto “batte” un colpo e la voce scioglie l’orizzonte: “Quando mondo osservato continua a nascondersi”. Tale sentire lo si ritrova anche nella struttura poetica dei testi che affermano diverse e differenti cose nel loro rigore stilistico asciutto e necessario, eppure liberissimo e surreale che confrontandosi con la musica e con il vento sfruttano alla perfezione la pausa, il silenzio il vuoto, lo stacco imprevisto e così facendo l’autore abborda il mistero implicito nella parola, nel linguaggio, nella comunicazione.
Il vuoto ha generato il silenzio e poi il silenzio il battito, quel movimento, talvolta quasi impercettibile eppure sufficiente “ad aprire un varco fino al patio, afferrare i limoni e fuggire con calma”.




POESIE DI FELIPE GARCÍA QUINTERO
da Algún latido
(Valparaíso, Messico, 2017)


RELÁMPAGO

De noche, el agua y sus piedras, escucho caer sobre el tejado.

Y mis ojos cerrados se topan con el insomnio del mundo.

No miro nada más que la oscuridad en las estrellas, cuando cubre las llamas del parpadeo.

Otros animales también husmean entre el silencio de la hierba, como yo, la luz profunda de un desolado reino.


FULMINE

Di notte, l’acqua e le sue pietre, ascolto cadere sul tetto.

E i miei occhi chiusi s’imbattono nell’insonnia del mondo.

Non vedo nient’altro che l’oscurità nelle stelle, quando copre le fiamme dello scintillio.

Anche altri animali fiutano il silenzio dell’erba, come me, la luce profonda di un regno desolato.


MAREA

La luna desnuda su sombra bajo el agua.

Un rayo suyo mece la hierba, y su hálito estrecha la mirada.

El viento aviva la ceniza de los ojos.

De la tierra es la voz y el silencio del horizonte.

Cesado el temblor resta el latido, ese incierto mientras tanto.


MAREA

La luna spoglia la sua ombra sott’acqua.

Un suo raggio culla l’erba, e il suo alito occlude lo sguardo.

Il vento ravviva la cenere degli occhi.

Della terra è la voce e il silenzio dell’orizzonte.

Cessato il tremore resta il battito, quest’incerto nel frattempo.


SOBRE LA HIERBA

La voz llega al paraje del mundo en que el viento esparce su silencio sobre el camino.

El cielo se despide como un río para quedarse en las manos que lo buscan, a tientas, por el aire.

¿Allanan mis plegarias tal distancia?

La furia del trueno es latido. Animal de enojo, piedra alada.


SULL’ERBA

La voce giunge nel territorio del mondo in cui il vento sparge il suo silenzio per strada.

Il cielo si congeda come un fiume per restare nelle mani che lo cercano, a tastoni, nell’aria.

Superano le mie preghiere una simile distanza?

Il furore del tuono è battito. Animale infuriato, pietra alata.


MONTAÑA

A sus pies la lenta y suave sombra se agita.

El cristal insondable de la tierra ondea su claridad secreta.

Por el bosque sucedido que procura calma, el viento atisba miradas desde mi puerta cada mañana.

El dedo no señala la piedra vacía del latido dentro, mas la voz encerrada nombra lo lejano con su puño.


MONTAGNA

Si agita ai suoi piedi la dolce e lenta ombra.

L’insondabile vetro della terra ondeggia la sua segreta chiarezza.

Nel bosco sopraggiunto che infonde calma, il vento scorge ogni mattino sguardi dalla mia porta.

Il dito non segnala la pietra vuota del battito interno, ma la voce rinchiusa nomina col suo pugno quel ch’è lontano.


ÁRBOLES

Miro hacia los árboles y pienso en el tiempo anterior a su sombra.

Cuando lo visto es follaje de la voz, por el aire constelado avanza el desvelo del infinito.

También la estrella y la piedra atentas, que aún conversan junto a la hierba.

Todo torrente del viento satisfecho.


ALBERI

Volgo lo sguardo agli alberi e penso al tempo che precede la loro ombra.

Quando ciò che si vede è fogliame della voce, nell’aria costellata avanza l’insonnia dell’infinito.

Anche la stella e la pietra attente, che tuttora conversano accanto all’erba.

Appagato ogni torrente del vento.


LO CAUTIVO

Como lucero que la oscuridad ilumina, al aire parte lo cautivo.

Mas ahora no escucho la voz del polvo en que crepita, invisible, la distancia.

La orilla leve de un susurro se anuncia y la tarde atesora luz de la espera.

Todo cuanto transcurre por la ausencia, aviva el latido de una antigua certeza.

Brota de un follaje ignorado como los pasos por la tierra.


QUEL CH’È IMPRIGIONATO

Come astro illuminato dall’oscurità, nell’aria si libera quel ch’è imprigionato.

Ma ora non ascolto la voce della polvere che crepita, invisibile, la distanza.

La sponda lieve di un sussurro si annuncia e la sera custodisce la luce dell’attesa.

Tutto trascorre nell’assenza, ravviva il battito di un’antica certezza.

Germoglia da un fogliame ignoto come i passi sulla terra.


MAÑANA

Arde el viento. Late el aire.

El día empieza con el andar de la montaña sin paisaje.

La luz toma del cuchillo sus metales.

Sobre las cosas el polvo trenza su cansado brillo.

Como el río de lo visto, en la mirada es otro el cauce.


DOMANI

Arde il vento. Batte l’aria.

Il giorno inizia col movimento della montagna priva di paesaggio.

La luce ricava dal coltello i suoi metalli.

Sulle cose la polvere intreccia il suo stanco splendore.

Come il fiume di ciò che s’è visto, nello sguardo l’alveo è un altro.


PRADERA

Miríadas de caballos; cascos, por el viento, de caballos fugitivos.

Con su marcha la hierba desentierra sus más profundas plegarias, y un nombre pasajero se detiene a la orilla de los labios.

Habitados laberintos del tiempo, ese pesar todo de las nubes en la mano, si yo pastor te recuerdo.


PRATERIA

Miriadi di cavalli; zoccoli, al vento, di cavalli in fuga.

Con la loro marcia l’erba dissotterra le loro più profonde preghiere, e un nome passeggero si ferma sul bordo delle labbra.

Labirinti popolati dal tempo, quell’afflizione propria delle nuvole tra le mani, se io pastore ti rammento.


LUZ

La luz colma la sed del agua.

Y el cielo, sin sombras, sacia la mirada.

Al fin la voz desata el horizonte.

Lo vivo del aire es todo el silencio visto por dentro.

Mas cuando la ceniza llamea, también la lengua arde.

Lo que la tierra calla palpita en la estrella distante.


LUCE

La luce riempie la sete dell’acqua.

E il cielo, senz’ombre, sazia lo sguardo.

Alla fine la voce slega l’orizzonte.

La vita dell’aria è tutto il silenzio visto dall’interno.

Ma quando la cenere fiammeggia, anche la lingua arde.

Quello che la terra tace palpita nella stella distante.


MORADA

En el rostro, cuánto del mundo que no vemos.

Paisajes con flores baldías, callejuelas del alma, y la lluvia donde se dibujan nubes antiguas; animal oscuro la claridad sin rostro de los charcos, sobre la hierba abierta los cuerpos se anudan.

Tanto mundo visto que persiste en ocultarse.


DIMORA

Nel volto, quanto del mondo non vediamo!

Paesaggi con fiori superflui, stradine dell’anima, e la pioggia dove si scorgono nuvole antiche; animale oscuro la chiarezza senza volto delle pozzanghere, sull’erba aperta i corpi si annodano.

Quanto mondo osservato continua a nascondersi.


MASACRE

(de una noticia en la televisión)

Junto a la mano abierta, cerca de la luz indomable del cuerpo, muy quedo adentro en el pecho, la tibia ceniza aún latiendo.

Lentos se abren los párpados de la noche ante los pasos que huyen. Fugitivos matorrales de huesos.

El tañido de las sombras arde con la claridad del bosque.


MASSACRO

(da una notizia televisiva)

Accanto alla mano aperta, vicino alla luce indomabile del corpo, molto sommesso nel petto, la tibia cenerina che ancora batte.

Adagio si aprono le palpebre notturne davanti ai passi che scappano. Fuggitivi cespugli di ossa.

Il suono delle ombre arde con la chiarezza del bosco.


PÁJARO

(a los secuestrados de mi país)

A quien escucha la sangre ajada del silencio tañer su corazón, y la vigilia del río le arrulla el sueño, yo lo imagino anidar sobre el hierro inmarcesible de la selva, al picotear el óxido vegetal de sus huesos.

Porque canta a lo lejos y vuela adentro, cautivo del cielo, yo lo imagino jugar con el aire detenido que sostiene la mirada solitaria, embriagarse con el vino crudo del crepúsculo, donde el horizonte, a tajos, se derrumba.

Un puñado de tierra se amontona en los ojos cada mañana, si la niebla voraz crece con el día cercado por el aliento. Y la espera, como savia vive en lo profundo, siempre a ciegas, mientras la hierba pisada brota nueva de la última plegaria.

Es cuando la lluvia se acalla y socava otras entrañas.


UCCELLO

(ai rapiti del mio paese)

A chi ascolta il sangue sciupato dal silenzio suonare il loro cuore, e la veglia del fiume gli culla il sonno, io l’immagino annidare sul ferro immarcescibile della selva, beccando l’ossido vegetale delle sue ossa.

Perché canta in lontananza e vola dentro, prigioniero del cielo, io l’immagino giocare con l’aria accurata che sostiene lo sguardo solitario, ubriacarsi col vino grezzo del crepuscolo, dove l’orizzonte, a tagli, precipita.

Un pugno di terra si ammucchia ogni mattina negli occhi, se la nebbia vorace cresce col giorno circondato dall’alito. E l’attesa, come linfa vive nel profondo, sempre alla cieca, mentre l’erba calpestata germoglia di nuovo dall’ultima preghiera.

È quando la pioggia tace e scava altre viscere.


Traduzione dallo spagnolo di Alessio Brandolini




Felipe García Quintero
è nato nel 1973 a Bolívar (dipartimento del Cauca), in Colombia. Vive a Popayán dove insegna al Dipartimento di Comunicazione Sociale dell’Università del Cauca. È autore del libro di viaggio ambientato in Messico Diario sucio e di quelli di poesia: Vida de nadie (Spagna 1999; pubblicato anche in francese nel 2004), Piedra vacía (Ecuador 2001; Messico 2012; Costa Rica 2013), La herida del comienzo (Spagna 2005), Mirar el aire (Colombia 2009; Bolivia 2015), Siega (Colombia 2011) e Terral (Uruguay 2013).
Ha pubblicato le antologie poetiche Honduras de paso (Venezuela 2007), Horizonte de perros (Colombia 2005; Bolivia 2011), El pastor nocturno (Colombia 2012; Repubblica Dominicana 2012) e Tarjo (Spagna 2013).
Suoi testi sono stati inseriti in antologie di poesia colombiana e latinoamericana e tradotti in diverse lingue. Ha vinto premi di poesia in Spagna, in Colombia e in Cile il Premio “Pablo Neruda” 2000. Ha pubblicato anche numerosi libri di critica letteraria.
In Italia è stato pubblicato il libro di poesia Terral (2015, a cura di Alessio Brandolini, Edizioni Fili d’Aquilone).

(foto di Miguel Varona)

 


alexbrando@libero.it