FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 36
ottobre/dicembre 2014

Mare

 

LE “VITE DI SCARTO” NELLA POESIA
DI DONIZETE GALVÃO

di Vera Lúcia de Oliveira



Il 2014 sarà ricordato nella letteratura brasiliana come l’anno della perdita di alcuni fra i suoi esponenti più importanti, come João Ubaldo Ribeiro (1941-2014), Ariano Suassuna (1927-2014), Rubens Alves (1933-2014), oltre ai poeti Donizete Galvão (1955-2014), Ivan Junqueira (1934-2014) e Manoel de Barros (1916-2014). È come se improvvisamente il mondo fosse diventato troppo pesante per le spalle fragili di chi cammina portando con sé il peso di un tempo arido di sogni e bellezza. Siamo tutti più poveri, poiché di autori di questo calibro non ne nascono tanti in ogni letteratura del mondo.

Sulla poesia di Ivan Junqueira e Manoel de Barros, vogliamo tornare nei prossimi numeri della nostra rivista. Su quella di Donizete Galvão, ci siamo soffermati nel numero 4 di ottobre/dicembre 2006. Riproponiamola ora, passati alcuni mesi dalla perdita di questo intellettuale che era anche un amico carissimo, con il quale ho mantenuto negli anni un rapporto stretto e quasi quotidiano, alimentato da lettere, messaggi, scambi di libri e testi inediti, ma anche da riflessioni e notizie di vario genere che egli pubblicava sulla sua pagina di facebook. Tale pagina, che era diventata un luogo di incontro per tanti intellettuali, è stata mantenuta per volontà dei familiari e oggi funziona come una sorta di murale dove possiamo continuare a pubblicare le nostre riflessioni e a dialogare con la sua poesia, come quando era vivo.

Donizete è stato in Italia, più precisamente in Umbria, proprio ad aprile dello scorso anno e insieme, su sua esplicita richiesta, abbiamo visitato alcuni dei luoghi francescani più cari a chi, come me, ama la figura di questo mistico che ha scritto una delle più belle pagine della lirica italiana, il Cantico delle creature. Sono stati, quelli, giorni indimenticabili, un incontro raro e intenso, come sempre quando si trattava di Donizete. E mi ricordo ancora la sua commozione – e la mia – quando, a un tratto, mi è venuto l’impulso di leggergli, davanti alla Porziuncola di Assisi, il Cantico delle creature, stampato su una pergamena che gli avevo appena regalato e che poi ho ritrovato incorniciata a casa sua a San Paolo, fra i quadri cui teneva di più.

È partito Donizete, in una notte calda di gennaio, a causa di un infarto fulmineo; se n’è andato questo viaggiatore cerimonioso che, come Giorgio Caproni, ha cominciato molto prima a salutare tutti e, forse per questo senso della precarietà dell’esistenza, ad amare più intensamente le persone che incontrava, a celebrare ogni momento della vita, anche quelli apparentemente poco importanti. Aveva tanti amici, Donizete, coltivava il dono dell’amicizia come qualcosa di sacro ed era capace di perdere intere giornate di lavoro per salutare qualcuno che arrivava o partiva oppure era di passaggio per San Paolo. E per tutti trovava un gesto, una parola, un libro. La sua casa a San Paolo era un porto sicuro e un luogo di incontro per poeti di ogni latitudine, che egli aveva la delicatezza e la cura di accogliere, insieme a Ana Tereza, la compagna di una vita (si erano conosciuti sui banchi della scuola elementare). Con una toccante timidezza, il sorriso affettuoso, il fine senso dell’umorismo, un’autoironia disarmante, il pensiero acuto e pronto dell’osservatore del suo tempo, ha riunito negli anni un gruppo notevole di scrittori e artisti che poi faceva incontrare in varie occasioni. Come un altro grande scrittore brasiliano, il modernista Mário de Andrade (1893-1945), Donizete si corrispondeva con poeti di ogni età e luogo del paese, rispondendo a quanti gli mandavano manoscritti o libri appena pubblicati. Sentiva come un dovere etico quello di aiutare altri scrittori meno noti o più giovani di lui.

Nato a Borda da Mata, nello stato di Minas Gerais, aveva i modi e la cordialità del mineiro, la voce bassa e i passi lenti e pesanti in cui s’intuiva la profondità e il dolore di un vissuto e di un sguardo attento alle ferite del mondo. Cresciuto all’interno del paese, in un mondo rurale i cui ritmi sono in parte scanditi da quelli della natura, si rivelò poeta originale e maturo a San Paolo, vivendo nella megalopoli brasiliana buona parte della sua vita, dove lavorò come giornalista. E ha saputo cogliere, grazie allo sguardo estraniato del caipira{1} (che gli ha permesso una prospettiva diversa sulla città), tutte le contraddizioni, la frammentazione sociale, i muri invisibili che marginalizzano chi non riesce a stare al passo di una società molto competitiva.

La sua poesia recupera la dimensione più fragile e umana di una città apparentemente inumana, che tende a fagocitare nei suoi meccanismi, come un corpo sempre bisognoso di braccia per mantenerlo vivo, quelli arrivati da ogni periferia del paese con il sogno di un lavoro dignitoso. Nella sua poesia trovano posto le “vite di scarto”, come le definisce Zygmunt Bauman,{2} lavoratori che hanno perso il lavoro, esseri che, per vari motivi, sono scartati dal sistema produttivo e respinti ai margini della società. Sono vite randagie, figure tragiche che da sempre hanno attratto il suo sguardo di poeta ma che, soprattutto nell’ultimo libro, sono diventati l’asse portante di un nuovo tipo di umanità, quello dell’“homem inacabado”, figlio e frutto del nostro tempo, delle nostre città che sono, anch’esse, “corpo sempre em retalhos. / Mutantes arquiteturas / que não penetram nas veias.” [corpo sempre in frammenti. / Architetture mutanti / che non entrano nelle vene.] Ovunque si trovino, il poeta li scorge, gli esclusi del capitalismo e del consumismo sfrenato, sia che si rifugino sotto un viadotto o che si appoggino abbattuti e stanchi ad un palo della luce, agli incroci di grandi viali, assenti, piegati da un dolore che si nota nei gesti concitati:

Parado no trânsito da Marginal,
vi você roendo as unhas com fúria.
Estava encostado no poste da esquina,
ombros arqueados numa posição frouxa.
Você cuspia os tocos das unhas.
Arrancava lascas de carne dos dedos
e, depois, sugava o sangue dos cantos.
Ah, que triste figura você fazia, amigo!
Você era pouco mais que um rato.

(da A carne e o tempo, São Paulo, Nankim, 1997)

Fermo nel traffico della Marginal,
ti ho visto rodere le unghie furiosamente.
Eri appoggiato ad un palo all’angolo,
spalle curve in una posizione floscia.
Tu sputavi i pezzi delle unghie.
Strappavi schegge di carne dalle dita
e, dopo, succhiavi il sangue dai bordi.
Ah, che figura triste facevi, amico!
Eri poco più di un topo.

La sua poesia ha saputo porsi come spazio di ascolto e può essere vista come dolente e, allo stesso tempo, critico ritratto di una società divisa e gerarchizzata fino al parossismo. Non è poesia impegnata politicamente o ideologicamente, ma è poesia che pone al centro l’essere e il suo bisogno e il suo diritto alla realizzazione.

Donizete ci ha lasciati orfani troppo presto e precipitosamente. Per elaborare questa perdita e questo lutto, alcuni amici si sono riuniti a casa sua nell’agosto del 2014 e lì è nata l’idea di un’antologia che a Donizete sarebbe piaciuta, visto che propone un dialogo aperto fra settantacinque poeti di tutto il Brasile e non solo. Quindici autori hanno scelto, ognuno, una poesia dalle varie raccolte di Donizete e invitato altri cinque poeti a parlarne. L’antologia Outras ruminações è il risultato, un commovente omaggio che riunisce settantacinque liriche inedite. Sarà presentata il 9 dicembre a San Paolo 2014 in un evento importante per la poesia brasiliana.



(cliccare sull'immagine per la versione leggibile)


Per partecipare a questo omaggio, oltre che con i nostri testi inseriti in Outras ruminações, proponiamo alcune liriche dell’ultimo libro pubblicato in vita, O homem inacabado (L’uomo incompiuto), uscito nel 2010, finalista del Premio Portugal Telecom e secondo classificato nel Premio Brasilia di Letteratura.



{1}Caipira, termine che può avere un significato dispregiativo, se usato in certi contesti, potrebbe essere tradotto con la parola “contadino”, e indica la persona cresciuta in campagna e che, comunque, non è pratica degli usi e costumi della grande città.

{2}Zygmunt Bauman, Vite di scarto, trad. di M. Astrologo, Bari, Editori Laterza, 2011.




POESIE DI DONEZETE GALVÃO
(dal libro O homem inacabado, São Paulo, Dobra Editora, 2010)


NIGHT WINDOWS

O quarto está deserto.
Uma das janelas está aberta.
O vento suga a cortina branca para fora da casa.
Alguém está por um fio.
Alguém aposta sua última ficha.
Um corpo cairá no negrume da noite.


NIGHT WINDOWS

La camera è deserta.
Una delle finestre è aperta.
Il vento risucchia la tenda bianca fuori di casa.
Qualcuno è appeso a un filo.
Qualcuno sposta la sua ultima fiche.
Un corpo cadrà nell’oscurità della notte.


INSÔNIA

Passou a noite na capina.
Quanto mais capinava
mais a tarefa espichava.
Acordou com o corpo moído.
Agora o olho desconfiado
não quer dormir
com receio de trabalho
dobrado.


INSONNIA

Ha passato la notte a zappare.
Quanto più zappava
più aumentava il lavoro.
Si è svegliato con il corpo pesto.
Ora l’occhio guardingo
non vuole più dormire
con il timore del lavoro
raddoppiato.


A APARIÇÃO DOS OBJETOS

Tirar do ciclo da morte
aquilo que tantos desprezam –
restos, trapos, cordas,
estrados de cama e roupas sujas –
e fazer com que na tela
nova realidade se revele.
Embebidos de tinta,
os objetos em sua humildade
ganham outra manifestação.
Renomeados pelo olhar,
pelas mãos do pintor
estão para sempre
consagrados.


L’APPARIZIONE DEGLI OGGETTI

Togliere dal ciclo della morte
quello che tanti disprezzano –
resti, stracci, corde,
reti da letto e vestiti sporchi –
e fare sì che nella tela
nuova realtà si riveli.
Imbevuti di colore,
gli oggetti nella loro umiltà
acquistano un’altra esistenza.
Rinominati dallo sguardo,
dalle mani del pittore
sono per sempre
consacrati.


O ASFALTO, ENFIM

Se toda morte é descida,
a morte mais dolorida
é aquela com o corpo
varado de balas
debruçado
sobre o carrinho de construção
que desce as valas da favela.

Morte de cabeça para baixo
como deveria ter sido a vida
inteira
do moleque teimoso
que à força da bala
quis levantá-la do chão.


L’ASFALTO, INFINE

Se ogni morte è discesa,
la morte più penosa
è quella con il corpo
crivellato di proiettili
riverso
sulla carriola del cantiere
che discende i fossi della favela.

Morte con la testa in giù
come deve essere stata la vita
intera
del ragazzo testardo
che a furia di proiettili
ha voluto rialzarla dal suolo.


MÍSTICA DO TRABALHO

O homem põe seu corpo
no artefato que fabrica.
Veias, suor e respiração
a serviço da monotonia.
O homem gasta seu tempo
e o coloca dentro dos objetos.
Preso no círculo da repetição
morre um pouco
ao fim de cada dia.


MISTICA DEL LAVORO

L’uomo pone il suo corpo
nel manufatto che fabbrica.
Vene, sudore e respirazione
al servizio della monotonia.
L’uomo spende il suo tempo
e lo colloca dentro gli oggetti.
Preso nel circolo della ripetizione
muore un poco
alla fine di ogni giorno.


DEPRECIAÇÃO

De hoje em diante
não irás ganhar o pão
com o suor do teu rosto.
Não precisarás mais de rosto.
Nem de suor.
Nem de um corpo.
De hoje em diante
a máquina imperfeita
dos teus músculos
será mais um objeto
em desuso.


SVALUTAZIONE

Da oggi in poi
non guadagnerai il pane
con il sudore della tua fronte.
Non avrai più bisogno di fronte.
Né di sudore.
Né di un corpo.
Da oggi in poi
la macchina imperfetta
dei tuoi muscoli
sarà un altro oggetto
in disuso.


DESEMPREGO

Um susto.
Próximo à catraca do metrô
um homem se vê, de súbito,
batendo as mãos
nos bolsos em busca
do crachá.


DISOCCUPAZIONE

Uno spavento.
Vicino al tornello della metropolitana
un uomo si vede, all’improvviso,
a tastare con le mani
le tasche in cerca
del tesserino di identificazione.


UM OUTRO HOMEM INACABADO

Nesta cidade impermanente,
um homem jamais está inteiro.
Parte perdeu-se em alguma rodovia.
Outra sonha com montanhas,
água de bica, cachoeiras, maresia.

Esta cidade de São Paulo
nunca está arrematada,
corpo sempre em retalhos.
Mutantes arquiteturas
que não penetram nas veias.

Nesta cidade de São Paulo,
um homem constrói sua casa
como uma flor amarela
que teima em brotar
em zona de perigo.

Efêmera, como outras,
destinada à demolição.
Casca fina e provisória,
fraca diante das ventanias,
das máquinas e da solidão.

Nesta cidade dividida,
cada homem é estilhaço,
entulho jogado na caçamba
porque há outro na fila
para ocupar o seu espaço.


UN ALTRO UOMO INCOMPIUTO

In questa città impermanente,
un uomo non è mai intero.
Parte si è persa in qualche autostrada.
L’altra sogna montagne,
acqua di sorgente, cascate,
odore di mare.

Questa città di San Paolo
non è mai terminata,
corpo sempre in frammenti.
Architetture mutanti
che non entrano nelle vene.

In questa città di San Paolo,
un uomo costruisce la sua casa
come un fiore giallo
che si ostina a sbocciare
in zona di pericolo.

Effimera, come altre,
destinata alla demolizione.
Buccia provvisoria e sottile,
fragile dinanzi alle folate di vento,
alle macchine, alla solitudine.

In questa città divisa,
ogni uomo è scheggia,
calcinaccio gettato nel cassonetto
perché c’è un altro in fila
che occuperà il suo posto.



Traduzione dal portoghese di Vera Lúcia de Oliveira


veralucia.deoliveira.m@gmail.com