FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia
Numero 4
ottobre/dicembre 2006

Sacro e profano

BREVE ANTOLOGIA POETICA DI DONIZETE GALVÃO

a cura di Vera Lúcia de Oliveira


La parola scomoda

Donizete Galvão, nato a Borda da Mata, cittadina dello stato di Minas Gerais, nel 1955, è considerato uno dei più originali poeti brasiliani della generazione che ha esordito negli anni '80. Ha pubblicato le raccolte Azul Navalha (1988), As faces do rio (1991), Do silêncio da pedra (1996), A carne e o tempo (1997), Ruminações (1999) e Mundo mudo (2003). Laureato in giornalismo, vive e lavora da molti anni a San Paolo. C'è nella sua opera, nonostante egli si sia pienamente integrato nella capitale, accanto al paesaggio e agli elementi caratteristici della grande città, la compresenza di immagini e ambienti del mondo rurale contadino che ha conosciuto nella sua infanzia e adolescenza, dove alcune figure paradigmatiche, come quelle dei nonni (veri numi tutelari), paiono proteggerlo dalla dispersione, dall'indifferenza e dall'anonimato della megalopoli che "ingoia", nel suo moto continuo, i lavoratori arrivati da ogni parte del Brasile, attratti dal sogno di una vita migliore.
Poiché ha altri termini di paragone e poiché ha un'esperienza diversa, di contatto con un altro Brasile, dove ritmi, parole e gesti sono riportati ad un significato essenziale, quasi primordiale di contatto con la terra, con la roccia, con l'acqua dei fiumi auriferi di Minas Gerais, Donizete ha uno sguardo dissonante rispetto ai tanti poeti nati e cresciuti a San Paolo, lo sguardo allo stesso tempo estraniato e partecipe di chi non si abitua alla disarmonia e al caos di una città ingranditasi troppo in fretta, né tanto meno alla tragica disparità sociale ed economica dei suoi quartieri.
Nella sua poesia la memoria dell'infanzia recuperata è serbatoio di immagini fresche e nitide, ma il passato non è mitizzato come un tempo unico e irrepetibile di armonia né il presente può essere solo il momento della nostalgia delle origini: la sua parola è "lapidazione concisa di materiali concentrati" 1 e lo sguardo del poeta è sempre problematico, alla ricerca delle contraddizioni e delle stonature dei tempi e delle realtà che, in essa, si intersecano.
Se la poesia per lui è canto e miracolo2, essa è anche parola scomoda e marginale che rovista in quel grande cassonetto della spazzatura che sono diventate le periferie delle nostre città, dove lo interessano gli esseri esclusi - i mendicanti, le prostitute e tutte le persone segnate dalla fragilità, condannate a guardare in faccia il dolore, il disprezzo, il disinteresse della società - nei quali la sua sensibilità acuta si riconosce e si rispecchia:

    Parado no trânsito da Marginal,
    vi você roendo as unhas com fúria.
    Estava encostado no poste da esquina,
    ombros arqueados numa posição frouxa.
    Você cuspia os tocos das unhas.
    Arrancava lascas de carne dos dedos
    e, depois, sugava o sangue dos cantos.
    Ah, que triste figura você fazia, amigo!
    Você era pouco mais que um rato.3

    Fermo nel traffico della Marginal4,
    ti ho visto rodere le unghie furiosamente.
    Eri appoggiato ad un palo all'angolo,
    spalle curve in una posizione floscia.
    Tu sputavi le scaglie delle unghie.
    Strappavi schegge di carne delle dita
    e, dopo, succhiavi il sangue dai bordi.
    Ah, che triste figura facevi, amico!
    Tu eri poco più di un topo.

Il suo specchio rovesciato ci avvicina a questo mondo, alla realtà nuda e precaria, sebbene egli sia consapevole che questo sforzo, oltre che indesiderato, è inutile perché "in un epoca in cui tutti dobbiamo essere belli, ricchi, sani e felici e ogni cosa dev'essere leggera e divertente, che interesse può suscitare lo specchio perverso del poeta? Chi si vorrà vedere come un figura contorta uscita da un quadro di Francis Bacon?" 5
E, tuttavia, la sua parola non urla e non è urlata, ma anzi sussurrata, in piccoli libri raffinati difficili da trovare, un po' nascosti come sono i libri di poesia negli angoli meno frequentati delle librerie brasiliane, accerchiati dagli stand di best sellers degli ultimi autori di successo. La sua è parola forte e intensa, attenta ai più piccoli fatti della vita umana, alle cose desimportantes che solo i veri poeti sanno ancora vedere. Predilige un linguaggio preciso e asciutto, teso e quasi secco, in cui mescola registri e generi diversi, demistificando un certo lirismo aulico sempre duro a morire. Le poesie ora si condensano in brevi e incisive strofi, ora si sviluppano in testi di prosa poetica, con alternanza di versi lunghi e corti.
Circondato da un nutrito gruppo di amici, mantiene una folta corrispondenza con poeti di tutto il Brasile, giovani e meno giovani, che trovano in lui (come succedeva, ad esempio, con Mário de Andrade, ma come si vede sempre più raramente in questi tempi di esasperato individualismo) una rara disponibilità, un'attenzione e un interesse sinceri. La sua ironia, mai ferina, espone e rovescia la pseudo aura del poeta, da molto tempo perduta, da quando i poeti si sono dovuti confrontare, in questa economia di mercato, con una "merce" invendibile come la poesia:

    Que vagueie exilado,
    de cidade em cidade,
    de emprego em emprego,
    experimentando o gosto provisório.
    (...)
    Que mendigue a atenção dos jornais,
    busque em vão por críticas e resenhas,
    espere horas em saletas de editoras
    e cobre elogios de quem chega.6

    Che vaghi esiliato,
    di città in città,
    di lavoro in lavoro,
    sperimentando il gusto del provvisorio.
    (...)
    Che mendichi l'attenzione dei giornali,
    cerchi invano per critiche e recensioni,
    attenda ore in stanzette di editori
    e reclami gli elogi di chi arriva.

I suoi maestri sono i modernisti Manuel Bandeira, Mário de Andrade e Carlos Drummond de Andrade, ma anche il secco ingegnere del verso João Cabral de Melo Neto, con i quali dialoga, da sempre in equilibrio instabile fra la tendenza all'effusione lirica e un movimento fortissimo di contenzione di ogni sentimentalismo che governa la costruzione dei testi. E qui occorre sottolineare il legame dell'autore con artisti plastici contemporanei, come Jackson Pollok e Yves Klein, e musicisti, come Villa-Lobos e Nina Simone, che hanno segnato e ispirato molte sue poesie.
Il senso del fluire del tempo è vissuto sulla carne, nel corpo delle cose e degli uomini: non il tempo circolare e ciclico del mito, che si affida alla possibilità di un ritorno rigenerante alla genesi intatta delle cose e del mondo, ma il cronos storico, prosaico e lineare, crudele nella lenta e certosina corrosione che accomuna ogni cosa e ogni essere. In Donizete Galvão esso segna ed esacerba la ribellione dell'uomo e del poeta che utilizza la poesia per salvare gli elementi che gli sono più cari, come "il riso, l'humour, la memoria"7, senza i quali non possiamo più parlare dell'umano.
Poiché non ci è permesso di ritornare nel grembo delle cose sgorgate alla vita, non è della genesi che il poeta serba memoria, ma proprio della cacciata dal paradiso, del dolore di esseri diventati mortali, dell'angoscia della nostra storia:

    Memória do paraíso
    não tenho não.
    Lembro-me da dor.
    Da vergonha.
    Do desgosto.
    Da gota de suor
    pingando do rosto.8

    Del paradiso
    non ho memoria.
    Ricordo il dolore.
    La vergogna.
    Il disgusto.
    La goccia di sudore
    che trasudava dal viso.

La poesia di Donizete Galvão non è sicuramente consolatoria né accomodante, da tenere la sera sul comodino, non ammicca alle estetiche di moda, non cattura il lettore con ardite sperimentazioni né geometriche strutture retoriche. Donizete Galvão è poeta di un altro tempo, una Cassandra scomoda che non può tacere e che, per quanto sia arduo e doloroso, ci invita in ogni libro ad effettuare, insieme a lui, il viaggio nella nostra fragilità, nella carne e nel tempo delle cose (come è il titolo di una delle sue raccolte), nel "mondo muto" che abbiamo dentro di noi, con il disperato bisogno di reinaugurare ogni momento e ogni gesto, poiché de tanto ser vista, / gasta-se a beleza / das coisas que em si / guardam a perfeição.9 (da tanto esser vista / si perde la bellezza / delle cose che in sé / hanno la perfezione): e si perde non solo nelle cose, ma nella memoria e nei sogni, nelle parole e nei gesti. Questa è l'essenza della sua poesia che ci porta a guardare l'anima del mondo in ciò che ha di più fragile e prezioso. Egli non è, in alcun modo, poeta disperato e nichilista, ma profondamente utopico: proprio per questo risulta ancora più pregante il suo appello per una parola che sia ancora capace di incrinare il muro del "mondo muto":

    salta, mundo,
             desse caroço
            de pedra
    em que estás aprisionado

    toda rua termina
    em muro
    toda palavra representa
    uma falha

    salta, mundo,
            desse caroço
    de pedra
            vence
    as camadas de aluvião
           para que aflore
           um grão
           um broto
           um grito
    para quem está exausto
            de auscultar teu corpo 
                                    ferido10

    salta, mondo
            da questo nocciolo
            di pietra
    in cui sei imprigionato

    ogni strada finisce
    in muro
    ogni parola rappresenta
    una crepa

    salta, mondo,
            da questo nocciolo
    di pietra
            vinci
    gli strati di alluvione
            affinché affiori
            un granello
            un germoglio
            un grido
    per chi è esausto
            di auscultare il tuo corpo
                                           ferito




         1 Ivone Daré Rabello, "A matéria impura da poesia", in Donizete Galvão, Mundo mudo, São Paulo, Nankin Editorial, 1997, pp. 81-98 (81).
         2 In questo senso, è indicativo il testo "Milagre", cioè "miracolo", presente in A carne e o tempo, São Paulo, Nankin Editorial, 1997, p. 55.
         3 Donizete Galvão, "Roedor", in A carne e o tempo, op. cit., p. 31. Tutte le traduzioni nel testo sono mie.
         4 È una delle strade più trafficate della città di San Paolo, vero nodo stradale della capitale.
         5 Donizete Galvão, "O poeta em pânico", in Do silêncio da pedra, São Paulo, Arte Pau-Brasil, 1996, pp. 57-59 (58-59).
         6 Donizete Galvão, "Retrato de artista", in A carne e o tempo, op. cit., pp. 40-41.
         7 Donizete Galvão, "O hóspede", in Mundo mudo, op, cit., p. 27.
         8 Donizete Galvão, "Depois da queda", A carne e o tempo, op. cit., p. 39.
         9 Donizete Galvão, "Lâmpada", in Mundo mudo, op. cit., p. 48.
        10 Ivi, p. 77.



ITATIAIA

Pedras de sombra
                    caídas do céu.
Rebanho em negro
                    montanha abaixo.
Notas tocadas
                    por um fio de água.
Silêncio dos deuses
                    que no miolo da pedra
fizeram sua morada.


ITATIAIA1

Pietre d'ombra
                dal cielo cadute.
Nero armento
                al suolo diffuso.
Note sfiorate
                da un filo d'acqua.
Silenzio degli dei
                che trovano dimora
nell'essenza della pietra.

    ***
BRECHA

      na greta
no risco milimétrico do vinil
      no interstício
entre os cílios
      na ranhura do segundo
no fio estreito
      entre
o desisto               o resisto
      existo


BRECCIA

        nella crepa
nel millimetrico rigo del vinile
        nell'interstizio
tra due ciglia
        nelle venature dell'istante
nel filo sottile
        tra
desisto                  resisto
        esisto


(Dal libro Do silêncio da pedra, São Paulo, Arte Pau-Brasil, 1996.)


RUMOR

os objetos iscas
        visgos
pretextos
              anteparos
alvéolos
               poros
que reverberam
               suas auras
captam o murmúrio
               os véus
do invisível
      em seu vôo breve


RUMORE

gli oggetti
esche
         vischi
pretesti
        paraventi
alveoli
        pori
che riverberano
        le proprie aure
captano il sussurro
        i veli
dell'invisibile
    nel suo volo breve

(Poesia inedita)


TAPERA

Deixe que os morcegos
ocupem o forro
e as caixas de marimbondo
tomem conta dos seus cantos.
Deixe que a macega
suba pela escada até o alpendre
e prolifere nas rachaduras do reboco.
Deixe que o musgo
cubra o tampo da cisterna
e que os escorpiões
armazenem veneno sob os tijolos.
Nada dói mais do que a lembrança da casa,
encravada como um prego
que lateja na memória.


CASUPOLA

Lascia che i pipistrelli
occupino il solaio
e i nidi di vespe
prendano possesso dei loro angoli.
Lascia che la zizzania
salga per le scale fino al portico
e proliferi nelle crepe dell'intonaco.
Lascia che il muschio
copra il coperchio della cisterna
e che gli scorpioni
immagazzinino veleno sotto i mattoni.
Nulla duole di più che i ricordi della casa,
conficcata come un chiodo
che pulsa nella memoria.

(Dal libro A carne e o tempo, São Paulo, Nankim Editorial, 1997)


OBJETOS

Agora,
homens são coisas,
badulaques pendurados
como galinhas na peia,
pelas feiras,
de cabeça para baixo
à espera de compradores.

Agora,
mercadorias têm vida própria.
Saracoteiam quinquilharias
diante dos homens-coisas
que continuam
com pés atados
e bicos ávidos.


OGGETTI

Ora,
gli uomini sono cose,
bagattelle appese
come galline impastoiate,
per i mercati,
con la testa all'ingiù
in attesa degli acquirenti.

Ora
le mercanzie hanno vita propria.
Dondolano chincaglierie
dinnanzi agli uomini-cose
che rimangono
con piedi legati
e becchi avidi.

    ***
EXÍLIO

Na beira da porta de aço,
ela tricota: faz bicos vermelhos
em alvos panos de algodão.
Não sou daqui, não.
Sou de Aracaju, Sergipe.
Vim em busca da minha irmã.
Mudou para o Mato Grosso.
Meu cunhado mora em Marília.
Não sou daqui, não.
Sou de Aracaju, Sergipe.
Tenho dinheiro pra passagem não.
Não sou daqui, não.
Sou de Aracaju, Sergipe.


ESILIO

Accanto alla porta d'acciaio,
lei sferruzza: fa punte rosse
su candidi panni di cotone.
Non sono di qui nossignore.
Sono di Aracaju, Sergipe.
Sono venuta per cercare mia sorella.
Si è trasferita in Mato Grosso.
Mio cognato vive a Marília
Non sono di qui nossignore.
Sono di Aracaju, Sergipe.
Non ho soldi per il biglietto.
Non sono di qui nossignore.
Sono di Aracaju, Sergipe.

    ***
A VIDA REAL

Cidade sem aura. Sem sombras.
Dizem que um padre rogou-lhe uma praga.
Árvores de altas copas foram arrancadas
e, do cimento, brotou uma fonte luminosa.
As árvores não prosperam,
mutiladas por podas até o toco.
Folhas e flores enervam donas-de-casa
maníacas por calçadas limpas.
Chique é ter o quintal cimentado
e os cômodos revestidos de carpete.
O padre conta suas reses.
O prefeito conta sua reses.
Pardais cagam nos bancos da praça.
Reconhecem aqui o reino da politicagem.
No Carnaval, pretos, bichas e pobres
descem do Buracão ou sobem da Santa Cruz
e podem dançar nas ruas,
acompanhando os filhos de boas famílias.
Mas não passam da porta do clube.


LA VITA REALE

Città senza aura. Senza ombre.
Dicono che un prete le lanciò una maledizione.
Alberi con alte chiome furono sradicati
E, dal cemento, sbocciò una fontana luminosa.
Gli alberi non prosperano,
mutilati da potature fino al ceppo.
Foglie e fiori snervano le massaie
maniache dei marciapiedi puliti.
Chic è avere un cortile cementato
e le stanze rivestite da moquette.
Il prete conta le sue pecore.
Il prefetto conta le sue pecore.
Passeri cacano sulle panchine della piazza.
Riconoscono qui il regno dei politicanti.
A Carnevale, neri, finocchi e poveri
scendono dal Buracão o salgono da Santa Cruz2
E possono ballare per le strade,
accompagnando i figli di buona famiglia.
Ma non oltrepassano la porta del Club.

(Dal libro Mundo mudo, São Paulo, Nankin Editorial, 2003)


TZVIETÁIEVA E O CÉU DO POETA

Para Dora Ferreira da Silva

Aproveite agora que o filho bateu a porta
e saiu a trabalhar para seus senhores:
arme a forca com precisão e calma de poeta.
Que país ouvirá sua voz dissonante,
sempre em vigília, a quem nada contenta?
Que o corpo seja jogado na vala-comum,
sem necessidade de qualquer cerimônia.
A poesia
          - corpo que ganha espírito
          espírito em corpo encarnado -
entrará inteira, imaculada,
          no reino onde não existe julgamento.


CVETAEVA3 E IL CIELO DEL POETA

Per Dora Ferreira da Silva

Approfitta ora che il figlio ha sbattuto la porta
ed è uscito a lavorare per i suoi padroni:
prepara la forca con precisione e calma di poeta.
Quale paese sentirà la tua voce dissonante,
sempre vigile, a chi nulla soddisfa?
Che il corpo sia gettato in una fossa comune,
senza bisogno di alcuna cerimonia.
La poesia
          - corpo che acquista spirito
          spirito in corpo incarnato -
entrerà intera, immacolata
          nel regno dove non esiste giudizio.

(Dal libro A carne e o tempo, São Paulo, Nankim Editorial, 1997)




     1 Riserva naturale del Parco di Itatiaia, nella città omonima, all'interno dello Stato di Rio de Janeiro.
     2 Buracão e Santa Cruz sono quartieri periferici e molto poveri di Borda da Mata, la città nella quale il poeta è nato e cresciuto.
     3 Marina Ivanovna Cvetaeva (1892-1941), grande poetessa russa, morta suicida in Siberia, dopo che il marito fu fucilato e la figlia incarcerata, in un periodo di feroci repressioni politiche in Unione Sovietica.

 


Traduzioni di Vera Lúcia de Oliverira
velucia@tin.it