FILI D'AQUILONE rivista d'immagini, idee e Poesia |
Numero 4 ottobre/dicembre 2006 Sacro e profano |
ARMANDO ROMERO di Alessio Brandolini |
Nel primo numero di "Fili d'aquilone" avevo parlato della raccolta di racconti La radice delle bestie (Sinopia, 2004), libro di brevissimi e fulminanti storie, del colombiano Armando Romero, nato a Cali nel 1944, ma che da tempo vive a Cincinnati, negli USA, dove insegna all'Università. Nel numero successivo Nicola Licciardello aveva proposto alcuni capitoli dell'intenso romanzo La ruota di Chicago, uscito in Colombia nel 2004, ancora inedito (speriamo per poco) in Italia. Avevo accennato anche alla poesia di Romero, soprattutto alla sua ultima raccolta Hagion Oros (El Monte Santo) di cui avevo letto la versione uscita in Venezuela nel 2002, arricchita da diverse foto e illustrazioni, e ora integralmente pubblicata (con testo a fronte) dalla meritevole Sinopia, nella traduzione limpida e precisa di Alessandro Mastrorigo. Nella versione italiana mancano le immagini presenti nell'originali, che non sono meramente illustrative perché accompagnano la riflessione e l'esplorazione poetica dei monasteri, dando visibilità e concretezza ad alcuni personaggi presenti nella raccolta (v. "Il sudicio", "conciato con l'unto e gli escrementi"), però qui in chiusura troviamo, ed è una bella sorpresa, una lunga "Divagazione" di Claudio Cinti e lo stesso Romero. Nell'introduzione a Hagion Oros Armando Romero spiega la genesi del libro:
Romero è un viaggiatore instancabile, curioso e attento, ormai di casa in Italia. Sua moglie è greca, quindi è normale che l'estroverso letterato latinoamericano senta una forte attrazione conoscitiva verso una realtà così diversa, così chiusa e appartata come quella del Monte Santo, unica repubblica monastica al mondo e baluardo del cristianesimo orientale, come afferma Armando Santarelli nel suo intervento su questo stesso numero. Sul Monte Santo si conserva il calendario giuliano, le donne non possono accedervi, i pasti sono più che frugali, non esiste tecnologia: niente auto, né televisione, né internet. Un isolamento totale dove il tempo sembra fermo al Medio Evo, in cui la vita è regolata da severe norme di preghiera, eppure qui il monaco, è felice, anche se separato da tutto, forse perché sente di essere unito a tutto:
nel gesto che accompagna il monaco mentre tamburella sulla trave della preghiera. Deve esserci anche un'altra tristezza per il taciturno che raccoglie i piatti nel refettorio. Una felicità come aghi di pioggia. Una tristezza come stracci al sole. (Differenze) Una felicità mistica, estranea alla vita frenetica dell'occidente, e difficile da comprendere: solo il monaco che si sottrae al mondo riesce a percepirla pienamente, a farla propria. Sembra un paradosso o una palese contraddizione: staccarsi dalla vita per viverla più intensamente; abolire il tempo per darsi un ritmo autentico, più naturale; eliminare le donne (anche la sola vista) per essere più vicini alla Vergine Maria. Si veda qui la lunga e bellissima poesia "Axión Estín", che sembra quasi una preghiera alla Jacopone da Todi:
Donna di un volto intero nell'icona Donna senza dimensioni Donna che riempi tutto lo spazio (...). Axión Estín è la famosa e venerata icona della Vergine Maria con il Bambino in braccio, che si trova nel monastero di Protaton. Armando Romero nell'introduzione accenna anche a un'altra motivazione che lo spinse a percorrere i sentieri dei venti monasteri del Monte Athos, ed è il legame che nella sua infanzia avevano le parole Monte e Monje (monaco), una specie di ossessione che intrecciava, fino a identificarle, le due parole. In molti racconti l'autore colombiano rivela l'attrazione quasi onirica nei confronti della vita monastica, che va ricollegata al labirinto, alla ricerca o, meglio, all'esplorazione di un ipotetico Centro:
La raccolta, dedicata alla memoria di Konstantino Lardas, si compone di 39 poesie che riferiscono di questo viaggio, che si fa analisi introspettiva delle cose, del mondo, del passato, dell'animo umano. Si alternano testi brevi e asciutti ad altri più lunghi e esplicativi, talvolta salmodianti come preghiere. Hagion Oros è un percorso affascinante dove la poesia di Armando Romero trova un equilibrio perfetto in cui immagini altamente poetiche s'innestano abilmente alla descrizione, al racconto del viandante che umilmente entra nel sacro di questi antichi e stupendi monasteri, nella vita del monaco taciturno (così lontana dalle nostre abitudini, dai nostri pensieri) e sembra afferrarla, almeno nel suo aspetto conoscitivo e nei suo profilo spirituale, con la sua saggia pacatezza:
Montagna che ara venti e asperge nebbia Il Monte Santo cala tra rocce ed eremi Fino agli occhi che gli interra la superficie del mare (...) Strade che rilasciano silenzio come linfa dagli alberi |
DIECI POESIE DI ARMANDO ROMERO
Hay que volver al tiempo lo que es del tiempo
C'è da rendere al tempo quello che è del tempo
No era más que polvo de la roca
Non era nulla più che polvere della polvere
Camino de la tarde que baja al mar por entre las piedras. Detenerse en la fuente que aligera de agua nuestros labios.
Cammino del pomeriggio che scende al mare fra le pietre. Soffermarsi sulla fonte che alleggerisce d'acqua le nostre labbra.
¿Cómo convertir en canto ese silencio En el pequeño malecón dos pescadores, ¿Detener con las manos las imágenes mudas El viento pega contra el portal inmenso ¿Vivir este tiempo al otro lado del tiempo? Un monje pasa y entrebarbas escupe su ¿Resstregar la memoria hasta donde El mismo monje observa el espacio ¿Dónde está el poema, entonces,
Come trasformare in canto questo silenzio Sul porticciolo due pescatori, Trattenere con le mani le immagini mute Il vento picchia contro il portale immenso Vivere questo tempo all'altro lato del tempo? Un monaco passa e fra la barba sputa la sua Stropicciare la memoria fin dove Lo stesso monaco osserva lo spazio Dov'è la poesia, allora,
El àguila de doble cabeza
L'aquila dalla doppia testa
Dicen que el Espíritu Santo no surge de la
Dicono che lo Spirito Santo non nasce dalla
San Cristóbal, reverenciado en Dionysiou, nació
STORIE
San Cristoforo, ossequiato a Dionysiou, nacque
Trepados en la montaña,
I MONASTERI
Arrampicati sulla montagna,
Debo sembrar palabras como piedras
Devo seminare parole come pietre
No es la carne, pecadora, vana,
Non è la carne, peccatrice, vana, |
1 La Repubblica di Monte Athos (in greco moderno Ághion Óros) pur appartenendo formalmente al territorio dello stato greco, che vi mantiene una sorta di governatore, è in realtà una entità teocratica indipendente tanto che per entrarvi è necessario uno speciale permesso (il Dhiamonitirion), nonostante la Grecia faccia parte dell'Unione Europea e abbia abolito i controlli doganali. |
Da L'ILLUSIONE DEL CENTRO (...) C.C. Allora l' "essere dentro" diventa il "tutto", anche se labirintico, plurale, e può accogliere la domanda che conclude una poesia come "Incredulo": "Cosa possiamo dire / che siamo altri monaci fra i monaci!"... Deve esserci anche un'altra tristezza...", e perfino la certezza derivante dall'ammirazione dei "Pallidi monaci superbi" che "a due mani fermano il tempo" e "Svelano un altro volto alla disfatta" (in "Pallidi monaci"). O mi sbaglio? A.R. No, non ti sbagli affatto, ma è necessario ricapitolare quanto abbiamo detto. Dalle tue parole risulta chiaro il fatto che nella geografia dell'immaginazione, dove tempo e spazio si coniugano a loro piacimento, la via che conduce da un luogo all'altro. Caribe verso Mediterraneo - corrisponde in termini spaziali alla relazione temporale che si instaura tra i nostri giorni e il Medioevo. Perché in me l'incontro con il Monte Athos, l'essere laggiù, non è stato un arrivare, ma un tornare. Tu lo vedi chiaramente, il Centro è speculare, ellittico. In questo processo vitale, letterario vi è allora il (ri)conoscimento di una realtà statica, ma in costante movimento. Mi spiego: non vi è niente di più statico di questo mondo del Monte Athos, in cui la missione dei monaci è fermare il tempo con la preghiera, dato che il monte Athos non è nato per il divenire. Di contro, quel mio mondo dell'America Latina - e così lo hanno visto i nostri filosofi - è qualcosa in ebollizione, che si muove celermente nel tempo dell'attesa e confidando nell'illusione dell'avvenire. C.C. Eppure, questo statico mondo del Monte Athos accoglie anche l'archetipo del movimento: "Lettere che inseguono lettere che scrivono lettere, / Immagini che sono immagine di ciò che è immagine...". Intendo dire che non vi è nulla di statico nella tua visione dei "Manoscritti di Xeropotamou". In questa meravigliosa poesia, credo di riconoscere qualcosa di quella "natura duale dell'espressione americana" che occupa il tuo saggio sulla "Visione del doppio" in Gente de pluma. Mi sa che, prima di mollarlo, dovremo provare ad acchiappare in qualche modo quello scivoloso pesciolino che ci sfugge dalle mani... Anche solo per un istante. E che ci conficchi pura una spina. Che cos'è, allora, nel tuo sentimento estetico, il mondo dell'America Latina? Non bisogna dimenticare che un'altra, essenziale figura connessa con il Centro è il Labirinto. A.R. Per me, l'idea del Labirinto è associata con il sacro, e il sacro con l'idea del Centro, e il Centro con l'idea del gioco, poiché per poter "giocare" con esso - ammesso che sia possibile date le nostre limitazioni - bisogna intraprendere un cammino che si muove lungo direttrici doppie, che si biforcano costantemente. Nel suo essere barocco, Borges fu molto vicino a tutto ciò. E quel che io immagino circa l'America Latina come realtà si colloca in questa disgiuntiva, immerso nelle molteplici risposte alla domanda che ricerca una definizione. Da lì potremmo tracciare la linea che tocca le frontiere del Monte Athos. L'idea della perversità, nel senso della trasgressione, che plasma la vita di quei monaci fuori dal tempo, si sposa con il non-razionale che ferve alle fonti che alimentano l'essenza latinoamericana. C.C. "Essere fuori da tutto come modo di essere in qualcosa" (in "Fuori da tutto"). Questa mi pare davvero una suggestiva immagine del "destino" latinoamericano, benché si riferisca a un monaco della sua Montagna. E quest'altra: "Deve esserci stato un giorno in cui al cadere in acqua / si scoprì assetato fra le rocce"... A.R. Forse, dovremmo ricorrere a quella scienza delle eccezioni di cui ci parla Jarry: per poter comprendere senza analizzare, o meglio, per sentire con il pensiero. Questo gioco di paradossi è anch'esso immagine del fatto stesso della poesia; della poesia che vede, nel suo essere, l'istante trattenuto da un torrente di parole in movimento. C.C. Questo mi pare un punto nodale. A.R. È che le due realtà si compongono in un mare di contraddizioni, in cui però la contraddizione non è il negativo che paralizza, ma la combustione che stimola. C.C. Puoi precisare questa nozione del "sentire con il pensiero"? A.R. Tra le molte, interessanti riflessioni contenute in un delizioso e inquietante libro di Paul Valery, L'idée fixe, ve ne sono due che mi sembrano essenziali, e cioè che nessuna idea può essere fissa e che il dolore può essere produttivo di pensiero. Io divergo in parte da questo modo di pensare razionale e lucido di Valery, perché l'idea del sacro è al di là della ragione, e ci può condurre a quel quietismo splendente e liberatore che è la risata di Buddha di fronte a un fiore, così come al fanatismo pericoloso dei fondamentalisti. Allora, non si tratta di ciò che il pensiero ci porta a sentire, ma di come possiamo fare del pensiero un altro senso, un modo sensibile per captare la realtà che non implichi analisi e deduzione, bensì un salto metaforico, talché la meraviglia e l'umorismo siano le corde che ci permettono di passare all'altro lato. E questa approssimazione alla realtà attraverso la sensibilità del pensiero impedisce che, nel visitare il Centro, restiamo stritolati dalle spire dell'idea fissa, dove si trova l'altra faccia del sacro, la faccia oscura. (...)
Opere di Armando Romero
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