FILI D'AQUILONE rivista d'immagini, idee e Poesia |
Numero 2 aprile/giugno 2006 Cuore d'Africa |
IL BLUES ISPANOAMERICANO di Nicola Licciardello |
Elipsio, giovane giornalista colombiano, cercando la sua ex-fidanzata Lamia arriva nella Chicago del 1970, ed entra così nella grande Ruota (Esposizione universale) della metropoli, in un viaggio di conoscenza a ritmo di blues - il canto "intraducibile" che viene dal sud, e sembra lenire la violenza "globale" della città dei mattatoi. Per scoprire la verità della lettera di Lamia che porta sempre con sé senza aprirla, Elipsio attraversa mondi diversi e in conflitto fra loro - beatniks, surrealisti, hippies, ricchi veterani del Vietnam, pantere nere, rackets portoricani, mercati e ristoranti esotici, biblioteche e parchi, grandi concerti - con una timida ma colta "disinvoltura" latina, che gli consente, fra l'altro, la chance erotica "cinese". Dalla Ruota non si scappa (come dai mulini di Don Chisciotte), nel viaggio alla scoperta di sé bisogna fare esperienza di tutti i livelli della ruota, "fra la vertigine dell'alto e la tranquillità quasi inavvertita di accarezzare il suolo". Conoscenza "circolare", ma qui schiacciata in ellisse (da cui Elipsio), perché in America "la letteratura è memoria della letteratura, ha un fuoco doppio come l'ellisse, è barocco del barocco" - spiega Romero. Al fuoco del neobarocco americano, come già "alla galanteria ispanica, non risponde il puritanesimo anglosassone", maschera che cela l'infernale macchina di stritolamento umano descritta da Theodore Dreiser, Nelson Algreen, John Sinclair, Somerset Maugham ... (e da cui fugge in Europa Ezra Pound). Ma nemmeno avere una causa comune (contro tutto questo) cancella le differenze di razza e cultura (per esempio, fra ispanici e neri). Geniale è allora riproiettare questo "scontro di civiltà" all'indietro, nell'irripetibile stagione che affermò i diritti civili e la libertà sessuale, e risolverlo con l'ironia e lo humor dell'incontro linguistico (spanglish), che diventa esistenziale: l'ouzo come il bourbon come l'aguardiente, il bouzuchi come la cumbia. Tutto è blues, odore, sapore, forza, anima, paesaggio. Romero ha trovato uno stile e uno spessore "classico", che fonde in una irresistibile sceneggiatura cinematografica la suspence del thriller, il romanzo di formazione e la critica (storia) della globalizzazione - nella danza del parlato comune, nell'essenzialità dei dialoghi, nel tenero distacco del "correlativo oggettivo". Da grande narratore (onnisciente), equanime e compassionevole: affascinato dai rituali taoisti in Cina, come da quelli ortodossi al Monte Athos, dice "in qualche vita precedente devo esser stato un monaco". Quest'apparente semplicità espressiva, in cui si risolve la complessa inter-testualità della Ruota - soprattutto con la letteratura e la poesia nordamericana su Chicago (patria di Hemingway) - crea ostacoli quasi insormontabili al traduttore in italiano, lingua che non dispone di un retroterra popolare 'imperiale', come il neobarocco ispanico o il modernismo epico statunitense. Qui di seguito si propongono alcuni brani del romanzo, pubblicato in Colombia nel 2004.
Armando Romero
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Capitolo iniziale - 0 - Elipsio vede una ruota Non ci si poteva aspettare niente di diverso da Livio Contreras. Come avesse una spina di traverso in gola, se ne usciva sempre con una delle sue: quelle idee che mandavano sconcerto o addomesticavano le immagini letterarie più audaci, anche se, quando sfociavano sulla carta, erano scarabocchi inutili. Inerpicato su uno steccato degli immensi recinti abbandonati dell'immenso mattatoio di Chicago, ripeteva al vuoto: Quel mezzogiorno d'inverno, in un sole radioso di primavera, Livio era arrivato con una salsiccia, un pane italiano e una bottiglia di vin Gallo, "del più schifosetto, però è l'unico che ho potuto trovare nel tuo saporito quartiere", all'appartamento che Elipsio divideva con Okey Peterson, l'Illuminato. Un appartamento che puzzava di gas e roba usata, legno vecchio, piatti mai lavati, lenzuola sporche, spazzatura di giorni e fumo di treno. Era sulla North Sheffield, prima di arrivare ad Armitage, e dietro, quasi sulla finestra della stanza di Elipsio, passava per giunta l'EL, il treno della città, il metrò più rumoroso del mondo, che scardinava il letto come se stesse facendo l'amore con i terremoti, e nell'ora di maggior traffico, fra le 6 e le 8, il letto e tutta la casa entravano in risonanza con la vibrazione del treno e il cigolio dei freni nell'adiacente stazione, allora Elipsio aveva una specie di satori, rimbalzando sulle pareti; da tutto questo si difendeva in uno stato fra il sogno e l'incubo. |
Dal capitolo III La ruota piccola gira in basso Sheng, approfittando del casino, chiese a Elipsio che l'accompagnasse a fare un giro per la casa, "non sopporto questo tipo di discussioni, mi deprimono molto", disse. |
Dal capitolo V (finale) - 0 - Elipsio ha visto una ruota Dopo una breve pausa, durante la quale rapidamente furono sistemate le sedie e la batteria, provati il pianoforte e i supporti per le partiture, comparvero uno per volta le cornette, i sassofoni, la chitarra, il basso. Tutti gli strumenti di fronte al vento degli applausi, quando in un rutilare di luci, basso e grassottello, molto elegante, coi suoi baffi già canuti ma con il sorriso di sempre, come nelle copertine dei dischi, apparve Count Basie, il Conte, quello che Henry Miller, nel suo Colosso di Maroussi, aveva messo sul trono dell'aristocrazia del jazz, assieme al Duca e al Re. In mezzo all'arabesco dei vecchi e giovani in sala, con le braccia in alto, e "black power", "black is beautiful" nei cuori, il Gran Conte Basie si sistemò la giacca e distese le mani, lanciandosi al pianoforte in qualcosa che a Elipsio ricordava quel "One O'Clock Jump" che ascoltavano nelle notti di Cali, il vecchio disco che, lui senza giradischi a casa, metteva su nelle feste dei "camicia-rossa", e Lamia inebetita che sorrideva, al vederlo dondolare mentre cercava di seguire "swinging the blues", il ritmo del jazz, e anche di insegnarlo a lei, raccontandole storie dal libro di Ulanov, con la scelta di Panassie in mano, e Count Basie che raschiava, rigato dalla puntina logora del giradischi, in certi brutti punti ripetendo all'infinito, e la polvere della strada, la città nella distanza che era Cali era ora Chicago, senza di lei, Lamia perduta nella moltitudine, magari era lì anche lei, a urlare, ad applaudire vicino al palco, muovendo la testa, pensando a lui e a Cali. Ed ecco, si alzò dalla sedia il sax tenore e fece un assolo, lasciando poi rispondere il trombone, che a sua volta aprì il passo a un altro sax tenore (non più Lester Young, purtroppo), infine la tromba concluse il battibecco fra le cornette e i corni, creando l'attesa perché entrasse a suonare tutta la banda, e Count Basie dava sul pianoforte coi piedi in aria: "Pat your foot", così una volta aveva definito la sua musica, "datti pacche sul piede", semplicemente, però con la disciplina di un rituale generoso, sensuale e disinvolto, corpi che danzano, acqua viva per l'intera stalla della musica che era The Club, bianchi e neri, gialli e azzurri, Elipsio preso nei cori, nelle frasi brevi, di due misure, e dalle lunghe, che si ripetevano con un ritmo e una melodia estenuanti, proseguendo interminabili nella notte, contaminando tutto, cangiando le immagini come in un grande poema, a volte trinciante come il transiberiano de Cendrars, o soave come il vento e i mari di Perse, misterioso come un hotel a Buenaventura di Enrique Molina. |
Opere di Armando Romero
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Vedi anche:
Armando Romero, La radice delle bestie
di Alessio Brandolini (numero 1, gen/mar 2006)