FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia
Numero 4
ottobre/dicembre 2006

Sacro e profano

AGHION OROS, FIACCOLA DELLA FEDE

di Armando Santarelli


Esiste un luogo, nell'Oriente cristiano, dove nessun laico ha mai abitato. Consacrato da sempre a Dio, da millenni vi dimorano solo monaci ed eremiti. Unica repubblica monastica al mondo, baluardo del Cristianesimo orientale, oggi più che mai il Monte Athos, l'Aghion Oros dell'ortodossia, si pone come un'assoluta provocazione per l'uomo occidentale.
Qui siamo tredici giorni indietro rispetto al calendario gregoriano: perché che cosa è mai il calendario civile vigente nel mondo rispetto a quello lunare secondo il quale il Signore è nato, vissuto e morto per risuscitare il 16 di Nisan?
Qui le donne non possono entrare: è il Giardino della Vergine Panaghìa, della Tutta Santa, e a nessun'altra persona di sesso femminile è consentito dimorarvi. Qui non circolano macchine private, e i natanti debbono rimanere a 500 metri dalla costa. Qui si può assecondare la propria attitudine spirituale vivendo nell'assoluta solitudine eremitica degli aschitirion, o aderendo alla severa vita di preghiera e alle rigorose regole comunitarie dei monasteri cenobitici.

Ero solo un adolescente quando lessi per la prima volta un articolo riguardante il Monte Athos. Per molti anni, il mistero di questo luogo unico al mondo ha continuato ad agitare la mia mente: perché si sceglie di entrare in una dimensione di vita quasi medioevale? A che pro trascorrere tante ore nella preghiera e nella liturgia? Come mai il pellegrino occidentale è così affascinato dall'Aghion Oros?
Oggi, dopo numerosi soggiorni nei monasteri athoniti, sento di poter dare una prima, chiara risposta a quelle domande: il Monte Athos è un luogo dove il senso del sacro si contrappone con forza drammatica al dilagante secolarismo dei nostri giorni. Arrivi in questo remoto lembo di terra e avverti subito il tracollo delle regole e delle consuetudini alle quali sei assuefatto. Perché l'Athos è essenziale: qui non c'è spazio per i vizi, le cose voluttuarie, i capricci che facciamo assurgere a malattie. Cammini per ore lungo i sentieri solitari tracciati nella macchia mediterranea, condividi la vita spartana e i pasti frugali dei monaci, preghi a notte fonda nel buio dei katholikà profumati di incenso e di cera d'api, e avverti con intima felicità di trovarti in un luogo al quale la spiritualità è connaturata, un luogo puro.

Ma l'Aghion Oros è un agente metafisico forte e intransigente; proprio quando cominci ad amarlo ti rende cosciente che non sarà mai tuo, che appartiene solo a chi ha deciso di sposarne per sempre il severo clima spirituale. L'Athos è luogo di refrigerio privilegiato per chi ha veramente sete di Dio. "L'intero Oros", ha scritto il teologo Basilio, già igumeno dei monasteri di Stavronikita e di Iviron, "con la sua sostanza fisica e spirituale ti plasma, ti porta nel suo seno, per una nuova vita".
Questa nuova vita è l'esichia, la pace interiore, l'unione col Cristo che è morto e risorto per noi. Esichia vuol dire restare sempre in presenza del Signore, divenire teodidatta. Separato da tutto, il monaco athonita sente di essere unito a tutto: a Cristo, come il tralcio alla vite; agli uomini, per i cui peccati passa le ore in preghiera; al Creato, che celebra ogni giorno il mistero e la potenza di Dio. Ma l'esichia è una conquista spirituale molto difficile, che si attinge attraverso un'ascesi lunga e dolorosa.

"In Occidente", afferma ancora Basilio, "comanda l'azione, ci chiedono come possiamo rimanere per così tante ore in chiesa senza far nulla. Rispondo: cosa fa l'embrione nel grembo materno? Niente, ma poiché è nel seno di sua madre si sviluppa e cresce. Così il monaco. Anche noi viviamo dentro l'utero della nostra madre. E ci rendiamo conto che le relazioni che ci legano alla chiesa sono relazioni organiche. Custodiamo lo spazio santo e siamo custoditi, plasmati da questo stesso spazio".
Dunque, le lunghe ore di liturgia e le continue preghiere costituiscono proprio il senso della rinuncia e della lotta degli atleti in Cristo del Monte Athos. A una domanda che continua ad assillare l'essere umano "si può percepire Dio con i sensi?", il monaco athonita dà una risposta inequivocabilmente positiva, e lo fa testimoniando con tutta la vita una vocazione non oggettivabile altrimenti. Come un artista, egli lavora se stesso giorno dopo giorno, e la consapevolezza di coronare la sua esperienza spirituale con l'intima gioia dell'unione col Cristo lucente del Tabor fa della sua vita una vita di philokalìa, di amore della bellezza.

Non c'è monaco del Sacro Monte che non si riconosca nelle parole del folle in Cristo Massimo: "Gli uomini credono che occorra prima amare gli uomini e poi amare Dio. Anch'io ho fatto così, ma mi sono accorto che non serviva a nulla! Quando invece ho cominciato ad amare Dio prima di tutto, in questo amore di Dio ho ritrovato il mio prossimo, e nello stesso amore di Dio i miei nemici sono diventati i miei amici, anzi, creature divine...".

Nel luogo che rappresenta più di ogni altro il presente, il passato e il futuro dell'Ortodossia, il monaco athonita, come ci ricorda l'Archimandrita Sofronio, continua il cammino incessante verso il Signore "fuggendo ciò che è contro natura, salvando ciò che è secondo natura, innalzandosi a ciò che è sopra la natura".

 

armando.santarelli@inwind.it