Jorge Eduardo Eielson aveva una sensibilità molto sviluppata per tutti i suoni: della natura, della poesia, della musica. Fin da piccolo Eielson manifestò, come dopo sua sorella Olivia, grande interesse e grandi doti per la musica. Imparò a suonare il pianoforte e poi a comporre e a improvvisare. Ha registrato, anche se rimangono nella sfera del privato, molti componimenti di musica jazz di sua creazione. Amava in particolare il jazz. E uno dei suoi idoli è stato Charlie Parker, detto “Bird”.
Quanto ai suoni della natura, uno dei suoi piaceri più intensi consisteva nell’ascoltare gli uccelli e distinguere le voci delle varie specie che conosceva, in particolare quelle presenti nella Sardegna, dove lui era solito trascorrere l’estate, insieme al suo amico, l’artista sardo Michele Mulas. Ci sono delle registrazioni di questi canti di uccelli, sui quali lui amava dopo improvvisare musica e versi. E non è casuale che in seguito nascessero le poesie visive che rammentavano il canto e il silenzio degli uccelli, così come la lo bellezza fragile e sfuggente, che velocemente scompare e si rende invisibile.
Da queste premesse è nata la performance che in suo omaggio si fece, poco dopo la sua morte, a Milano, a Firenze, a Roma e a Venezia (nell’ambito della Biennale del 2007), nella quale un gruppo di persone distribuivano al pubblico la poesia visiva sull’uccello invisibile con in sottofondo le voci degli uccelli di Gardalis, da lui registrate.
Invece i suoni della poesia erano naturalmente legati alla scansione vocalica, con la quale lui sperimentò a lungo, staccando e deformando le vocali ma non solo, creando un effetto ritmico e musicale nella dizione di pochi versi e perfino di poche parole emblematiche. L’ultima di queste interpretazioni, che fece di persona, usando soltanto la propria voce, è stata a Venezia, nel novembre del 1998, nel Festival Ca’Foscari Poesia. Dopo riteneva che la sua voce avesse perso la tonalità e l’intensità che credeva indispensabili, e preferiva affidare queste manifestazioni a attori o performer di sua fiducia, tra cui, soprattutto, Ivan Sirtori.
Jorge Eduardo Eielson
A UN UCCELLO DI NOME CHARLIE
Charlie Parker
A todos aquellos que, como yo,
aman el jazz y las estrellas
Si alguna vez confundes
Tu corazón con tu sexo y tu sexo
Con un saxofón que llora
En una calle oscura
O si derramas amor a manos llenas
Sin que nadie lo reciba
Y asustado como un niño te despiertas
Y ya no hay caricia
Ni desayuno tibio
Ni vestido viejo ni vestido nuevo
Y ni una sola gota de materia
Que te recuerde el universo entero
Sino tan sólo
Un saxofón que no te da tregua
Un saxofón que no te da tregua
Es porque Charlie respira
¿Recuerdas cuando tocaba
Round about midnight o Perdido
Y toda Nueva York se arrodillaba
Como si hubiera visto a Dios
En traje oscuro y saxofón de fuego?
Y si descubres el rocío
En el Central Park o Washington Square
Después de haber tomado tanto
Porque ya no tienes lágrimas ni saliva
Para besar a nadie
Cuando quisieras besar a todos
Si olvidas todo huyes de todo pierdes todo
Pero conservas en quién sabe qué bolsillo
La perla atroz de la belleza y la locura
Si lo que llamas vida es solamente
El vino añejo de un instante
El minuto que desaparece cada día
Por el water-closet y regresa transformado
En un pájaro amarillo
Si el café negro y el whisky puro
Se parecen tanto al cabello rubio
De una muchacha que solloza amargamente
Entre tus brazos. Si tu alma frágil
Y tu cuello de basalto tu cigarrillo
Igual a un lucero siempre encendido
Tu pantalón y tu camisa
Siempre en la silla si todo eso
Y muchas otras cosas todavía
Te recuerdan la tristeza y el fulgor
De Harlem bajo la lluvia
Es solamente porque existe
Un saxofón que no te da tregua
Es porque Charlie respira
Porque en sus labios se enciende y se apaga
Una galaxia que nos aniquila
Como un pensamiento o una cifra aciaga
¿Acaso la música no es la medida
La suma total de cuanto existe
Y nuestra propia vida sólo el sonido
De una orquesta que se afina noche y día?
¿Recuerdas las manos de Bud en el piano
Volando como pájaros vivos
Sobre cascadas de luz y cristales hirvientes?
¿Y la trompeta de Dizzy en la noche
Que todo lo volvía incandescente
Y hasta el Empire State se derretía
Como si fuera de oro puro?
¿Y cuando Max tocaba la batería?
¿Recuerdas sus manos armadas
De millares y millares de centellas
Que él lanzaba a tus oídos
A tu corazón y a tu ombligo?
(Todo era ritmo entonces
Tambor el cielo entero
Tambor la luna llena
Y todo lo que nos rodeaba
Tambores solamente
Porque de ritmo somos
Y hasta de ritmo
Aunque de falta de ritmo
Morimos. Con nosotros
Nace el ritmo
Que no es tiempo ni sentido
Ni tampoco alborozo
Sino más bien latido
Tambor de piel humana
Que se quema
Huesos que no son huesos
Sino vacío
Infinitas flautas
De oxígeno divino
Que tampoco es nada
Sino ritmo
Luz que rebota
De nota en nota
En nuestro oído
Disfrazada de sonido)
Y si alguna vez
Lejos del caos de nuestro origen
Del insondable gorila que se asoma
Tristemente en tu mirada
Lejos del tiempo y la rutina
De nuestro amor lleno de trapos
De miserables botones faldas y pantalones
Que se arrugan fácilmente
Si de tanto correr tras de la luna
Bajo cipreses que igualmente corren
Sin darte nunca la mano
No te queda sino el ritmo de las cosas
El resplandor de los objetos
Un tambor en la cabeza
Una botella entre los brazos
Si después de tanto goce y tanto llanto
Tanto inmóvil viaje hacia la nada
El rayo violeta de Saturno
Baña tu cuerpo y tus sábanas sucias
Y ya cercano al fin arrojas
La inútil perla al tacho de basura
O como un perro escondes
Tu viejo saxofón debajo de la cama
Si tus costillas tu cráneo tu sonrisa
Tu pasta de dientes con sabor a tierra
Te recuerdan que la vida
Es sólo harina pan para el gusano
Si la sublime rosa suelta
Sus últimos protones en lugar de su perfume
O el cubo de la luz se apaga para siempre
Si te parece que no sabes nada
Porque no puedes decir nada
Ni sobre el amor ni sobre el ritmo
Si en vez de la fórmula sagrada
De la imposible nota jamás escuchada
Encuentras sólo silencio oscuridad entropía
Las calles lluviosas de Harlem
Más lluviosas y frías aún
Si tu cuarto de hotel en penumbra
Se ilumina como un templo cuando miras
Una vieja fotografía de tu madre joven
Extrañamente azul y sin calzado
Y suena y suena en tu pecho cansado
Un saxofón que no te da tregua
Un saxofón que no te da tregua
Si todo eso no es bastante todavía
No te olvides que Charlie es un pájaro herido
Y que su grito es tu propio grito
Cuando abrazas lleno de rabia
Una extraviada muchacha de cabellos rubios
Y te duelen más que nunca las estrellas
En tu pobre corazón de niño
Y en tu glande estremecido
A UN UCCELLO DI NOME CHARLIE
A tutti coloro che, come me,
amano il jazz e le stelle
Se qualche volta confondi
Il tuo cuore con il tuo sesso e il tuo sesso
Con un sassofono che piange
In una strada buia
O se spargi l’amore a piene mani
Senza che nessuno lo riceva
E spaventato come un bambino ti svegli
E non c’è più carezza
Né colazione calda
Né vestito vecchio né vestito nuovo
E neppure una sola goccia di materia
Che ti ricordi l’universo intero
Ma soltanto
Un sassofono che non ti dà tregua
Un sassofono che non ti dà tregua
È così perché Charlie respira
Ti ricordi quando suonava
Round about midnight o Lost
E tutta New York si metteva in ginocchio
Come se avesse visto Dio
Col vestito da sera e il sassofono di fuoco?
E se scopri la rugiada
Al Central Park o Washington Square
Dopo aver bevuto molto
Perché non hai più lacrime né saliva
Per baciare nessuno
Quando vorresti baciare tutti
Se dimentichi quello fuggi da tutto perdi tutto
Ma conservi in chi sa quale tasca
La perla atroce della bellezza e la follia
Se quello che chiami vita è soltanto
Il vino stagionato di un istante
Il minuto che si dilegua ogni giorno
Attraverso il cesso e ritorna trasformato
In un uccello giallo
Se il caffè forte e il whisky puro
S’assomigliano tanto ai capelli biondi
Di una ragazza che singhiozza amaramente
Tra le tue braccia. Se la tua anima fragile
E il tuo collo basalto la tua sigaretta
Come una stella sempre accesa
I tuoi pantaloni e la tua camicia
Sempre sulla sedia se tutto quello
E tante altre cose ancora
Ti ricordano la tristezza e il fulgore
Di Harlem sotto la pioggia
È soltanto perché esiste
Un sassofono che non ti dà tregua
È perché Charlie respira
Perché tra le sue labbra si accende e si spegne
Una galassia che ci annienta
Come un pensiero o una cifra infausta
Forse la musica non è la misura
La somma totale di tutto ciò che esiste
E la nostra vita forse soltanto il suono
Di un’orchestra che si accorda notte e giorno?
Ricordi le mani di Bud sul pianoforte
Volando come uccelli vivi
Sopra cascate di luce e di cristalli bollenti?
E la trombetta di Dizzy nella notte
Che tutto rendeva incandescente?
E perfino l’Empire State si scioglieva
Come fosse stato d’oro puro?
E quando Max suonava la batteria?
Ricordi le sue mani armate
Di migliaia e migliaia di scintille
Che lui lanciava verso le tue orecchie
E il tuo cuore e il tuo ombelico?
(Allora tutto era ritmo
Un tamburo l’intero cielo
Un tamburo la luna piena
E tutto quanto attorno a noi
Tamburi unicamente
Perché di ritmo siamo fatti
E perfino di ritmo
Benché di mancanza di ritmo
Moriamo. Con noi
Nasce il ritmo
Che non è tempo né senso
E nemmeno giubilo
Ma piuttosto battito
Tamburo di pelle umana
Che si brucia
Ossa che non sono ossa
Ma vuoto
Infiniti flauti
Di ossigeno divino
Che neanche quello è niente
Tranne che ritmo
Luce che rimbalza
Da una nota all’altra
Nel nostro udito
Mascherata da suono)
E se una volta
Lontano dal caos della nostra origine
Nell’insondabile gorilla che si affaccia
Tristemente al tuo sguardo
Lontano dal tempo e la routine
Del nostro amore pieno di stracci
Di miserabili bottoni gonne e pantaloni
Che presto si stropicciano
Se a forza di correre dietro la luna
Sotto i cipressi che pure corrono
Senza darti mai la mano
Non ti rimane altro che il ritmo delle cose
Il bagliore degli oggetti
Un tamburo nella testa
Una bottiglia tra le braccia
Se dopo tanto godimento e tanto pianto
Tanto immobile viaggio verso il nulla
Il raggio viola di Saturno
Bagna il tuo corpo e le tue sporche lenzuola
E ormai vicino alla fine getti
L’inutile perla nel cestino della spazzatura
O come un cane tu nascondi
Il tuo vecchio sassofono sotto il letto
Se le tue costole il tuo teschio il tuo sorriso
Il tuo dentifricio con sapore di terra
Ti ricordano che la vita
È soltanto farina pane per il verme
Se la sublime rosa libera
Gli ultimi protoni anziché il suo profumo
O il cubo della luce si spegne per sempre
Se ti pare che non sai niente
Perché non puoi dire niente
Né sull’amore né sul ritmo
Se al posto della formula sacra
Dell’impossibile nota mai ascoltata
Trovi soltanto silenzio oscurità entropia
Le vie piovose di Harlem
Più piovose e più fredde ancora
Se la tua stanza d’albergo in penombra
S’illumina come un tempio quando guardi
Una vecchia fotografia di tua madre giovane
Stranamente blu e senza scarpe
E suona e suona nel tuo petto stanco
Un sassofono che non ti dà tregua
Un sassofono che non ti dà tregua
Se tutto quello non è ancora sufficiente
Non dimenticare che Charlie è un uccello ferito
E che il suo grido è il tuo stesso grido
Quando abbracci pieno di rabbia
Una ragazza persa dai capelli biondi
E le stelle ti fanno male più che mai
Dentro il tuo povero cuore da bambino
E il tuo glande in sussulto
traduzione di Martha Canfield
Jorge Eduardo Eielson (Lima 1924 – Milano 2006), figura fondamentale della poesia ispanoamericana e dell’arte contemporanea, ha dedicato questa poesia, della raccolta Celebración (2001), al sassofonista Charlie Parker (1920-1955), conosciuto come “Bird”.
mcanfield@alice.it
Su Eielson vedi anche:
Jorge Eduardo Eielson: l'uomo che annodava le stelle alle parole
di Martha Canfield (num. 2)
Jorge Eduardo Eielson, "Gardalis"
di Martha Canfield (num. 3)
Jorge Eduardo Eielson, Di stanza a Roma
di Andrea Santon (num. 7)
Il Centro Studi Eielson
di Martha Canfield (su questo numero)