FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 66
marzo 2024

Inverno

 

L'INVASIONE DELLA POLONIA
Un errore del Prof. Barbero

di Armando Santarelli



In un video che compare su youtube col titolo Hitler non voleva la Guerra?, il professor Alessandro Barbero, dopo aver parlato delle cause della Prima guerra mondiale, sposta l’attenzione sulla Seconda e afferma che «anche quella nessuno la voleva. Siamo in un’Europa, anzi, così traumatizzata dai milioni di morti della Prima che veramente l’idea di un’altra guerra era l’ultima cosa che volevano. Non la voleva neanche Hitler, il quale però era andato al potere in Germania promettendo ai tedeschi che avrebbe di nuovo trasformato la Germania in una grande potenza, che avrebbe messo fine alla vergogna del Trattato di Versailles (…) Hitler non ha nessuna intenzione di scatenare una guerra mondiale, ma vuole riprendersi un po’ per volta quello che appartiene alla Germania, ed è convinto che il mondo glielo lascerà fare, e ci prova, e vede che il mondo davvero lascia fare (…) Non la voleva neanche lui quella guerra, aveva scommesso, tante scommesse gli erano andate bene, quella gli è andata male».

Il prof. Barbero è un grande storico e divulgatore culturale, ma sul fatto che Hitler non volesse la guerra c’è molto da obiettare.
Invero, un conto è dire che Hitler attaccò la Polonia nella convinzione che Gran Bretagna e Francia non avrebbero reagito con la forza, e quindi che il conflitto non si sarebbe allargato; un altro è dire che Hitler “non voleva la guerra”. In realtà, Hitler pensava che una guerra non sarebbe arrivata in quel momento; infatti, come vedremo, egli aveva sempre messo in conto una guerra contro le Potenze occidentali, e ancor più convintamente contro l’Unione Sovietica.

Credo sia evidente che abbiamo due questioni. La prima riguarda le convinzioni malriposte di Hitler sulla reazione della Gran Bretagna e della Francia; malriposte perché Hitler non poteva essere sicuro della loro inerzia, in quanto i due Stati avevano contratto impegni precisi col Governo polacco. Le condizioni, dunque, erano molto diverse da quelle che avevano visto realizzati impunemente i colpi di mano dell’Anschluss, dei Sudeti e della Cecoslovacchia.
La seconda questione è il rapporto di Hitler con la guerra, la sua volontà di scatenare una guerra; e su questo punto il suo pensiero non lascia alcun dubbio.
Non resta che andare ai dati storici; ci rifaremo ad alcuni fra i più autorevoli studi su Hitler e la Germania nazista. Mi riferisco alla Storia del Terzo Reich di William L. Shirer e alle due monumentali biografie hitleriane di Ioachim Fest e di Ian Kershaw.

Cominciamo da Hitler. Eine Biographie, la brillante opera di Fest pubblicata in Germania nel 1973, e in Italia, per Rizzoli, nel 1974. Fest vede un chiaro legame fra l’aggressione alla Polonia e le concezioni generali di Hitler sulla guerra: «È indubbio che (Hitler) fosse perfettamente conscio del rischio che correva: allorché, il 25 agosto, Londra si dichiarò decisa a intervenire in conformità al patto di assistenza che la legava alla Polonia, Hitler, impressionato da tale notizia, aveva ancora una volta revocato l’ordine di marcia; e i giorni successivi non gli diedero certo motivo di ritenere che la volontà di resistenza della Gran Bretagna si fosse attenuata. Ne consegue che, se il 31 agosto rinnovò comunque l’ordine d’attacco, a indurvelo deve essere stato un motivo più profondo».

Questo “motivo più profondo” si evince da un precedente brano di Fest: «È vano porsi il problema della “colpa” della Seconda guerra mondiale (…) L’atteggiamento di Hitler nel corso della crisi, la sua insolenza e petulanza, la spinta irresistibile a esasperare la situazione e alla grande catastrofe, che con tanta evidenza ha condizionato le sue reazioni, tanto da render vana tutta la volontà di compromesso delle potenze occidentali, fanno apparire priva di senso la questione del “promotore” del conflitto. La guerra fu la guerra di Hitler nel senso più ampio del termine: la politica da lui condotta negli anni precedenti, e a conti fatti la sua stessa esistenza tutta quanta, avevano nella guerra il loro punto d’orientamento: senza questa, sarebbero state prive di obiettivo e di coerenza, Hitler non sarebbe stato colui che era. Egli ha affermato che la guerra costituiva “l’obiettivo finale della politica” e l’asserzione conta tra i fondamenti più stabili della sua immagine del mondo».

Veniamo a Kershaw e alla sua monumentale biografia Hitler, 1889-1936 e Hitler 1936-1945, volumi pubblicati in Italia, rispettivamente, nel 1999 e nel 2001. In merito al tema della guerra, anche lo storico britannico sottolinea che Hitler «non aveva mai pensato di evitare il conflitto (…) La guerra, essenza del sistema nazista quale era venuto sviluppandosi sotto la sua guida, era per Hitler inevitabile. Si trattava solo di stabilire quando e con chi».
Kershaw e Shirer riportano in modo dettagliato i frenetici contatti intercorsi nel periodo 22 agosto – 31 agosto 1939 tra il Governo inglese, quello francese e il Reich nazista per scongiurare un attacco tedesco alla Polonia. Riassumendoli, vedremo come la volontà che non abbandonò mai Adolf Hitler fu quella di dominare la scena politica europea, costasse pure lo scatenamento di una guerra.

Il 22 agosto 1939, il Primo Ministro del Regno Unito, Neville Chamberlain, in una lettera personale a Hitler circa le mire tedesche su Danzica, esprimeva con fermezza la posizione inglese: «Di qualunque natura possa essere l’accordo tedesco-sovietico, esso non potrà pregiudicare gli impegni assunti dalla Gran Bretagna nei confronti della Polonia».
Chamberlain si riferiva alla notizia che il Governo del Reich e quello sovietico avevano deciso di concludere un trattato di non aggressione. In effetti, il 23 agosto Germania e Unione Sovietica firmavano un patto di non aggressione e un “Protocollo segreto addizionale” sulla delimitazione delle reciproche sfere di interessi nell’area orientale.

Intanto, il 22 agosto, prima del ricevimento della missiva di Chamberlain e della firma del patto tedesco-sovietico, Hitler aveva riunito all’Obersalzberg i capi militari informandoli che probabilmente avrebbe dato l’ordine di attacco alla Polonia per il sabato seguente, 26 agosto. Dopo aver affermato che la situazione si presentava particolarmente favorevole, Hitler aggiunse di temere che Chamberlain riuscisse a combinare un’altra Monaco: «Temo soltanto», precisò, «che qualche Schweinehund (Sporco cane) faccia proposte di mediazione». Ancora il giorno successivo, 23 agosto, i piani hitleriani non erano mutati; l’aggressione alla Polonia rimaneva fissata per il 26 agosto.

Il 25 agosto, però, le cose cambiarono. Verso le sei pomeridiane, l’ambasciatore italiano a Berlino, Bernardo Attolico, consegnò a Hitler una lettera di Mussolini in cui questi informava il Führer di non essere in condizione di «prendere l’iniziativa in operazioni militari, dato l’attuale stato della preparazione bellica italiana, circa la quale abbiamo ripetutamente e in tempo utile informato Voi, Führer, e Herr Von Ribbentrop».
Più o meno alla stessa ora, Hitler apprese che a Londra era stato firmato il trattato anglo-polacco che trasformava la garanzia unilaterale data dalla Gran Bretagna alla Polonia in un patto di mutua assistenza militare.

A seguito di queste notizie, nella serata del 25 agosto Hitler revocò in fretta e furia l’attacco alla Polonia, previsto alle 4.30 del mattino del giorno successivo. Quando chiamò al telefono Göring, questi gli chiese se la misura della sospensione fosse definitiva. «No», rispose Hitler, «devo vedere se riesco a impedire l’intervento britannico».
Il commento di Shirer è indicativo: «È certo strano che Hitler pensasse ancora di riuscire, come disse a Göring, “a impedire l’intervento britannico”, dopo che l’ambasciatore Henderson, quello stesso giorno, l’aveva nuovamente avvertito che se la Polonia fosse stata attaccata la Gran Bretagna sarebbe scesa in campo, e dopo che il governo britannico aveva proprio allora dato solennemente la sua parola in tal senso con un trattato ufficiale».

Intanto, a dispetto delle “incertezze” di Hitler, la preparazione alla guerra proseguiva. Il 27 agosto il Governo tedesco annunciò che a partire dal giorno seguente sarebbe iniziato il razionamento dei generi alimentari, del sapone, delle scarpe, dei tessili e del carbone. Shirer, presente a Berlino, scrive: «Ricordo che questo annuncio, più di ogni altra cosa, rese consapevole il popolo tedesco dell’imminenza della guerra».
Alle 22.30 del 28 agosto, l’ambasciatore britannico a Berlino, sir Nevile Henderson, consegnò a Hitler una nota di Chamberlain e del Ministro degli Esteri, Lord Halifax, in cui si confermava che il Governo britannico «non poteva acconsentire a una soluzione che mettesse a repentaglio l’esistenza di uno Stato al quale esso aveva dato la sua garanzia». Il passo successivo, chiariva la nota inglese, avrebbe dovuto essere «l’inizio di conversazioni dirette tra il governo tedesco e quello polacco».

Le trattative fra polacchi e tedeschi non ebbero neppure inizio, per la riluttanza dei primi e l’intransigenza dei secondi. Il 29 agosto, il Governo tedesco faceva scattare quella che Shirer definisce “la trappola” ai danni della Polonia, perché pretese che entro la mezzanotte del 30 agosto fosse inviato a Berlino un delegato polacco “con pieni poteri”. Il 31 agosto, alle 12.30, e dunque prima che l’ambasciatore polacco Józef Lipski – latore di una comunicazione con la quale il governo di Varsavia si dichiarava disposto ad esaminare la possibilità di negoziati diretti con il governo tedesco – fosse ricevuto e subito congedato dal Ministro degli Esteri tedesco Joachim von Ribbentrop in quanto «non delegato con pieni poteri», Hitler diede l’ordine di invasione della Polonia, fissata per le ore 4.45 del 1° settembre.
Quel 31 agosto, il generale Franz Halder, Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, annotò nel suo diario: «Il generale Stülpnagel informa che l’ora dell’attacco è stata fissata per le 4.45. Si dice che l’intervento dell’Occidente sarà inevitabile; ciò nonostante, il Führer ha deciso di attaccare».

Nel pomeriggio del 1° settembre, quando le colonne corazzate tedesche erano già penetrate per parecchi chilometri nel territorio polacco, nessuna comunicazione del Governo britannico e di quello francese era ancora giunta a Berlino. La sera, però, tutto cambiò. L’ambasciatore inglese Henderson e quello francese Robert Coulondre consegnarono a Ribbentrop due note ufficiali, simili tra loro, in cui veniva esplicitato che se il governo tedesco non avesse ritirato immediatamente le sue forze dal territorio polacco, i governi di Sua Maestà e della Francia avrebbero adempiuto i loro obblighi verso la Polonia.
L’ultimo, disperato tentativo di fermare il conflitto, il 2 settembre, fu opera di Mussolini, e si sostanziava in un armistizio che lasciasse gli eserciti «dove si trovavano» e nella convocazione di una conferenza “entro due o tre giorni”. La risposta del Governo britannico, che l’ambasciatore italiano Attolico comunicò a Ribbentrop alle 20.50 del 2 settembre, era inequivocabile: prima di dare inizio ai negoziati, gli inglesi chiedevano l’immediato ritiro delle forze tedesche dai territori occupati.

Nelle prime ore del mattino del 3 settembre, l’Inghilterra inoltrava a Berlino una comunicazione con la quale dichiarava di voler adempiere ai suoi impegni verso la Polonia se le truppe tedesche non fossero state prontamente ritirate. Il telegramma di Halifax precisava: «Così ho l’onore di informarvi che, qualora non più tardi delle undici antimeridiane (orario inglese estivo) di oggi 3 settembre non siano date dal governo tedesco assicurazioni soddisfacenti a tale riguardo al Governo di Sua Maestà, a partire da quell’ora fra i due paesi esisterà lo stato di guerra».
Scrive Shirer: «Poco dopo le undici, allo scadere del termine dell’ultimatum inglese, Ribbentrop fece chiamare l’ambasciatore britannico per consegnargli la risposta della Germania. Disse che il governo tedesco si rifiutava “di ricevere o di accettare l’ultimatum inglese, per non parlare poi di darvi seguito”». Poche ore dopo, l’ultimatum della Francia subì lo stesso destino; iniziava così la Seconda guerra mondiale.

Possediamo ora un quadro più chiaro per rispondere ai quesiti che abbiamo posto.
Shirer scrive che ancora dopo il mezzogiorno del 31 agosto, Hitler «non era del tutto sicuro su quello che sarebbe stato il comportamento della Gran Bretagna e della Francia». Kershaw, a sua volta, precisa che «malgrado tutti gli avvertimenti, e a dispetto delle ostentazioni di spavalderia, i piani hitleriani, regolarmente sostenuti dal guerrafondaio Ministro degli Esteri, erano fondati sul presupposto che l’Inghilterra non sarebbe entrata in guerra».
È vero, Hitler rimase persuaso che Francia e Inghilterra non sarebbero intervenute persino quando l’attacco alla Polonia era già pienamente in atto. Ma ripetiamo, essere convinti di qualcosa non equivale ad esserne sicuri. Come abbiamo visto, le dichiarazioni dell’Inghilterra e della Francia circa l’appoggio militare alla Polonia non erano mai venute meno.
La verità è che Hitler ruppe gli indugi perché la guerra sarebbe comunque arrivata, perché egli voleva la guerra, sia all’Occidente sia all’Unione Sovietica; la guerra era sempre stata nei suoi disegni.
Kershaw riporta la netta affermazione, resa anni dopo la fine del conflitto, di Nikolaus von Vormann, ufficiale di collegamento di Hitler con i comandi militari: «Hitler non credeva in una guerra con le potenze occidentali perché non voleva crederci (…) L’iniziativa provenne da Hitler, mentre l’essenzialmente sottomesso (weiche) Ribbentrop, che in ogni caso non poteva vantare un giudizio personale, ritenne appropriato e vantaggioso rinsaldarlo in questa opinione». E Kershaw, a seguire: «Fu Hitler a decidere. Questo almeno è chiaro».

Forse la manifestazione più indicativa del pensiero di Hitler è il discorso che egli tenne il 23 maggio 1939, nella Cancelleria, dinanzi a un gruppo di alti comandi della Wermacht. Hitler considerava riservata quella riunione, per cui non furono redatte note o verbali ufficiali. Ma «fortunatamente per la storia» (Shirer), l’aiutante del Führer, tenente colonnello Rudolf Schmundt, prese degli appunti.
«Si tratta», osserva Shirer, «di uno dei documenti segreti più rivelatori e importanti fra quanti illustrano il cammino di Hitler verso la guerra. Di fronte agli uomini che dovevano dirigere le forze militari in un conflitto armato, Hitler abbandonò la propaganda e l’inganno diplomatico e spiegò sinceramente perché era necessario attaccare la Polonia e, se necessario, schierarsi anche contro la Gran Bretagna e la Francia. Egli predisse con straordinaria esattezza il corso della guerra, almeno nel primo anno».
Shirer cita i punti salienti del verbale di Schmundt: «Danzica non è affatto il vero motivo della disputa. Si tratta di espandere il nostro spazio vitale a oriente… Non ci si deve attendere una ripetizione dell’affare cèco. Questa volta sarà la guerra. Il primo obiettivo consiste nell’isolare la Polonia». Più avanti, Hitler rivolse la sua attenzione alla Gran Bretagna: «Il Führer», annotò Schmundt, «dubita che un accomodamento pacifico con l’Inghilterra sia possibile. È necessario prepararsi a una resa dei conti. L’Inghilterra vede nello sviluppo della Germania il formarsi di un’egemonia destinata a indebolirla. Perciò l’Inghilterra è nostra nemica e il conflitto con quella nazione è un problema di vita o di morte».

Resta da esaminare l’atteggiamento che Hitler tenne dopo le dichiarazioni di guerra della Gran Bretagna e della Francia.
Il 19 settembre 1939, a vittoria ormai sicura (perché la sola Varsavia resisteva all’esercito tedesco), Hitler dichiarò di non avere fini di guerra contro l’Inghilterra e la Francia. E il 26 settembre, a Birger Dahlerus, uomo di fiducia di Göring e intermediario con il Governo britannico, disse che «se lo volevano, gli inglesi potevano avere la pace in due settimane».
Ai suoi generali, però, Hitler parlava in modo del tutto diverso. «Il 27 settembre», scrive Shirer, «ossia il giorno dopo aver assicurato a Dalherus di essere pronto a firmare la pace con l’Inghilterra, Hitler convocò nella cancelleria i comandanti in capo della Wermacht e li informò della sua decisione “di attaccare ad occidente quanto prima possibile, finché l’esercito franco-britannico è ancora impreparato”».

Il 6 ottobre, parlando al Reichstag, Hitler proponeva una grande conferenza per risolvere i problemi della pace e della sicurezza in Europa. In quel discorso, che Shirer ascoltò in diretta, Hitler, «con la sua abituale eloquenza e ipocrisia», tornò a parlare di amicizia con Francia e Inghilterra, sottolineando, però, il prioritario riconoscimento della spartizione della Polonia fra Germania e Unione Sovietica. Sarebbe stata, scrive Kershaw, «una pace alle condizioni di Hitler, priva di concessioni su quanto da lui conquistato». Non mancò, continua lo storico, «un fosco scenario di morte e distruzione in caso di rifiuto della sua “offerta”».
Il giorno successivo, Édouard Daladier, Primo Ministro francese, rispose che la Francia non avrebbe deposto le armi se non dietro garanzie «per una vera pace e per la sicurezza generale». Quanto a Chamberlain, il 12 ottobre definì «vaghe e incerte» le offerte di Hitler, e soprattutto osservò che «non contenevano proposte per riparare ai torti fatti alla Cecoslovacchia e alla Polonia».

In mezzo alle due repliche, Hitler, il 10 ottobre – quindi senza attendere la risposta del Primo Ministro inglese – aveva convocato i vertici militari, ai quali aveva letto un lungo memorandum in cui giustificava la guerra all’Occidente.
«Ancora una volta», osserva Kershaw, «ebbe a sottolineare il ruolo cruciale del fattore tempo… Obiettivo era la completa disfatta militare delle potenze occidentali». Il contenuto del memorandum trovava applicazione nella “direttiva n. 6 per la conduzione della guerra”. Hitler specificava che, se l’Inghilterra e la Francia «non sono disposte a porre fine alla guerra, deciderò di agire energicamente e aggressivamente senza troppo indugiare (…) Si debbono fare i preparativi per un’operazione d’assalto… attraverso il Lussemburgo, il Belgio e l’Olanda. Tale attacco dovrà essere effettuato… il più presto possibile».

Il problema di Hitler, al momento, era costituito dal fatto che i generali tedeschi dubitavano dell’efficacia di un’offensiva a occidente. «Ma a quel tempo», scrive Shirer, «ciò che Hitler desiderava ardentemente era invece la guerra, il dar battaglia, e ne aveva fin sopra i capelli di quel che egli riteneva essere un’inescusabile pavidità dei suoi generali».
Dopo altri incontri e titubanze, Hitler, il 22 ottobre (annotazione nel diario di Halder), comandò che l’attacco avesse inizio il 12 novembre; tuttavia, il 7 novembre, dopo aver ricevuto i rapporti sulla situazione meteorologica e sui trasporti ferroviari, rimandò le operazioni belliche.
Quello fu il primo dei quattordici rinvii che Hitler dispose nell’autunno e nell’inverno del 1939-40. Le copie rinvenute negli archivi dell’OKW (il Comando Supremo della Wermacht), scrive Shirer, «dimostrano che il Führer non abbandonò in nessun momento la sua decisione di attaccare a occidente; ritardò semplicemente la data di settimana in settimana».

Com’è noto, nell’aprile 1940 la Germania occupò la Danimarca e la Norvegia. Infine, il 10 maggio, gli ambasciatori del Belgio e dell’Olanda furono informati da Ribbentrop che le truppe tedesche stavano entrando nella loro Patria «per salvaguardarne la neutralità contro un imminente attacco anglo-francese»; era l’ennesima, sfacciata mistificazione architettata da Hitler e Ribbentrop.
A Bruxelles, il Ministro degli Esteri belga, Paul-Henri Spaak, disse queste parole all’ambasciatore tedesco Vicco von Bülow-Schwante: «È la seconda volta, in venticinque anni, che la Germania commette un’aggressione delittuosa contro un Belgio neutrale e leale. Ciò che sta accadendo è forse perfino più odioso dell’aggressione del 1914».

Mi pare di aver detto abbastanza. Hitler voleva la guerra, e la voleva sia contro la Polonia, sia contro l’Occidente, sia contro la Russia. Come scrive Kershaw, Hitler non aveva mai pensato di evitare questi conflitti. Dire che Hitler «non voleva la guerra» è impreciso, è un’affermazione che andrebbe sempre accompagnata da una specificazione: «Non voleva un’estensione del conflitto – praticamente una guerra mondiale – nel momento in cui decise di attaccare la Polonia. Ma la guerra sarebbe comunque arrivata, perché per Hitler la guerra era “l’essenza dell’attività umana, la vita, la cosa più naturale, la condizione originaria”».


armando.santarelli@inwind.it