FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 29
gennaio/marzo 2013

Velocità

 

IL TEMPO BRUCIA

di Stefania Portaccio



*

Kierkegaard (Diari): la paura
è un’attrazione, un’ esca

la paura è tutta da decifrare

ha ragione? sto per abboccare?


tutto il tempo

vedi com’è?
darei la testa al muro per com’è
ma così è
che ti penso e invento
accanto

non ne sai niente

e io tutto il tempo nella mente
a dirtelo


Fretta

il cuore è stufo, vuole essere abbracciato
per questo ho pianto al banco del mercato
(a Rita della frutta ho fatto un gesto
di pazzia con la mano, le è bastato)

dirti che mi fai pensare ai baci: sbagliato!
figuriamoci dirti l’abbraccio che mi manca
di darmelo, di non tenerlo
ripiegato, chiuso: escluso!

ho pianto – una fretta così tanta
d’averti
che l’unica è cacciarti


out

in-namorarsi è out
going abroad
to fall in un dirupo a lato

attendere slogata l’altra me
a riportarmi sulla via

avere nostalgia


mi raccomando testa sulle spalle!

la testa meglio starebbe sul tuo petto
e i piedi allineati col bacino
insomma, sdraiata vicino

invece, tengo i piedi
per terra
e la testa sulle spalle

che palle!


pozione

una voce torbida,
sexy, curva, torbata
ci metto

tu mettici parole armate
dalla tua mente sorprendente
ignota

ci metto un sorriso insistito
una conferma sfrontata

tu mettiti non inerte non pauroso
non scaltro

beviti tutto che bene ti fa


del sesso di poi son piene le stanze

uva spiccata appena, pronta
terra smossa, lucente, grassa, pronta

è adesso

invece ti scavo la fossa, rossa d’onta


l’ora non viene

che non è mai venuta
come se fosse l’ora della vita

aspetto che tu dica
ch’io sono l’ora e mi divora
paura che tu non sia la mia di ora
che non sia buona l’ora
e la volta ancora

e aspetto e aspetti e stiamo troppo zitti


d’un lampo sono nata

non ci è voluto niente
una guardata

si sono mosse
le tombe i letti i fiori sul balcone
i libri dalle mensole

come campava chi era io ier l’altro?
– so ch’era vero

ma sembra che non c’ero e solo adesso
d’un lampo sono nata, nuova, scema
beata


ancora

la fola non fa più gola –
dici – ma urge ancora – dico
il gioco di scoprire
le carte, imparare l’arte
di stare insieme
coltivare il seme
stranissimo dell’altro

amica
sperimento un innesto
improprio – solo per miracolo
o fine di un sortilegio
fiorirà il rovo

ma io lo stesso
credula nelle fiabe
nel mio sesso lo covo


è tardi

è tardi – nella casa
una donna trasmette il suo segnale

a volte un gracchío debole
a tratti – vergogna – un vecchio rock

se viene una musica accettabile
(un brano noto anche se
l’esecuzione notevole non è)
vorrebbe fartela sentire

ma non ci sei

e a cercarti, dicono, si perde il filo, il fiato
si perde il ritmo

il tempo si perde, dico io

ma è tardi e di nascosto
ci prova – al buio pesto
scambia il tuo gracchío per la risposta
musicale
al suo segnale

è tardi, è sola e si fa male


fuori!

al freddo le ossa tinnano
come un cancello scosso: voglio entrare
al fuoco del camino al dolce odore
ocra dei corpi al bisbigliare

ma temo – nella schiusa
seta dell’incarnato
per tutto il tempo temo
l’agguato

ad ogni scricchiolio il contrarsi
della casa in tugurio e io
nella misera che attende
stente visite nasconde
sotto il letto
il fascio zuppo di pianto delle lettere
e ogni desolante altro aspetto

mi dico: via dal camino!
le dolci monachine le streghe le befane
le mani enormi da dormirci dentro
bimba e gigante amata e amante

in fretta fuori con spalle naso seno
fuori dal giardino
fiorito sotto i piedi per incanto
rorido fitto di steli mormoranti

al freddo augusta col vecchio mantello

fuori! dentro la vita fatta a punta
e dura e che finisce angusta


rottura

sembrava una questione dirimente
invece niente – la distanza
ha solo cambiato stanza

una sala spoglia
ai piedi uno spiffero gelato
che costipa ogni voglia
d’afflato

mio caro, che peccato!


tutto non c’è ancora

il tempo brucia – tutto non c’è ancora

le sedie financo implorano di stare

al corso yoga si dice chiaramente
del fulgore presente

lappare immemori
immersi come pupi nell’istante

ma l’animo attempato ama bruciare
il tempo: tutto che non c’è ancora

di tutto in fretta prima di morire


volevo tutto e ho te che mi fai correre

nella corsa per te sbuffo vapore
sono un cavallo all’alba
sono l’odore
delle foglie che pesto
sono l’umanità pacifica in panchina
sono gli alberi

nella corsa per te rompo la scorza
vengo alla luce
dentro il mio corpo come una radice
come la volpe stanca alla sua tana
come la rana affonda nel suo stagno
corro dritta da te
e in te mi bagno


lo so, stiamo morendo

lo sguardo coglie
via via il mutamento della luce
la prospettiva dietro che s’allunga

l’allarme che vena la bellezza
la rapace tristezza
della presa ma

se la manco non mi piace niente

perciò ti amo tanto:
mentre muoio mi scordo di morire
a tratti addirittura m’incanto

 


La silloge è inedita.


stefania.portaccio@gmail.com