In uno dei suoi brevi «billets du lever» (brevi o brevissimi messaggi, riflessioni che Régine Detambel utilizza nei suoi diari per cominciare bene la giornata) intitolato jardin zen en Languedoc, Régine Detambel scrive: «Lasciare la strada dove si è troppo distratti dall’immagine intensa del cielo (vi sono i miraggi sul catrame, grandi e scintillanti liquefazioni) per camminare nei vitigni. Imporsi il lavoro molto faticoso di avanzare nel disordine perfetto dei ceppi, in mezzo alle loro brecce e ai loro strani equilibri irti d’ostacoli e pezzati di piccoli abissi. In questo caos di pietre e legno intrecciati, non vi è nessun passo (nessuna composizione di sforzi) uguale al precedente e la cui idea possa servire due volte».
Nata nel 1963, Régine Detambel, di formazione kinesiterapista, vive nel sud della Francia, vicino à Montpellier ed è l’autrice, a partire dal 1990 di una vasta opera letteraria pubblicata per l’essenziale da Julliard, Le Seuil e Gallimard. I suoi libri interrogano il corpo e la memoria del corpo, attraverso esperienze sensibili. La scrittrice percepisce il corpo come «l’occhio del ciclone, il luogo dove costantemente è posto l’accento nel corso della nostra esperienza». Nella sua ricerca si chiede «dov’è il corpo dello scrittore quando scrive, del cantante quando canta? Il corpo è racconto incarnato e soprattutto desiderio d’un racconto». Ella non è per niente in guerra contro il tempo. Lo accarezza – si direbbe – per il verso del pelo.
Lei si è occupata degli scrittori camminatori: Virginia Woolf, Bruce Chatwin, Jean Giono, Nietzche, Rousseau e molti altri. La marcia è, secondo lei, uno dei modi migliori per afferrare il mondo. Camminare faciliterebbe dunque il lavoro creativo?
Si tratta, secondo me, della camminata in quanto ritmo e non in quanto ‘passeggiata’, poiché tutto il problema, per l’artista (e non solo) consiste nella consapevolezza di come ritmare la propria vita. I nostri giorni, le nostre fasi (letterarie, musicali o gestuali) alternano tensioni e distensioni, sforzi e riposo, slanci e ricadute. Una tale agilità caratterizza sia la vita interna sia il funzionamento muscolare. Forse non vi è in fondo né velocità né lentezza, ma soltanto un ritmo che tenta il più armoniosamente possibile di organizzare la nostra esistenza, la quale funziona per impulsi successivi.
In quanto al camminare di Virginia Woolf o di Nietzsche, è lungi dall’essere una marcia sportiva. In realtà, il loro pensiero ha necessità di essere mimato piuttosto che espresso; mimato, vale a dire suggerito non tanto per il significato convenzionale delle parole quanto per il ritmo singolare della frase. Il loro modo di marciare è proprio sinonimo di ‘ispirazione’, di creazione. Il modo con cui un frammento di poesia agisce sulle loro menti, ritmando nel contempo e in modo spontaneo il movimento delle loro gambe è singolare. Viceversa, essi spiegano come il ritmo di questa camminata, la sua pulsazione, influiscano direttamente sul pensiero della scrittura e la forma della frase. In Woolf, per esempio, il pensiero letterario produce eccitazione e si rivela pazzamente trainante, «suscitando un tale sconvolgimento, una tale agitazione intellettuale» che le è spesso impossibile rimanere ferma per scrivere: «Mi ritrovai dunque a camminare d’un passo rapido sull’erba d’un prato».
Lei è nemica della velocità?
Niente affatto, anzi. Anche perché la velocità è la componente necessaria di ciò che viene chiamato il ritmo, il che suppone variazioni, slanci, troncamenti, accelerazioni; poi e soprattutto perché la velocità è dal mio punto di vista più vicina al lavoro del pensiero, della scrittura. Scrivere mi autorizza a pensare qualche ora al giorno alla velocità dell’intuizione, il che è straordinariamente inebriante!
Si sente una profonda armonia nel suo lavoro, un desiderio di andare verso la bellezza. A cominciare dai titoli: La splendeur, Sur l’aile, Noce de chêne, 50 histoires fraîches. La lista sarebbe lunga. Come ha ottenuto questa armonia?
Non avevo mai guardato la litania dei miei titoli come una poesia. Ma lei ha ragione nel sottolineare che la lista, l’inventario sono meravigliosi strumenti poetici. In quanto all’armonia, forse essa comincia a radicarsi dopo alcuni decenni, a forza di lavoro, e perché si avverte sempre di più il significato di ciò che si fa scrivendo. Anche se non ne siamo del tutto consapevoli. Sì, penso che questa armonia sia qualcosa di inconscio.
Kafka (e non solo lui) diceva che non fare niente è un eccellente lavoro poetico.
Certo. Bisogna lasciare attecchire la scrittura in noi, farla lievitare. Occorre anche conoscersi sufficientemente per saper accogliere al momento giusto l’idea che fermenta, dalla quale tutto scaturirà. Un frammento di frase ricopiata o scribacchiata agisce come un lievito o come un fondo di barile: esso fa mutare ciò che non era che liquido. Si rapprende.
Lei è kinesiterapista, come prima formazione. Negli ospedali si è occupata a lungo di degenti dal corpo in via di ricostruzione – parte della sua opera ruota ossessivamente attorno al corpo – e il suo ultimo romanzo Son corps extrême ha per protagonista Alice – nome per niente casuale – che impara di nuovo a camminare dopo un incidente…
… Ed è tutto il ritmo della sua vita che rimane sconvolto. Non vi è nulla di più lento della camminata d’una adolescente tra le sbarre parallele, poi con le stampelle… e la stessa guarigione, questo processo straordinario, è un amalgama di lentezza e di velocità.
Si crede che il paziente ospedalizzato sia passivo, inattivo, ma è tutto il contrario nel suo intimo. Nella sua carne, tutto si attiva, aspira, si separa, si moltiplica affinché le fratture si consolidino e le piaghe cicatrizzino.
«In che momento è iniziata la guarigione [si chiede Alice]. Una cosa è sicura, tutto è cambiato sotto i suoi occhi senza che lei se ne rendesse conto, addirittura cambia il modo in cui le luci al neon rischiarano il grande corridoio. Un potente sconvolgimento è avvenuto ed ora ecco che il declino stesso sta declinando. Le piaghe s’ammorbidiscono, gli edemi si riassorbono, i muscoli tornano rosei, le forme fanno di nuovo capolino e il volto diventa sempre più mobile. E anche l’incarnato, la pelle, tutto, vale a dire che nulla sfugge al miglioramento: guarisce persino lo sguardo e il sorriso e il timbro della voce e il gesto della mano, tutto guarisce, alla molle velocità delle stagioni, compresa la stessa camminata, naturalmente, e si sciolgono a poco a poco le suole di piombo. Per qualche mese, guarire è più rapido che invecchiare, anzi, ribalta la situazione. Si ringiovanisce. E nelle pieghe del nuovo mondo che attende Alice, ci sarà di certo un luogo vergine da dove riavviare qualcosa.»
In Opéra sérieux, ha raccontato la storia di una cantante lirica che ha dedicato tutta la sua vita alla voce. E qui ritroviamo il binomio velocità e lentezza…
Velocità e lentezza che in questo caso sono viste sotto l’angolo della musicologia. Allegro, andante, etc. Il musicista, il melomane, è colui che sa integrare i ritmi sonori nella sua vita estetica, affettiva.
La gente ha sempre più fretta, è sempre più oppressa. La lentezza è un’arte che s’impara?
Amo la velocità del pensiero, ma pratico anche il tai chi chuan, che è un’arte della lentezza. Trovo che sia molto difficile essere lenti ed estremamente costoso in energia quel muoversi lentamente, anche se dispiacerà agli unaus. Ma sono convinta che lentezza e velocità siano ambedue necessarie. Il ritmo della vita si nutre in permanenza di queste due tendenze. Certo, preferisco la velocità ma sono consapevole che ogni periodo di riposo prepara lo sforzo successivo. Dopo la propulsione, noi sospendiamo brevemente (oppure no) la nostra attività per meglio rimbalzare in seguito. Durante questo minuscolo riposo, l’energia si mette in sordina, si raccoglie, si accumula di nuovo prima di poter essere riutilizzata. L’atleta lascia alla sua forza il tempo di ricostituirsi. Tutte le nostre vite sono delle esistenze d’atleta, oscillanti tra velocità e lentezza.
Se lei avesse uno dei suoi «billets du lever» da offrire ai lettori di Fili d’aquilone attorno al tema della velocità, quale sarebbe?
Parlerei ancora di Virginia Woolf, che ha allenato di continuo il suo cervello a pensare velocemente, a scrivere sportivamente. Si è uccisa a cinquantanove anni eppure aveva passato il suo tempo a preparare la sua ipotetica vecchiaia: «Ho cominciato a leggere Freud ieri sera; per allargare il cerchio; per dare al mio cervello un campo più esteso; per renderlo oggettivo, per uscire da me stessa. Così vincerò il declinare dell’età. Bisogna sempre affrontare nuove questioni. Rompere il ritmo etc.»
Mi ripeto piuttosto spesso questo mantra woolfiano: «Voltare sempre brutalmente il guanciale». Riservarsi di continuo una via d’uscita. Spesso basta niente.»
Ultime pubblicazioni
Per le edizioni Actes Sud, è l’autrice del saggio Syndrome de Diogène. Eloge des vieillesses (essai, 2008) e di due romanzi : Son corps extrême (2011) e Opéra sérieux (2012). Quest’ultimo esplora le sottigliezze della voce cantata.
La splendeur (narrativa) sarà pubblicato da Actes Sud nel gennaio 2014.
Premi e riconoscimenti
Cavaliere delle arti e delle lettere, ha ricevuto il premio Anna de Noailles dell’Académie française. Nel 2011, La Société des Gens de Lettre le ha conferito il Grand Prix Magdeleine-Cluzel per l’insieme della sua opera.
Nel suo sito www.detambel.com presenta le sue attività di conferenziera e di formatrice in «biblioterapia».
Foto Lino Cannizzaro
viviane.c@alice.it
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