Capita d’innamorarsi, ed è un novità che velocemente sconvolge il nostro sentire, si offusca la ragione e il processo amoroso apre percorsi inconsueti, a volte rischiosi. Nel suo ultimo romanzo, Gli innamoramenti, Javier Marías narra di una donna poco più che trentenne che, quasi, s’innamora di una “coppia perfetta”, quantomeno apparentemente e nella sua immaginazione. Li osserva in modo maniacale e assorbe dalla loro felicità e naturalezza dei gesti una sensazione di appagamento che le fa iniziare bene la noiosa giornata lavorativa. Senza invidia perché la bellezza di quell’amore ha la forza di destarle i sensi, di schiudere il lucchetto interiore. Sono anni che osserva (spia) tutti i giorni quella coppia di sconosciuti che è entrata a far parte della sua vita: i due innamorati, sposi non più giovani, si accarezzano con gli occhi e hanno sempre tante cose da dirsi: e lo fanno con tenerezza e si baciano sulle labbra quando si salutano.
Poi, un giorno, la coppia scompare, non viene più a fare colazione, e la protagonista precipita nello sconforto. Cos’è accaduto? L’azione si svolge in un caffè di Madrid: la donna (e voce narrante) che sta da sola si chiama María Dolz, la coppia felice è composta da Luisa e Miguel Desvern.
Poi, per un centinaio di pagine, capita ben poco. All’azione del guardare si sostituisce quella del pensare e i movimenti accadono più che altro nelle teste dei protagonisti di questa storia in cui tutti impiegano immense energie intellettive nell’elaborare le mosse degli altri: avversari o amici. Non è un romanzo facile perché, contrastando la velocità dei processi d’innamoramento, l’autore se la prende comoda nello svelare o, meglio, nello scavare nei processi della mente: le sue tortuosità, indolenze e brusche accelerazioni, ipotesi vorticose, contraddizioni e ambiguità, cinismo e ipocrisia. Azioni riflesse, smottamenti interni che danno al romanzo uno specifico spessore, lo appesantiscano, anche, ma gli conferiscono un tratto originale, lucidissimo eppure tendenzialmente allucinatorio. La cifra stilistica è inconfondibile: la frase si dilata, come una rete tesa a prendere più pesci possibili, per poi chiudersi di colpo, a tenaglia. Il monologo interiore può interrompersi per un nonnulla: un rumore, un altro pensiero che annulla quello pensato. La scrittura è un ordito elaborato lentamente, con intelligenza, resa, poi, in un italiano perfetto da Glauco Felici, scomparso dopo aver chiuso questo lavoro di traduzione.
La coppia non siede più la bar perché l’uomo, Miguel, è stato assassinato in strada da un balordo che lo ha pugnalato più volte accusandolo di aver corrotto le figlie, di averle obbligate a prostituirsi. Lo ha scambiato per un altro, probabilmente, e proprio nel giorno del suo cinquantesimo compleanno. María apprende la notizia tramite un’amica e d’impulso le viene il desiderio di conoscere Luisa, la superstite della “Coppia perfetta”: cosa accade all’amore quando muore la persona amata? come si evolve? L’intreccio di amore e morte è una presenza costante nelle opere dell’autore spagnolo, ma qui non si ripete perché subentra Javier, amico di Miguel. L’uomo, innamorato di Luisa, aspetta la fine del lutto, attende pazientemente che l’amore della donna nei confronti del marito defunto sfumi per poi sostituirlo. I morti devono far posto ai vivi.
María trova Javier molto attraente – così assomigliante a un giovane Gassman – e i due iniziano una relazione: lei innamorata, lui solo in attesa che il tempo e l’oblio gli concedano la possibilità di unirsi a Luisa. María non si fa illusioni: meglio una storia d’amore come questa che il nulla, che il restarsene chiusa nel suo mondo di carta e parole (la donna lavora in una casa editrice). Poi a Maria, dopo aver ascoltato casualmente un dialogo tra Javier e un suo eccentrico amico, giunge il sospetto che il suo amante (e amato) abbia avuto un ruolo decisivo nella morte di Miguel. Si spaventa e, quindi, si allontana dall’uomo. Javier allora pensa che lei, tanto innamorata di lui, per comportarsi così deve aver ascoltato quella conversazione. I due si rivedono, lei ha paura, lui argomenta e spiega: sì, un delitto c’è stato, ma non un omicidio visto che è stato Miguel, malato terminale, a volerlo, a supplicarlo di aiutarlo a porre fine ai suoi giorni. Sarà vero? Lui è così innamorato di Luisa che potrebbe anche uccidere?
Passano gli anni e María riprende la sua vita nella casa editrice, sempre alle prese con scrittori vanitosi e complicati. Incontra un altro uomo, pensa di sposarsi. Un giorno, durante una cena di lavoro, scorge a un tavolo una coppia d’innamorati: stanno bene assieme, anche loro si accarezzano con gli occhi: un’altra coppia perfetta? Guarda meglio e riconosce Luisa, la vedova di Miguel, e davanti a lei c’è un uomo tutto soddisfatto: è Javier che ha realizzato il suo sogno. A che prezzo? Ogni storia, anche la più semplice e banale, ha la sua verità molteplice.
Gli innamoramenti è un noir (lento) a sfondo metafisico e saggistico diviso in quattro parti dove baldanzosi fanno capolino Balzac e Dumas (rispettivamente con Il colonnello Chabert e I tre moschettieri) e lo sfarzo della scrittura di Javier Marías ha il potere di fermare sulla pagina – con ipnotiche e minuziose digressioni/riflessioni – l’inafferrabilità e la fuggevolezza dei pensieri umani, l’ambiguità dei gesti e il lato oscuro dell’amore. Per questo la sua lettura è seducente, e senza fretta conquista il lettore.
Javier Marías, Gli innamoramenti, Einaudi 2012, traduzione dallo spagnolo di Glauco Felici. Pagg. 306, euro 20 (titolo originale Los enamoramientos, 2011)
da Gli innamoramenti
Per così dire, auguravo loro tutto il bene del mondo, come ai personaggi di un romanzo o di un film dei quali si prendono le parti sin dall’inizio, ben sapendo che qualcosa di brutto accadrà loro, che qualcosa andrà storto a un certo punto, altrimenti non ci sarebbe romanzo né film. Nella vita reale, tuttavia, non per forza doveva andare in quel modo e io speravo di continuare a vederli ogni mattina così com’erano, senza scoprirli un giorno con disinteresse unilaterale o vicendevole e senza sapere cosa dirsi, impazienti di separarsi, con un atteggiamento d’irritazione reciproca o d’indifferenza. Erano il breve e modesto spettacolo che mi metteva di buonumore prima di entrare nella casa editrice e litigare con il mio capo megalomane e con i suoi fastidiosi autori. Se Luisa e Desvern si assentavano per qualche giorno, ne sentivo la mancanza e affrontavo la mia giornata con più fastidio. In qualche misura mi sentivo in debito con loro, perché, senza saperlo e senza volere, mi aiutavano giorno dopo giorno e mi permettevano di fantasticare sulla loro vita che mi appariva senza macchia, tanto che mi rallegravo di non potermi informare né di verificare nulla al riguardo, e così non uscire dal mio incanto passeggero (la mia aveva molte macchie, e la verità è che non tornavo a ricordarmi di loro fino al mattino seguente, mentre maledicevo sull’autobus di aver tirato tardi, che mi uccide). Io avrei desiderato offrire loro qualcosa di simile, ma non era così. Loro non avevano bisogno di me, e probabilmente di nessun altro, io ero quasi invisibile, cancellata dalla loro contentezza. Soltanto un paio di volte, mentre lui andava via, e dopo aver dato il consueto bacio sulle labbra a Luisa – lei non aspettava mai quel bacio seduta, ma si alzava in piedi per ricambiarlo –, mi rivolse un lieve cenno con il capo, quasi un inchino, dopo aver allungato il collo e sollevato la mano a mezz’aria per accomiatarsi dai camerieri, come se io fossi uno di loro, ma al femminile. La moglie, osservatrice, mi rivolse un gesto simile quando me ne andai – sempre dopo di lui e prima di lei – le stesse due volte in cui suo marito aveva mostrato quella cortesia.
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Javier Marías è nato a Madrid nel 1951, i suoi genitori sono intellettuali anti-franchisti. Si laurea all’Università Complutense e nel 1971 pubblica il suo primo romanzo: Los dominios del lobo, un romanzo atipico e avventuroso nel quale trasforma in opera narrativa 85 pellicole cinematografiche nordamericane visionate durante una permanenza a Parigi nel 1969; il romanzo è stato ora riproposta da Einaudi (I territori del lupo, 2013).
La rottura con la tradizione letteraria spagnola e il desiderio di sperimentalismo sono ancora più marcati in El monarca del tiempo (1978) e El siglo (1983), anche se il suo stile si consoliderà con L’uomo sentimentale (1986, vincitore del Premio Herralde de Novela), romanzo focalizzato sul tema dell’amore e della morte, ambientato nel mondo dell’opera. Il tema è al centro anche di Un cuore così bianco (1992), che rappresenta un’ulteriore svolta nella scrittura dell’autore, e in Domani nella battaglia pensa a me (1994). Tra le altre opere pubblicate si citano i romanzi Tutte le anime (1984, Premio Ciudad de Barcelona) e Nera schiena del tempo (1998), la raccolta di articoli Selvaggi sentimentali: parole di calcio (1999), le raccolte di racconti Quand’ero mortale (1996), Malanimo (1996), Vite scritte (2004) e Traversare l’orizzonte (2005) e la trilogia de Il tuo volto domani: Febbre e lancia (2003), Ballo e sogno (2007) e Veleno e ombra e addio (2010). Seguono Interpreti di vite (2011) e Gli innamoramenti (2012). In Italia i suoi libri sono pubblicati da Einaudi.
All’attività di scrittore affianca quella di traduttore. Tra le altre, ha tradotto opere di Vladimir Nabokov, Laurence Sterne, William Faulkner, Thomas Hardy, Jerome David Salinger, Robert Louis Stevenson e Seamus Heaney.
Numerosi anche i riconoscimenti ricevuti in Italia, tra cui il Premio Grinzane-Cavour, il Premio Mondello e il Premio Flaiano.
alexbrando@libero.it
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