FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 67
luglio 2024

Primavera

 

COME UNA STELLA LIBERA
Sul libro di poesia Nanof,
della messicana Enzia Verduchi

di Alessio Brandolini



Enzia Verduchi è nata a Roma nel 1967 ma all’età di cinque anni si trasferisce con la famiglia in Messico, dove tutt’ora vive. Sempre interessata alla musica e alle letteratura italiana nel 1995 si imbatte casualmente in un album di Piero Milesi (1952-2011), musicista che ha lavorato a lungo anche con Fabrizio De André, dal titolo The Nuclear Observatory Of Mr. Nanof. Un lavoro elaborato in studio di cui Milesi è anche produttore, pubblicato negli Stati Uniti nel 1986, e che raccoglie composizioni destinate al cinema tant’è che il titolo è un diretto riferimento al documentario di Paolo Rosa L’osservatorio nucleare del signor Nanof dedicato all’artista Nanof, o NOF4, pseudonimi di Oreste Fernando Nannetti (Roma 1927 – Volterra 1994), artista incisore che durante la sua lunga reclusione nell’Ospedale Psichiatrico di Volterra (quarant’anni) realizzò un vasto ciclo di graffiti considerato un capolavoro, un raro e importante esempio di Art Brut, ovvero dell’arte spontanea realizzata da non professionisti che operano al di fuori di norme estetiche convenzionali.

Un lavoro, quello di Nannetti, svolto in solitudine giorno dopo giorno, anno dopo anno, in modo maniacale, ossessivo, nato da un forte, autentico e irresistibile impulso creativo. I graffiti di Nanof hanno per tema racconti fantascientifici, spesso di difficile decifrazione, dove si narra della conquista di mondi sconosciuti; di viaggi, esplorazioni e telepatia; di voli spaziali e terribili guerre combattute con armi altamente tecnologiche; di radar, antenne e foreste di tralicci di acciaio. Parla anche di sé stesso, del carcere di Volterra, dei pazienti morti e scomparsi nel nulla, di Milena, la sua fidanzata immaginaria alla quale scriverà anche miglia di lettere (1700 pagine) mai spedite.



Nel marzo nel 2019 Enzia Verduchi mi spedisce questo suo nuovo sorprendente libro (ci eravamo conosciuti in Messico qualche anno prima) appena uscito in Messico e in Spagna per conto della casa editrice Vaso Roto. Mi racconta che si tratta di un libro al quale lavorava da anni dopo aver ascoltato l’album di Milesi (al quale è dedicato il libro), visto documentari su Nannetti, essere stata a Volterra a indagare sulla storia dell’Ospedale Psichiatrico, a vedere e a studiare i graffiti di Nanof dei quali pochi sapevano e una buona parte era andata distrutta. Verduchi si imbatte causalmente in un anziano infermiere che aveva lavorato proprio al padiglione numero 4, lo stesso di Nanof, e gli mostra i famosi graffiti. Questa brevemente la genesi del libro che ovviamente si intreccia ad altri eventi personali dell’autrice. Per esempio morti e sparizioni di cui parla Nanof nei graffiti si riconnettono, nell’epilogo del libro, alle donne scomparse nel Nord del Messico, nella zona di frontiera nei pressi di Ciudad Juarez, dove ragazze scompaiono da trent’anni. O al libro di Primo Levi Il sistema periodico, raccolta di 21 racconti del 1975, ciascuno intitolato con il nome di un elemento della tavola periodica e nel lavoro della Verduchi c’è una sezione intitolata proprio Tavola periodica che si apre con una epigrafe di Primo Levi. Ma quasi tutte le sezioni ricostruiscono monologhi, dialoghi di Nanof, riprendendo ed elaborando frasi dei suoi scritti, delle sue incisioni, delle lettere a Milena, sezioni tutte intitolate Interrogatorio nel manicomio di Volterra.

Nanof di Enzia Verduchi è un libro denso e compatto e su Fili d’aquilone ne avevo già parlato (N. 57, gennaio-aprile 2021), concentrandomi però tutto sulla sezione Groenlandia, uscita anche a parte un anno prima, come una specie di anticipo di questa raccolta poetica. Sezione che rappresenta come un sogno, un viaggio dell’artista romano, una fuga in una zona gelida ma immacolata, una delle tante storie che Nanof ha lasciato incise sugli intonaci del manicomio di Volterra. Nel poemetto Groenlandia, di brevi e asciutti testi sia in versi che in prosa poetica, c’è la costante presenza di una luce tersa e accecante e del bianco mutevole (e immacolato) del ghiaccio e dove, come accade a Nanof, “si rimpiange ciò che non si conosce”. Un viaggio in terre estreme, simili a quelli nello spazio, dove gli iceberg danzano lenti sull’acqua, come in una primordiale cerimonia.

Nel 1980 l’artista Mino Trafeli, che aveva lo studio in un ex reparto del Manicomio di Volterra, scopre e riconosce l’importanza dell’opera di Nannetti e commissiona al fotografo Pier Nello Manoni la riproduzione fotografica dei graffiti, poi pubblica il volume N.O.F. 4 - Il Libro della Vita (1984). Nel 1985 esce il documentario di Paolo Rosa L’osservatorio nucleare del signor Nanof, con musiche di Piero Milesi. Nel 1986, sul settimanale l’Espresso, Antonio Tabucchi pubblica l’articolo “Caro muro ti scrivo” e Nannetti, quando lo lesse, ne fu molto contento. Si inizia così, piano piano, a far conoscere il nome e l’opera di Oreste Fernando Nannetti e a considerare il ciclo dei suoi graffiti un capolavoro. Dopo il 2000 escono su varie riviste altri scritti su Nannetti e altri filmati sulla sua vita. Nel 2011 la Collection de L’Art Brut (Losanna, Svizzera) presenta la prima grande retrospettiva di questa geniale opera a cielo aperto.

La legge Basaglia (n.180/1978) impose la chiusura dei manicomi e istituì i Servizi di igiene mentale pubblici, moderno metodo terapeutico consistente nel non considerare più il malato mentale come un individuo pericoloso da tenere in isolamento, sottochiave, ma al contrario una persona della quale devono essere sottolineate – anziché represse – le qualità umane. Il malato deve trovarsi in continui rapporti con l’esterno e gli viene permesso di uscire, di dedicarsi al lavoro, all’arte, alla scrittura e al mantenimento dei rapporti umani. Oreste Fernando Nannetti, da recluso per quarant’anni nel manicomio di Volterra, comunica solo con il suo mondo e con le sue ombre (“le ombre sono vive sotto il cosmo”) attraverso i suoi graffiti, trasformandosi come in un’altra persona, Nanof, appunto, l’artista, che lo stesso Nannetti definiva L’altro: “Sarò un altro, sarò lo stesso, un essere invisibile”. E realizza un’opera autentica e vasta tracciata su tutto il perimetro del suo padiglione: 180 metri, con un’altezza massima di due. Nanof o Nof4 (il 4 è il numero del suo padiglione) non si ferma mai e continua ovunque con le sue incisioni fatte con una fibbia data in dotazione, scrive così il suo libro di pietra, riuscendo a colmare il suo vuoto emozionale. Scrive di sé sul muro: “Nato a Roma, ore 23.40, rione Sant’Anna, moro, secco, spinaceo, alto un metro e 65, naso a Y, secco, bocca stretta di materialista e spiritualista. Come una stella libera e tutto il mondo è mio”.



Nanof descrive artisticamente il proprio mondo all’interno del manicomio di Volterra, dove in tanti anni non ricevette mai una visita. Una realtà vissuta e immaginata nell’isolamento, nel dolore e nei viaggi cosmonautici effettuati con la fantasia, con l’immaginazione ma da esperto “astronautico ingegnere minerario nel sistema mentale”. Questa era la sua chiave mineraria. Un mondo artistico vasto e ben dettagliato: di eventi, guerre, città, disegni geometrici, numeri e parole, anche di lingue inventate o che sembrano provenire da idiomi antichi, come l’etrusco. Questa intensa e assai coinvolgente raccolta poetica di Enzia Verduchi si inspira al libro di pietra di Nanof, realizzato incidendo prima i contorni delle pagine e riempiendolo poi di segni, immagini, parole e frasi come queste: “10 % deceduti per applicazione magnetico-catodica, 40% per trasmissione di malattie, 50% per odio, mancanza di amore e affetto”.

Il libro Nanof di Enzia Verduchi verrà presto pubblicato (a cura di Alessio Brandolini) da Edizioni Fili d’Aquilone, l’uscita è programmata entro ottobre 2024.




POESIE DI ENZIA VERDUCHI
Da Nanof
Vaso Roto Ediciones, Messico-Spagna, 2019


INTERROGATORIO EN EL PSIQUIÁTRICO DE VOLTERRA I
INTERROGATORIO NEL MANICOMIO DI VOLTERRA I

i.- ¿...?
Me arrancaron los ojos aunque las cuencas están llenas del cielo
de Toscana. Espejos azules. Dos gotas suspendidas y móviles
que observan el mismo muro de arcilla cada mañana.

Me desgajaron la visión del mundo, dicen ellos:

La nieve manchada con la eyaculación de nuestros asesinos.
Las colinas minadas con el silencio de nuestros asesinos.
La mar resguarda el peso y el plomo de nuestros asesinos.

La córnea es más ligera y nada acalla la verdad del aire,
el desplazamiento de la nube, las formas de la nube, la fragilidad
flotando sobre nuestras cabezas.

En esta brevedad de Volterra, paraíso de higiene mental,
el mundo posible es el cielo.


i.- ¿...?
Mi hanno lacerato gli occhi anche se le cavità sono piene del cielo
della Toscana. Specchi blu. Due gocce sospese e mobili
che ogni mattina osservano lo stesso muro di argilla.

Mi hanno strappato la visione del mondo, dicono loro:

La neve macchiata dall’eiaculazione dei nostri assassini.
Le colline minate dal silenzio dei nostri assassini.
Il mare protegge il peso e il piombo dei nostri assassini.

La cornea è più leggera e nulla zittisce la verità dall’aria,
lo spostamento della nube, le forme della nube, la fragilità
che fluttua sulle nostre teste.

In questa fugacità di Volterra, paradiso dell’igiene mentale,
il solo mondo possibile è il cielo.


iii.- ¿...?
El expediente 241167 ha capitaneado más de setecientos vuelos con barbitúricos.

Ha visto la diversidad de la luz en el espectro solar. Ha soñado que su madre le sonreía detrás del vidrio que los separa en el pabellón. Con sus manos cubrió las pequeñas cicatrices, las hendiduras de la aguja hipodérmica. No quería perforar el sueño, horadar el cielo.

      Madre efedrina, rescátame.
      Madre de todas las anfetaminas,
      devuélveme la voluntad por un instante.
      Escucharé cien gritos y cien gritos
      más se anidarán en la cabeza.
      Señora adrenalina, devuélveme
      la paz alterada de quienes viven
      sin saber de estas paredes,
      y barrotes que me resguardan.

Lo hallaron colgado en el árbol de olivo, desnudo. Una mosca erraba por sus
labios.


iii.- ¿...?
Il fascicolo 241167 ha effettuato più di settecento voli con barbiturici.

Ha visto la diversità della luce nello spettro solare. Ha sognato che sua madre gli sorrideva al di là del vetro che li separa nel reparto. Con le sue mani ha coperto le piccole cicatrici, le spaccature dell’ago ipodermico. Non voleva perforare il sogno, sfondare il cielo.

      Madre efedrina, salvami.
      Madre di tutte le anfetamine,
      restituiscimi la volontà per un istante.
      Ascolterò cento grida e cento grida
      in più si annideranno nella testa.
      Signora adrenalina, restituiscimi
      la pace alterata di quelli che vivono
      senza conoscere queste mura,
      e le sbarre che mi proteggono.

Lo trovarono appeso all’ulivo, nudo. Una mosca girovagava sulle sue
labbra.


Postal: Pabellón Ferri, sección 4, 195?

Tengo un colmillo entre las manos, anoche se lo arranqué al jabalí.
La fierecilla arremetió por los rincones de la habitación.

Era necesario tajar al cerdo montés, porque al cerrar los ojos, sus gruñidos
espinaban los mantos de mi cerebro.

Con este diente afilado, ennegrecido por la rabia,
tatuaré en la pared todas mis ausencias.


Cartolina: Reparto Ferri, sezione 4, 195?

Ho un canino tra le mani, l’ho strappato ieri sera al cinghiale.
La bestiona si è scatenata negli angoli della stanza.

Bisognava fare a pezzi il maiale selvatico perché, se chiudevo gli occhi, i suoi grugniti
pungevano i rivestimenti del mio cervello.

Con questo dente affilato, annerito dalla rabbia,
tatuerò sui muri tutte le mie assenze.


Postal: Pabellón Ferri, sección 4, 196?

          ¿Dónde está Dios? ¡No lo he visto!
                                     YURI GAGARIN
Milena, un hombre recorrió la órbita del planeta,
afirma que desde las alturas del cosmos la tierra es hermosa.
Vio las islas y las costas, las montañas y el curso de los ríos;
pero ¿habrá visto a Dios?, ¿el rostro de la verdad?, ¿su locura?

Quizás se vio a sí mismo, una gota de agua flotando en el espacio.


Cartolina: Reparto Ferri, sezione 4, 196?

          Dov’è Dio? Non l’ho visto!
                        YURI GAGARIN
Milena, un uomo ha attraversato l’orbita del pianeta,
assicura che dall’alto del cosmo la terra è stupenda.
Ha visto le isole e le coste, le montagne e il corso dei fiumi;
ma: avrà visto Dio? Il volto della verità? La sua follia?

Forse ha visto sé stesso, una goccia d’acqua fluttuando nello spazio.


INTERROGATORIO EN EL PSIQUIÁTRICO DE VOLTERRA II
INTERROGATORIO NEL MANICOMIO DI VOLTERRA II

i.- ¿...?
En las coordenadas: 43°24’ latitud norte, 10°51’ longitud este,
el suelo helado es duro y yo sólo veo pasar los cuerpos.
El jardín amaneció cubierto con huesos de pájaros, se adelgazan los sonidos
del espacio. El aire ya no sostiene el vuelo, la ligera parábola del despegue.
Sólo veo pasar los cuerpos y, algunas tardes, converso con ese corazón
o ese cerebro respirando en el formol. El cristal no transparenta secretos,
guarda los latidos, los recuerdos en sus contornos.

    Decesos:       10% por aplicación magnético-catódica
                       40% por trasmisión de enfermedades
                       50% por odio, falta de amor y afecto
Respiramos sobre ceniza de aves y trinos que abona esta tierra.
Huella mineral, tonos disecados, donde se desplazan otros fósiles.

Puedo contarlo desde la nada, desde Volterra.


i.- ¿...?
Alle coordinate: 43°24’ latitudine nord, 10°51’ longitudine est,
il suolo ghiacciato è duro ed io vedo solo i corpi passare.
Il giardino è sorto ricoperto d’ossa di uccelli, si diradano i suoni
dello spazio. L’aria non sostiene più il volo, la leggera parabola del decollo.
Vedo solo passare i corpi e, qualche sera, converso con questo cuore
o questo cervello che respira nella formalina. Il vetro non fa trasparire segreti,
conserva i battiti, i ricordi con i loro contorni.

    Decessi:      10% per applicazione magnetico-catodica
                     40% per trasmissione di malattie
                     50% per odio, mancanza di amore e affetto
Respiriamo su cenere di volatili e i trilli che concimano questa terra.
Traccia minerale, toni disseccati, dove si spostano altri fossili.

Posso raccontarlo dal nulla, da Volterra.


iii.- ¿...?
El expediente 221158 es hijo mayor de la amnesia.
   Se lava las manos diez veces por día. Lima sus uñas contra la pared, intuye en los bordes sangre seca. El trepanado no sabe su nombre ni recuerda la sonrisa de su mujer en mayo. Muerto antes de morir, camina con un puñado de destellos: la mariposa levanta el vuelo.
   Alguien le dice al oído:

      Este hombre no pasará la noche,
      se ahogará en las aguas del Leteo.
   Imagina su cuerpo en la pileta del nosocomio, con los pulmones fatigados y el alma a flote.


iii.- ¿...?
Il fascicolo 221158 è figlio maggiore dell’amnesia.
   Si lava le mani dieci volte al giorno. Si lima le unghie contro il muro, intuisce sui bordi sangue secco. Il trapanato non sa il proprio nome, né ricorda il sorriso di sua moglie a maggio. Morto ancor prima di morire, incede con una manciata di bagliori: la farfalla prende il volo.
   Qualcuno dice al suo orecchio:

      Quest’uomo non passerà la notte
      annegherà nelle acque del Lete.
   Immagina il suo corpo nella vasca del nosocomio, coi polmoni affaticati e l’anima galleggiante.


iv.- ¿...?
De niño volé sobre Roma. Siete colinas bajo mi sombra etérea. Mientras otros jugaron a las canicas o destriparon sapos, yo emigré entre las cuerdas del aire. Cien manos no fueron útiles para alcanzarme. La insolación secó mis sueños.


iv.- ¿...?
Da bambino ho volato su Roma. Sette colline sotto la mia eterea ombra. Mentre altri giocavano a biglie o sventravano rospi, io emigrai tra le corde dell’aria. Cento mani non furono utili per farmi atterrare. L’insolazione prosciugò i miei sogni.


INTERROGATORIO EN EL PSIQUIÁTRICO DE VOLTERRA V
INTERROGATORIO NEL MANICOMIO DI VOLTERRA V

i.- ¿...?
Dejen que el alma rebote en las corrientes
—entre estas paredes de goma— y halle
las grafías traslúcidas de la amnesia.

Seré El nacido, trinidad linfática junto con la piedra y la flor.

Caminaré desvertebrado bajo el cielo de Toscana,
como quien busca sus huellas bajo la lluvia, la sombra del pie,
la sorda respuesta en el reflejo del charco.

Seré El resucitado, mi nombre en el eco de otra voz.

No reconoceré la historia de mis manos
porque seré un hombre electrificado, distinto,
que desconoce el hambre y el frío.

Seré otro, seré el mismo, un ser invisible.


i.- ¿...?
Lasciate che l’anima rimbalzi nelle correnti
– tra queste pareti di gomma – e trovi
le grafie traslucide dell’amnesia.

Sarò Il nato, trinità linfatica insieme alla pietra e al fiore.

Camminerò svestito sotto il cielo della Toscana,
come chi cerca le sue orme sotto la pioggia, l’ombra del piede,
la sorda risposta nel riflesso dello stagno.

Sarò Il risorto, il mio nome nell’eco di un’altra voce.

Non riconoscerò la storia dalle mie mani
perché sarò un uomo elettrizzato, differente,
che non conosce la fame e il freddo.

Sarò un altro, sarò lo stesso, un essere invisibile.


iii.- ¿...?
El expediente 100150 ha dado más de trescientos pasos sin dopamina.
   Ha escuchado nevar sobre el oleaje. Ha visto llover en el desierto. Habla con su abuela, le susurra. Oculta el ligero temblor de sus manos entre las piernas. No desea quebrantar el ritmo, forzar el tiempo con gestos reflejos.

      —Que no mate el olvido,
      que los indiferentes
      no dilapiden mi amor
      y el mar jamás se evapore,
      lleguen olas nuevas;
      el llanto libere, me sane.

      —Ma dove ti sei perduto?
   Lo encontraron dormido, abrazado a una piedra. Una hormiga recorría su oreja.


iii.- ¿...?
Il fascicolo 100150 ha fatto più di trecento passi senza dopamina.
   Ha ascoltato nevicare sulle onde. Ha visto piovere nel deserto. Parla con sua nonna, le sussurra. Nasconde tra le gambe il leggero tremore delle mani. Non vuole rompere il ritmo, forzare il tempo con gesti riflessi.

      – Che non uccida l’oblio,
      che gli indifferenti
      non dilapidino il mio amore
      e il mare non evapori mai,
      che arrivino nuove ondate;
      il pianto mi liberi, mi risani.

      – Ma dove ti sei perso?
   L’hanno ritrovato assopito, abbracciato a una pietra. Una formica gli passeggiava sull’orecchio.


Traduzione dallo spagnolo di Alessio Brandolini




Enzia Verduchi
è nata a Roma nel 1967 ma dall’età di cinque anni vive in Messico dove si è laureata in Giornalismo e Scienza della Comunicazione.
Nel 1992 ha ricevuto il Premio Nacional de Cuento Efraín Huerta. Ha collaborato a riviste e supplementi culturali messicani e internazionali. Ha pubblicato i libri di critica: 40º a la sombra (2013) e Los segundos y los días. Breviario sobre el temblor (2018) e le raccolte poetiche: Cartas de usurpación (1992), El bosque de la hormiga (2002), Groenlandia (Parentalia, 2018) e Nanof (Vaso Roto Ediciones, 2019). Suoi testi poetici sono stati tradotti e pubblicati all’estero.

(foto di Pascual Borzelli)

 

alexbrando@libero.it