FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 54
gennaio/aprile 2020

Fiabe & Follia

 

NARRAZIONE COME SALVEZZA
In Più lontano di così di Lucrezia Lerro la scrittura
appare come possibilità di fronteggiare il male
nascosto nell’emarginazione e nell’incomprensione

di Marco Testi



“Cercavo nelle parole la soluzione al dolore. Ora so che ce la si può fare. È l’inaspettato gesto di passione il principio della salvezza personale”.

La salvezza attraverso il ricordo, non solo quello impresso nella memoria individuale, ma quello “pubblico”, affidato alla scrittura. Questo è il nucleo fondante del nuovo romanzo di Lucrezia Lerro, Più lontano di così (2019), un’indagine personale sulla fine cruenta di un giovane zio ucciso da una donna che forse l’amava. Ma il lettore saturo di gialli, noir, polizieschi, commissari e varia altra letterarietà modaiola, non si allarmi: l’indagine che compie la narratrice è tutta dentro: dentro la povertà che costringe a lasciare i luoghi dove si è stati giovani, dentro il desiderio di riscatto da quel marchio infamante per i buoni borghesi, dentro la richiesta di perché non solo del delitto. Tutte queste componenti fanno un intrico che va oltre ogni singola parte, e crea altri universi di senso: l’amore, la possibilità che esso sia dettato da ragioni di classe ma anche le potenzialità che quelle ragioni non siano legge eterna, la ricerca che crei una ragione per giustificare esistenze che altrimenti sarebbero preda di un ritaglio di cronaca prima e dell’oblio impietoso poi e la scrittura come cura e come risposta alle ragioni di una vita altrimenti destinata al nulla.

Quest’ultima rappresenta un motivo assai datato nella letteratura, e lo stesso Gran Lombardo se l’era posta al momento di scegliere i protagonisti di una storia poi divenuta canone, avrebbe detto Harold Bloom (che pure non ha compreso Manzoni nel suo, di canone occidentale). Scelse protagonisti comuni, non più eroi, perché è proprio nella vita apparentemente banale che si cela la battaglia contro i draghi dell’abbandono e del non senso. E in effetti il viaggio indietro nel tempo, fino a quel “Io lo so come ci si sente quando si parte perché non si ha altra scelta (…). Quando non si può restare dove si è nati la vita è uno schifo” è una delle cifre di questo romanzo. Quelle parole sono messe quasi a suggello di una storia in cui, ancora una volta, amore e morte si congiungono, in un universo in cui il bisogno crea più danni di quello che si potrebbe credere. Libro, questo della Lerro, come attacco frontale ai luoghi comuni, che fanno non solo danni psicologici, ma seminano sventura e morte, perché poi si complicano frantumandosi in mille pezzi fatti di distorsioni, recriminazioni, preconcetti e una forma di razzismo che condanna tutti coloro che non stanno dentro gli schemi che ci siamo fabbricati, anche perché pure noi siamo stati oggetto di queste discriminazioni inespresse.

Il racconto è anche la storia del recupero del passato di uno zio ucciso da tutto quello di cui abbiamo parlato, non solo da una donna con cui aveva stabilito un legame nevrotico. È la storia dell’insensatezza apparente del caso, che ti fa nascere povero, o ricco, e che ti consegna un certo fardello che è difficile poi portare sulle spalle nel cammino. Quell’apparente è dovuto alla possibilità che la parte legata alla volontà e alla decisione abbia un suo peso nella storia di ognuno, e che in più vi sia quella dimensione di cui abbiamo parlato all’inizio: la scrittura, la cultura, la memoria come salvezza da quell’apparenza di insensatezza. Quella ragazzina che studia per tener lontana la tigre dell’apatia, della vita senza senso, della solitudine anche quando si starà insieme a qualcuno, immagine del sé autoriale implicato nel racconto, ha ragione. Perché quell’andare oltre la fanciullezza spensierata le permette di dare senso a sé e agli altri.

Più lontano di così è involontariamente una delle tappe di quella che qualcuno ha chiamato, e non a torto, biblioterapia: tra le infinite – grazie a Dio – possibilità di guarigione dai fantasmi del vivere c’è quel rimanere in vita sempre, grazie a quell’apparentemente insensato studiare, scrivere, mentre gli altri compiono i consueti atti del vivere “pratico”. Perché sarà la ragazzina che studiava troppo a salvare dal nulla la vita di un uomo narrando le antiche radici del male e del bene.


Lucrezia Lerro, Più lontano di così, La nave di Teseo, 2019, 183 pagine, 17 euro.




Lucrezia Lerro (1977)
ha pubblicato i romanzi Certi giorni sono felice (2005), Il rimedio perfetto (2007), La più bella del mondo (2008), La bambina che disegnava cuori (2010), Sul fondo del mare c’è una vita leggera (2012), La confraternita delle puttane (2013), Il sangue matto (2015), Il contagio dell’amore. Etty Hillesum e Julius Spier (2016), La giravolta delle libellule (2017), L’estate delle ragazze (2018) e Più lontano di così (2019).
Ha pubblicato anche libri di poesia e opere teatrali.


testimarco14@gmail.com