FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 51
gennaio/aprile 2019

Ostacoli

 

DENTRO LO SPIRITO DEL LUOGO
In La malasorte Daniela Grandinetti racconta il sottile
legame che tiene insieme vite di donne attraverso il tempo

di Marco Testi



Se è vero che le case talvolta parlano, in quell’istante quel volto immaginario le stava dando il benvenuto, forse un fantasma gentile di qualche vita che era passata là dentro.
Le cose vivono di una loro vita propria che è fatta di relazione con gli sguardi ed i pensieri di chi entra in contatto con loro. L’epifania degli oggetti ha attraversato in letteratura i secoli conservando una energia indicibile se non da quelle poche voci che l’hanno fatta rivivere in modo vecchio e nuovo. E non è un gioco ossimorico, come vedremo. È il caso di La malasorte di Daniela Grandinetti, in cui il rapporto tra personaggi e luoghi, siano essi case o boschi e montagne, è reso omogeneo, reale e persuasivo da una scrittura tesa alla cosa senza dimenticare l’ombra della cosa, come in una natura morta di Morandi. Perché in questo racconto è proprio l’ombra a regnare sovrana, senza le scorciatoie di certa narrativa di serie, fatta di fantasmi e di destini appiccicati da magie o risvegli di vario tipo. L’ombra è quella di una bambina destinata al sacrificio in una terra doppiamente inclemente, con la donna e con il povero. La magia del racconto della persistenza di Cosma nella vita degli altri sta proprio nella sua alterità rispetto a ben diversi personaggi imposti dalla serialità del magico, del noir, della saga familiare, se non dell’horror.

La scrittura di Grandinetti tiene la cosa, ed è per questo che le parole possono non tanto seguire, come nello pseudo-Catone dell’abusato rem tene, verba sequentur, ma essere la cosa, che è assai diverso.
La storia di una ragazzina povera destinata in sposa ad uno sconosciuto e violentata, come spesso accadeva, dal “padrone”, la sua morte per emorragia, accadono sotto i nostri occhi con la forza dell’essere, senza mai la necessità di una accentuazione verbale. L’orrore e la pietas sono nelle cose, che le parole si limitano a rendere vive ad occhi che altrimenti guarderebbero altrove, ad attenzioni tese verso altro che non la sofferenza e la bellezza semplice attorno a noi, ma verso ciò che è divenuto cosa, incartata e presentata come nuova, ricomprata quando è solo possibile vederla a due passi, a saperla vedere.

La seconda parte del romanzo ha apparentemente nuovi protagonisti: Cettina, che è letteralmente fuggita dal paese per tentare una nuova vita, la sua amica Tilde che è invece rimasta. Dietro le due amiche, diverse e per questo legate da sensi profondi, si nasconde un segreto che sarà rivelato, e anche questo è un merito, senza la retorica dello spannung e della suspense, ma semplicemente immerso nel flusso delle cose. Tilde è l’altra parte della protagonista, l’appartenenza allo spirito di un luogo della Calabria, la fedeltà di chi non sa dire motivazioni delle scelte perché semplicemente non ne ha bisogno: è nelle cose e non deve spiegarle. Cettina ha scelto di rompere la comunione con il luogo, e un lontano senso di rimorso viene a galla di quando in quando, perché l’abbandono della radice – qualsiasi possano esserne le cause – nasconde il dolore del ritorno nascosto nella altrimenti banalizzata parola nostalgia.

Ma c’è qualcosa d’altro a tenere organicamente unite le due parti del romanzo ed è l’antico agnello sacrificale, quella Cosma mai rimossa del tutto perché divenuta elemento ostensivo, parte profonda di un destino comune, quello della femminilità nella bellezza di una natura contraddetta dall’abbandono e dalla violenza degli uomini.
Cosma torna ad esistere nella vita della altrimenti razionale e “cittadina” Cettina. Non lo fa attraverso i fuochi d’artificio del gotico, ma con una narrazione piana, naturale, che racconta di una bambina sacrificata alla miseria la cui persistenza nel tempo e nella memoria dolente di un’altra donna non è segnata dalla vendetta, ma anzi, dalla pace della protezione e della silente compagnia.
Cosma è forse una delle figure più belle e convincenti della narrativa italiana di questi veloci anni in cui la narrativa è stata spesso confusa con l’evento mediatico e la spettacolarizzazione.

Vi è un altro elemento di interesse in La malasorte, ed è quello di una nuova incarnazione del Genius loci. Cosma è in sé un elemento di qualcosa di più vasto, originario, che prelude ad una comunione dimenticata. La natura della Calabria non è un contorno esotico per chi ha scelto, come Cettina, di tornare, ma il senso della vita stessa. Non l’arrampicata a quattromila metri, né la cordata esotica in oriente, ma la riscoperta della bellezza fuori dell’uscio di casa, a due passi dal cancello-limen divenuto ostacolo tra sé e il mondo.

L’impressione era quella di trovarsi in un luogo che avrebbe richiesto tempo per rivelarsi in tutti i suoi segreti più nascosti. C’era odore di vita selvatica, di felci e di muschio, dalla quale gli esseri umani sembravano essere banditi. Laddove il terreno era più soffice, sotto le foglie marcescenti, spuntava il giallo di primule selvatiche, misto al verde vellutato delle loro foglie carnose, appena dischiuse. E poi le viole, una manto che copriva il terreno intorno alle radici degli alberi, tante, minuscole, profumate, una distesa vergine protetta dall’ombra dei rami.
Tutto intorno raccontava di infanzia e di meraviglia. Di bellezza e solitudine. Di innocenza e difesa.
A permettere questa riapertura dello sguardo in un fuori che è anche dentro non è la cultura (e l’arte) dell’intellettuale che ha scelto di andarsene, ma la guida di una semplice paesana, che, come la Gurù della Pietra lunare di Landolfi, rappresenta lo spirito del luogo che ogni tanto fa capolino tra le maglie dei condizionamenti culturali e della saccenza intellettuale.
La semplice assertività dell’esserci di piccoli fiori, di sentieri collinari, di fonti e di alberi si scontra in questo suggestivo episodio con le illusioni che la cultura possa da sola divenire il senso profondo della nostra vita. È la riscoperta dell’eden perduto nel qui e nell’ora attraverso l’apparente leggerezza di chi non deve cercare altrove ciò che è sempre stato suo, e che può compiere per questo il compito iniziatico di concedere il passaggio della soglia a chi aveva abbandonato il luogo delle madri.

Lo sguardo di Cosma è in parte divenuto quello di Tilde, da sempre anello di congiunzione tra l’antica storia e la nuova. Assieme preparano la cerimonia di iniziazione al Luogo originario che è uno degli elementi più originali e profondi di La malasorte.


Daniela Grandinetti, La malasorte, L’erudita, 2018, 314 pagine, 21 euro


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