FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 51
gennaio/aprile 2019

Ostacoli

 

UN PASSAGGIO TRA LA GENTE
L’incontro-scontro tra illusione e realtà nel nuovo
romanzo di Lucrezia Lerro, L’estate delle ragazze

di Marco Testi



Incrociando i visi sconvolti dall’esistenza dei vagabondi sembrava che volesse rivolgere a ciascuno la stessa domanda: “Che cosa posso fare per te?” Ma poi si rendeva conto di non poter salvare nessuno.
La depressione a volte ha nomi e cognomi, a saperli cercare si chiamano senso di impotenza, tarlo – che diviene famelica tigre – di non essere in grado di far nulla, di essere inadeguato alla vita. Se poi scegli di vivere di scrittura, come la protagonista del nuovo romanzo di Lucrezia Lerro, L’estate delle ragazze, allora tutto diventa più difficile. Corinna, come spesso capita ai figli del dubbio su sé, si fa del male: lei si limita a strapparsi i capelli, ma il punto è che al di là della somatizzazione e dello spostamento simbolico del dolore, permane per tutto il racconto una sottile aura di sconfitta. Anche quando inizia l’acuminato e ambiguo cammino verso il riconoscimento mediatico, il doppio, – l’altro –, manda ineludibili segnali di cocciuta persistenza, e il senso di abbandono giunge spesso inaspettato. Di nuovo aggallano nomi, ma nessuno di essi può essere usato come esorcismo, perché il nome è opaco, non riesce a essere la cosa, come secoli di dibattiti ci hanno insegnato: depressione, malinconia, senso di fallimento, estraneità, una noia che in realtà è il taedium vitae che da sempre è acquattato negli animi sensibili:
Appoggia il cellulare sulla scrivania, fa un giro della camera, la noia sta arrivando tra i pensieri come un treno ad alta velocità. Le viene l’impulso dopo tanto tempo di strapparsi i capelli.
Lerro narra un’altra storia al femminile che parla il linguaggio del bus, del treno, del pranzo insieme, della coppia, con le accelerazioni del parlato e i languori talvolta assuefatti alla retorica del sentimento che i personaggi non riescono a mettere fuori dalla porta. Ma dietro il bus e il pranzo c’è la vita. Che come sapeva Pirandello “non conclude”. E allora la giovane donna di Lerro (gli altri le girano intorno – e le si allontanano –) vive, per quel che vivono le pagine, la sua esistenza, quella “normale”, comune a molti di più di quello che parrebbe, di una che vuole diventare una scrittrice ma si lascia andare e non fa esami all’università da un po’ di tempo, che è testarda forse anche per abitudine ma che nel contempo nutre seri dubbi sulla sua tenuta psichica, che vorrebbe comunicare ma che nel contempo è risucchiata nel buio dalla demaistriana – lo Xavier de Maistre del Viaggio intorno alla mia stanza – altra che è sempre sul punto di azzannare.

In questo modo uomini e donne parlano non di sé, ma dal sé profondo, attraverso gli spezzoni di studi, letture, bagliori d’infanzia mai lasciati completamente alle spalle, divenuti parte di un esistere in continuo cambiamento. Le voci riescono a dare il senso di una incompiutezza paventata e per questo resa più forte dall’abitudine, e nel contempo fanno vivere i tentativi di uscire fuori dalle secche di un fallimento non solo letterario.

La Corinna di L’estate delle ragazze è l’immagine viva di una contemporaneità non modaiola, non asservita agli ismi editoriali e attualistici, perché rappresenta la sensibilità che nel tempo si è imbevuta di ciò che è stato chiamato preromanticismo, e poi decadentismo, e poi nuovo realismo, con i dolenti personaggi foscoliani e poi borgesiani, – il Rubè che cerca spasmodicamente l’affermazione di un sé irrealizzabile – e poi lentamente rispolverati dai giovani senza più forza vitale di Tozzi, dal sospetto di insensatezza di alcuni antieroi sveviani.
Gli altri ruotano intorno a Corinna, sono uomini realizzati e tuttavia sembrano quasi sue appendici, come il fidanzato, scrittore affermato, che cerca di darle costantemente fiducia ma non riesce a comunicare in profondità con l’energia critica di una donna alla ricerca del proprio destino. E forse di una storia diversa.

Quelli che oggi siamo abituati a definire i famosi, (il passaggio da una funzione attributiva e predicativa a una unicamente sostantivata ci dovrebbe far riflettere sulla capacità del lessico di leggere lo spirito del tempo) in questo caso uno scrittore incontrato casualmente in treno, appaiono nel racconto come la quintessenza della ineducazione, dell’egoismo e di un isolamento carico di amara ironia.
La sensibilità di Corinna aggalla da acque paludose, che potrebbero portare l’affermazione del sé, ma anche la nausea e l’insoddisfazione.

L’estate delle ragazze ha il merito di non essere un testo chiuso in una storia a lieto –o non lieto – fine. È un pezzo di strada di una donna che ha fatto una scelta e che ora si trova, per quel segmento di vita che le pagine hanno scelto di raccontare, di fronte a paure, contraddizioni, tentazioni di tornare indietro e abbandoni a persone subito risucchiati da una consapevolezza solitaria che abolisce certezze e sicurezze.
Corinna appartiene alla linea di quei personaggi che hanno nell’incompiutezza la loro identità e la loro forza, perché senza cadere nella mìmesis neo-naturalista, ci racconta semplicemente un tratto di strada di quelli che vivono senza paracadute e che ogni giorno sono costretti a misurare la dismisura tra sogno e quella che chiamiamo realtà. Noi, come il lettore più avvertito avrà realizzato.


Lucrezia Lerro, L’estate delle ragazze, La nave di Teseo, 2018, 248 pagine, 18 euro


testi.marco@alice.it