FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 51
gennaio/aprile 2019

Ostacoli

 

SANTIAGO ESPINOSA, IL MOVIMENTO DELLA TERRA

di Alessio Brandolini



Sul numero 41 (gennaio/marzo 2016) di Fili d’aquilone avevo presentato il giovane autore colombiano Santiago Espinosa (Bogotá, 1985) che alla scrittura poetica affianca lo studio approfondito della poesia ed è del 2015 il libro di critica pubblicato in Spagna Escribir en la niebla [Scrivere nella nebbia]: 14 saggi dedicati ad altrettanti poeti colombiani, grandi poeti presentati e tradotti su Fili d’aquilone (a cura di Martha Canfield) come, ad esempio, Aurelio Arturo, Fernando Charry Lara, Álvaro Mutis, Jorge Gaitán Durán, Mario Rivero, Giovanni Quessep, María Mercedes Carranza, José Manuel Arango... Ma nella sua poesia (esordio avvenuto nel 2010 con il libro-antologia Los ecos) sono presenti anche autori lontani dal suo paese, si citano Ungaretti e Montale, Rimbaud e Apollinaire, Seamus Heaney, ci sono epigrafi del poeta canadese Mark Strand o dell’americano (di origine serba) Charles Simic, del brasiliano Drumond De Andrade o si cita l’artista Giacometti coi suoi ritratti di stranieri che camminano, unici e distanti, e non assomigliano a nessuno se non a lui stesso.
I testi tradotti per Fili d’aquilone 41 provenivano dal suo secondo libro pubblicato in Ecuador nel 2015 dalla casa editrice El Ángel del poeta Xavier Oquendo Troncoso, dal titolo Lo lejano [Ciò che è distante]. La poesia avvicina ciò che è lontano e per lasciarci vivere “si carica i morti sulle spalle”.

Con il suo terzo libro El movimento de la tierra [Il movimento della terra, Spagna 2017] che come inedito ha vinto in Messico, l’anno precedente, il Premio Internazionale di Poesia “Jaime Sabines”, la voce poetica di Santiago Espinosa si affina e si estende, si fa ancor più evocativa ma restano saldi i temi cardini (i nodi) della sua scrittura: l’appartenenza e le proprie radici; l’amore (per Natalia) che fa crescere alberi sull’acqua dei morti; il flusso umano che varia nel tempo e nello spazio ma con un’unica origine e incatenato alla stessa Terra; l’esplorazione del nostro pianeta al di là dei confini degli Stati, delle barriere; la natura minacciata dall’indifferenza dell’uomo e dal riscaldamento globale; la presenza della luce (e del sole, degli astri) che muta in continuazione e offre visioni e momenti di gioia, come le montagne che germogliano, o di dolore, come gli alberi convertiti in croci.

Il movimento della terra è un libro denso e affascinante, articolato in cinque sezioni, dove ritrovo l’Ode a Paul Celan che avevo tradotto come inedito nel mio precedente lavoro. Non tutto ritorna (“regresar” nel libro è un verbo ricorrente) perché pioggia e nebbia amalgamano ruderi e rovine, templi e umili case ma la nostalgia e il desiderio fanno sì che l’attesa si trasformi in parte integrante della vita dell’uomo, disposto a ferirsi pur di non dimenticare, perché “occorre aspettare / quello che ritorna”.

Tutto appare fermo e invece tutto è in continuo movimento o, per dirla con Galilei, “e pur si muove!”. Così come i terremoti che sono una calamità ma anche un movimento necessario e naturale della Terra che segna un nuovo inizio, “come un bambino che nasce dal calore delle rocce”. Tutto è in movimento perché il tempo trascorre e muta le cose, le forme: i nostri volti, le città, corrode persino le montagne ma altre se ne formano per via dei movimenti tellurici o delle esplosioni vulcaniche che da sempre accompagnano l’uomo. Così la poesia sul cane ritrovato tra i ruderi di Pompei che sembra respirare ancora dopo l’esplosione del Vesuvio avvenuta nel 79 d.C., un cane afferrato “a un invisibile ululato”. O la città vista dall’alto, cresciuta enormemente, piena di palazzi, voci, fantasmi lì dove prima (soltanto qualche millennio fa) c’era una distesa infinita di acqua.

Occorre liberare spazio se si vuole apprendere l’arte di scavare impronte, di leggerle e tornare di nuovo a vedere (R. M. Rilke). La poesia di Santiago Espinosa impasta sensazioni, ricordi e pian piano si trasforma in una vita parallela che affianca (e illumina) quella reale. In questa personale cartografia la verità lampeggia tra le foglie come una luce del paradiso o una musica (una canzone) che affronta con coraggio e un po’ di follia (poetica) la deriva planetaria. E alla fine ci lasciamo comunque sorprendere da una balena che bramisce contro le colline o da una mappa mobile e imperfetta che delimita lo spazio dove ci spostiamo e, provvisoriamente, ci appartiene (o noi a lui?).




POESIE DI SANTIAGO ESPINOSA
da Il movimento della terra [El movimento de la tierra]
Valparaíso Ediciones, Spagna 2017


DESDE UNA MONTAÑA

Miramos la ciudad. Vemos desde la altura
tu casa o la mía, donde antes estuvo el mar.

Las voces se sumergen
al fondo del espacio
dejando en su lugar
un rumor desconocido.

Tuvimos que escribir para encontrarle
a los fantasmas su lugar bajo la lluvia.
Tantear su marca en la memoria.

Los amigos se marcharon
a otro punto del horizonte,
buscaban la semilla dispersa.
Aviones y promesas
dividían los años.

Nosotros aprendimos
a esperar lo que regresa.
Viendo bajo las huellas
el movimiento de la Tierra.


DA UNA MONTAGNA

Guardiamo la città. Vediamo dall’alto
la tua casa o la mia, dove prima c’era il mare.

Le voci s’immergono
nel fondo dello spazio
lasciando al loro posto
un mormorio sconosciuto.

Abbiamo dovuto scrivere per incontrarli
i fantasmi nei loro luoghi sotto la pioggia.
Soppesare il loro marchio nella memoria.

Gli amici sono andati già via
in un altro punto dell’orizzonte,
cercavano il seme disperso.
Aeroplani e promesse
dividevano gli anni.

Noi abbiamo imparato
ad aspettare quello che ritorna.
Osservando sotto le impronte
il movimento della Terra.


CIUDAD

La luz de mi ciudad tiene un tamiz
de sombras,
como lavada en los naufragios
que la alzaron sobre el cerro.

Lo nogales convertidos en cruces
y las gavias en ministerios,
un resplandor de oro
en la vitrinas del tiempo.

La lluvia vuelve a juntar
estragos en un agua
de murmullos y cenizas
moviendo arenas.
Cae la humedad como si entrara
un potro frío a los cinemas.
Y se oyen voces en las calles rotas
y voces que les responden
en la plazas desocupadas.
La niebla se vislumbra en el café.

Tiene algo de ballena
cunado brama contra los cerros.
De un galeón fantasma
que partirá sobre las cumbres
cuando suba la marea.

Abajo la ciudad, arrojada con todas
sus luces en un cruce de huesos
y de estrellas. Tenía razón el que decía,
“no pierda el tiempo descubriendo
su ciudad, hay que inventarla primero”.

            Para Robert


CITTÀ

La luce della mia città ha un setaccio
di ombre,
come lavata nei naufragi
che la sollevarono sulla collina.

I noci convertiti in croci
e le vele maestre in ministeri,
uno splendore d’oro
nelle vetrine del tempo.

La pioggia torna a unire
rovine sull’acqua
di sussurri e ceneri
spostando sabbia.
Scende l’umidità come se entrasse
nei cinema un gelido puledro.
E si ascoltano voci nelle strade decrepite
e voci che rispondono
dalle piazze vuote.
Nei caffè s’intravede la nebbia.

Ha qualcosa della balena
quando bramisce contro le colline.
Di un galeone fantasma
che raggiungerà le vette
quando si alzerà la marea.

Sotto la città, scagliata con tutte
le sue luci in un incrocio di ossa
e di stelle. Aveva ragione quello che diceva,
“non perdere tempo a scoprire
la tua città, prima di tutto devi inventarla.”

            Per Robert


AL FINAL DE LA TARDE

El carro se detuvo unos metros más adelante.
Nadie llamó a una ambulancia
porque estaba muerto.
Muerto para sus hijos que lo piensan vivo
para sus padres que aún desde lejos
ya no podrían imaginarlo así,
su nombre arrojado en el centro de una calle.
Nada para hacer o decir.
Todos los rostros al límite
de sus párpados de plata.
Otra vez niños
frente al círculo
viendo el astro arroyado
donde relampaguea una verdad.


NEL TARDO POMERIGGIO

Il carro si bloccò alcuni metri più avanti.
Nessuno chiamò un’ambulanza
perché era già morto.
Morto per i suoi figli che lo pensano vivo
per i suoi genitori che sebbene da lontano
non potrebbero immaginarlo così,
il suo nome gettato in mezzo alla strada.
Nulla da fare o dire.
Tutti i volti all’estremità
delle sue palpebre argentate.
Di nuovo bambini
davanti al circolo
guardando l’astro investito
dove lampeggia una verità.


LUZ DEL PARAÍSO

De los pintores admirabas esta capacidad de sumergirse,
sentarse al lado de un juguete.
Pero no era esa paz la que vivían normalmente.
Caminaban por los barrios más pobres
junto al craqueo de las gallinas o la sirena de las fábricas.
Olían la mortandad de las ciudades.
Aquel verde de fondo era una trabajada distancia
para hacerlo soportable.
Lavaban en el agua los muertos más oscuros,
para librarse de ellos y volver a comenzar,
para que nosotros, años después,
pudiéramos ver aquella luz del paraíso.


LUCE DEL PARADISO

Dei pittori ammiravi la capacità d’immergersi,
di sedersi accanto a un giocattolo.
Ma non era quella la pace che vivevano abitualmente.
Camminavano per i quartieri più poveri
accanto al chioccio delle galline o delle sirene delle fabbriche.
Annusavano la mortalità delle città.
Quel verde di fondo era una elaborata distanza
per fare sì che fosse sopportabile.
Lavavano nell’acqua i morti più scuri,
per liberarsi di loro e tornare all’inizio,
affinché noi, anni dopo,
potessimo vedere quella luce del paradiso.


MÚSICA PRIVATA

No hay que insistir en la tristeza,
algo se salva
mientras exista la música.
Así no comprendamos
de qué se trata,
así sea siempre la misma canción,
sólo una vieja canción
para colmar el agujero
del mundo.

La música:

Sombras se juntan y se marchan
en las canchas de baloncesto;

en el lugar de los siniestros
un río no dejará de murmurar.


MUSICA PRIVATA

Non bisogna insistere con la tristezza,
qualcosa si salva
finché esiste la musica.
Così non comprendiamo
di che si tratta,
così sia sempre la stessa canzone,
solo una vecchia canzone
per riempire il buco
del mondo.

La musica:

Ombre si congiungono e vanno via
nei campetti di basket;

nei luoghi dei disastri
un fiume non smetterà di sussurrare.


DERIVA PLANETARIA

Es como si los rostros durmieran
en la quietud de los autos
obstinados en las prisas del café
o junto a una mosca que rodea
torpemente la última luz del arroz.

Toso de obstina y pesa,
es el calentamiento global.
La habitación ha quedado vacía.
Por las ventanas
entra el viento quemado
de las naves del mundo.

y sin embargo, se mueve.


DERIVA PLANETARIA

È come se i volti dormissero
nella quiete delle auto
ostinati nella fretta del caffè
o accanto a una mosca che ruota
goffamente sull’ultima luce del riso.

Ogni cosa si ostina e pesa,
è il riscaldamento globale.
La stanza è rimasta vuota.
Dalle finestre
entra il vento bruciato
delle navi del mondo.

e pur si muove.


PERRO DE POMPEYA

Un perro atropellado
en la mitad de la carretera.
Por su boca se asoman
las entrañas
y respiran a la vida
respiran todavía,
aferradas al túnel
de un aullido invisible.


CANE DI POMPEI

Un cane investito
in mezzo alla strada.
Dalla bocca sporgono
le sue viscere
e respirano la vita
respirano ancora,
afferrate al tunnel
di un invisibile ululato.


MUDANZA

Llega el momento de amar
hay un momento para abandonar.
Yo vi las ventanas azules
con barandas de hierro,
las chimeneas en la niebla
donde no llega el ruido
de los parlantes
y los vendedores.
Entonces, de espalda
a los bastardos que duermen
y son nadie, lejos del árbol,
puse un dedo en la boca
de mis mejores recuerdos
para poder vivir.


TRASLOCO

Arriva il momento di amare
c’è un momento di andarsene.
Ho visto le finestre azzurre
con ringhiere di ferro,
i camini nella nebbia
dove non giunge il rumore
dei parlanti
e dei venditori.
Allora, di spalle
ai bastardi che dormono
e non sono nessuno, lontano dall’albero,
ho messo un dito nella bocca
dei miei migliori ricordi
per riuscire a vivere.


CANCIÓN DE PARQUE

Un ojo despierta
en las escamas
del agua.

Arces como estrellas
centellean en su pupila,
verdes y morados.
Montañas que
brotan lentamente
y se levantan
con el viento.

Si la muerte viene temprano
que así se despliegue,
cambie sus pieles como
el lago de estos parques.


CANZONE DEL PARCO

Un occhio si sveglia
nelle squame
dell’acqua.

Aceri come stelle
scintillano nella sua pupilla,
verdi e violetti.
Montagne che
germogliano lentamente
e si sollevano
col vento.

Se la morte verrà presto
che così si spieghi,
cambi la sua pelle come
il lago di questi parchi.


ODA A CELAN

    Sous le pont Mirabeau coule la Seine
    Apollinaire
Fuimos al puente Mirabeau
para pagarte una promesa.
Las horas pasaban
sobre el Sena, las vidas,
cada vez más diminutas
y más rápidas. Confiados,
pensando que un suicida
escogió el lado de la Torre
que nada termina de caer,
arrojamos al agua
una moneda.
      Para Carolina Londoño


ODE A CELAN

    Sotto il ponte Mirabeau scorre la Senna
    Apollinaire
Siamo stati sul ponte Mirabeau
per saldare una promessa.
Le ore passavano
sulla Senna, le esistenze,
sempre più piccole
e più svelte. Fiduciosi,
pensando che un suicida
ha preferito il lato della Torre
che mai finisce di cadere,
abbiamo lanciato in acqua
una moneta.
      Per Carolina Londoño


ESFERAS

Nunca temimos a los sismos,
nos habituamos a hablar sobre los sismos.

Mi padre señalaba los mapas con el nombre sonoro
de Kobe o San Francisco, Popayán o Tauramena.
Eran viajeros que llegaban desde el fondo de la tierra
con un código de Richter,
o un niño que nacía desde el calor hacia las rocas.

“Las placas se mueven bajo nosotros”,
decía mi padre, “el tiempo es una caricia silenciosa”.

E imaginábamos la lava desplazarse bajo los pies, roja y naranja.
El desplome de los campanarios en el Tiempo del ruido.
Y un espasmo, un remezón de las cortezas más profundas
que hacía bailar todas las cosas, como si despertaran.

Guardábamos el mapa entre los anaqueles. Las fotos se hacían
turbias y nosotros caminábamos sobre el planeta.
El mundo era una esfera llena de voces
y murmullos, una canica redonda y traslúcida.
“Las placas se movían bajo nosotros.
El tiempo, una caricia silenciosa.”

Cuando despertamos por el terremoto de Armenia
vimos las ruinas de la infancia en el televisor.
Vimos las madres y sus hijos llorar a la intemperie.
Los sismos se hicieron viejos
y perversos, y comenzamos a temerles.

Frente a la luz de las pantallas,
viendo el avance de las formas contra el tiempo,
el rostro de los padres comenzó a cuartearse
y fue grabado en sus semblantes
un mapa imperfecto y movedizo.


SFERE

Non abbiamo mai temuto i terremoti,
ci siamo abituati a parlare di terremoti.

Mio padre indicava le mappe col nome sonoro
di Kobe o San Francisco, Popayán o Tauramena.
Erano viaggiatori che arrivavano dal fondo della terra
con una scala Richter,
o un bambino che nasceva dal calore sulle rocce.

“Le placche si muovono sotto di noi”,
diceva mio padre, “il tempo è una carezza silenziosa”.

E immaginavamo la lava muoversi sotto i piedi, rossa e arancione.
Il crollo dei campanili nel Tempo del rumore.
E un spasmo, uno sobbalzo delle croste più profonde
che faceva ballare tutte le cose, come se si svegliassero.

Conservavamo la mappa negli scaffali. Le foto diventavano
torbide e noi camminavamo sul pianeta.
Il mondo era una sfera zeppa di voci
e mormorii, una biglia rotonda e traslucida.

“Le placche si muovevano sotto di noi.
Il tempo, una carezza silenziosa.”

Quando ci svegliammo per il terremoto di Armenia (*)
vedemmo le rovine dell’infanzia alla tivù.
Vedemmo le madri e i loro figli piangere all’intemperie.
I terremoti divennero vecchi
e perversi, e iniziammo a temerli.

Davanti alla luce degli schermi,
vedendo avanzare le forme contro il tempo,
il volto dei genitori iniziò a incrinarsi
e fu registrata sule loro espressioni
una mappa imperfetta e mobile.

(*) Avvenuto il 7 dicembre 1988


Traduzione dallo spagnolo di Alessio Brandolini




Santiago Espinosa
poeta e critico letterario è nato a Bogotá (Colombia), dove vive, nel 1985.
Ha studiato Letteratura e Filosofia e attualmente è professore presso il “Gimnasio Moderno” di Bogotá dove coordina la “Escuela de Maestros”.
Sue poesie e saggi sono apparsi in diverse pubblicazioni del suo paese e anche all’estero. È stato capo redattore del periodico La Hoja di Bogotá, fino alla sua chiusura (2008). Scrive abitualmente per La Opera de Colombia e il Museo de Arte Moderno di Bogotá.
Nel 2010 ha pubblicato Los ecos, sua prima e ampia raccolta poetica che raduna testi dal 2003 al 2008. Lo lejano, il suo secondo libro, è stato pubblicato in Ecuador da El Ángel Editor nel giugno 2015. Lo stesso anno la casa editrice Valparaíso di Granada, in Spagna, ha pubblicato il suo libro Escribir en la niebla, una vasta raccolta di saggi su 14 poeti colombiani. Nel 2016 ha vinto il Premio Internazionale di Poesia “Jaime Sabines” con il libro El movimento de la tierra [Il movimento della terra], pubblicato l’anno successivo in Spagna (Valparaíso Ediciones). Nel 2017 è stata pubblicata in Messico l’antologia Luz distinta.

(Foto di Joaquín Puga)

alexbrando@libero.it