FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 41
gennaio/marzo 2016

Calma & Fretta

 

CIÒ CHE È DISTANTE
La poesia di Santiago Espinosa

di Alessio Brandolini



Studioso della poesia colombiana (recente un suo saggio pubblicato in Spagna) Santiago Espinosa (1985) ha nella sua voce e visione artistica forti riverberi della lirica europea contemporanea, anche italiana (nei suoi libri si citano Ungaretti e Montale). Il suo libro di esordio ha in esergo versi del suo conterraneo Juan Manuel Roca (1946), dedicati ai naufragi mentre il nuovo libro si apre con una epigrafe del canadese Mark Strand: “Il giorno perso, la luce persa. / Perché amo ciò che svanisce?”.

Implacabile è il lavoro dei giorni che ci modellano e la memoria è un amalgama di frammenti di vita vissuta in tempi recenti e lontani. Persone, case e paesaggi svaniscono con il trascorrere dei giorni, si trasformano in fantasmi. Fin dall’esordio avvento nel 2010, che non a caso s’intitola Gli echi [Los ecos, 2003-2008] e “Naufragi” la sua prima sezione, c’è nella poesia di Espinosa la percezione di crollo e distruzione (“le rovine di una lunga notte”), una sonorità che s’innalza dai ruderi ed esige di essere ascoltata. La musica del passato entra nella sfera del presente, si affaccia “al margine della festa dei vivi”. La parola tenta di ricucire, di tenere assieme brandelli di frasi, immagini, emozioni che provengono da lontano, da “ciò che è distante”: titolo della nuova raccolta poetica [Lo lejano] pubblicata in Ecuador nel 2015.

“Dietro ciò che scrivo / c’è sempre la pioggia” e fare poesia è dare voce a questa pioggia sottile e fina, quasi impercettibile, che giunge da lontano e occorre “liberare lo spazio / affinché possa cadere”. Dare un senso ai giorni trascorsi e offuscati da nuove esperienze, dal tempo che vola, dalla memoria che si carica di altri dialoghi, immagini e sensazioni. Quello che invecchia si allontana e sbiadisce, passa in secondo piano. I ricordi così ri-conquistati escono dai blocchi mentali e sono come naufraghi scampati alla tempesta e che già vorrebbero ripartire per una nuova avventura. La poesia avvicina ciò che è distante, “si carica i morti sulle spalle”, rimette al centro il frammento decisivo, il dettaglio trascurato, fa spazio a un volto: lo illumina, lo tirai fuori dall’oblio e dall’ombra.

Ciò che è distante dà voce a esistenze e gesti smarriti e il passato torna a essere presente, si fa “reale” nella lingua poetica di Santiago Espinosa che agisce come un tamburino che suona “con la sua camicia della festa / per stregare la morte”.




POESIE DI SANTIAGO ESPINOSA



EL OTRO

Pasa un hombre
el niño
que fue
lo mira
con rabia.


L’ALTRO

Passa un uomo
il bambino
che è stato
lo guarda
con rabbia.


TINTAS FRESCAS

Ah y es de nuevo la mañana.
José Manuel Arango

Interrumpiendo el sueño
con rumores y presagios
pasa la moto del periódico.

Implacable –es su trabajo–
va esquivando botellas, pétalos,
las ruinas de una noche larga.
Lleva en su carga
el día que comienza.
Las palabras
con sus muertos
a cuestas.


FRESCO DI STAMPA

Ah ed è di nuovo il mattino.
José Manuel Arango

Interrompendo il sogno
con rumori e presagi
passa la moto dei giornali.

Implacabile – è il suo lavoro –
continua a schivare bottiglie, petali,
le rovine di una lunga notte.
Porta su di sé
il giorno che inizia.
Le parole
con i suoi morti
sulle spalle.

(Da Los ecos / Gli echi, 2010)


AL MARGEN

Tarde de sed,
llueve sobre las calles

detrás de lo que escribo
siempre hay lluvia.

La música abre una esfera
donde entran y
salen los fantasmas
que no he visto

cesa la gravedad
bajo sus botas mojadas

y llueve
adentro.


AL MARGINE

Pomeriggio assetato,
piove sulle strade

c’è sempre pioggia
dietro quello che scrivo.

La musica apre una sfera
dove entrano ed
escono i fantasmi
che non ho visto

non c’è gravità
sotto i suoi stivali bagnati

e piove
dentro.


LA CAMA DEL TRAPECISTA

Al fondo, bajo la luz glaciar de una bombilla,
la cama sin patria del trapecista.
A su lado una banca para cuatro
donde se come en la sombra,
precario remedo de una estación fantasma.

Y si en la cama del trapecista
hay un cartílago de pollo,
amuleto de una esquina
en la que anidan
desplazados:

la calle y los escombros, vinagre sobre los charcos.
Novias que pasan de largo
y hacen planes en voz alta.
Un viejo azota su tambor con los muñones
indiferente a la parada de los buses.

Hay algo de río bajo las toldas,
de fiebre empozada o lluvias de invernadero.
Quien vea la marejada de las carpas
pensará que es un velamen extraviado
lo que se yergue en sus amarras.
Y si en la cama del trapecista
hay una carta imaginaria,
escrita para la bella desconocida,
y los resortes fueran herencias
de un tren abandonado,
el colchón un atado de papeles
que el forastero no firmó.

Y si alguien sueña con Dios desde su encierro
y despierto lo confirma en el sudario de sus sábanas.

Luz de bombillas. Adiós de los tendidos.
Y si en la cama del trapecista hay un revolver,
y la cama, los tendidos, las toldas y la banca
fueran el único emblema de un fugaz abandono.


IL LETTO DEL TRAPEZISTA

In fondo, sotto la luce glaciale di una lampadina,
il letto senza patria del trapezista.
Al suo fianco una panca da quattro
dove si pranza nell’ombra,
dubbia imitazione di una stazione fantasma.

E se nel letto del trapezista
c’è cartilagine di pollo,
amuleto di un angolo
nel quale si annidano
disorientati:

la strada e i rottami, aceto sulle pozzanghere.
Fidanzate che passano alla larga
e fanno progetti ad alta voce.
Un vecchio frusta il tamburo coi moncherini
indifferente alla fermata degli autobus.

C’è del fiume sotto i teli,
di febbre che stagna o piogge di serra.
Chi avvisti la burrasca delle tende
penserà che sia una velatura persa
ciò che si erge nei suoi ormeggi.
E se nel letto del trapezista
c’è una lettera immaginaria,
scritta per la bella sconosciuta,
e le molle fossero eredità
di un treno abbandonato,
il materasso un fagotto di carte
che il forestiero non ha firmato.

E se qualcuno sogna un Dio dalla sua reclusione
e sveglio lo conferma nel sudario delle sue lenzuola.

Luce di lampadine. Addio di lenzuoli stesi.
E se nel letto del trapezista c’è una pistola,
e il letto, i fili, le tende e la panca
fossero l’unico emblema di un breve abbandono.


CABALLO MUERTO

Caballo muerto
A la deriva de los ríos

Muriendo nuevamente
En el reflujo de las aguas

Corrientes de hielo
Arremolinan la crin
Graban sobre los cielos
Un crisol enfermo

El mensaje de los cascos
Horada la corriente
Se enturbian los límites

Lo huesos que asolaron los cuarteles
Abolidos
La sangre esquiva de los héroes

Extraviada en el intento
El brioso revolcarse en los espinos
Que era la libertad

Caballo muerto
Asistiendo a su proprio deshielo

Muriendo cada tarde
En el reflujo de las aguas
Lejos de las alianzas o el consuelo.


CAVALLO MORTO

Cavallo morto
Alla deriva dei fiumi

Che muore di nuovo
Nel riflusso delle acque

Correnti di ghiaccio
Accalcano il crine
Registrano nei cieli
Un crogiolo malato

Il messaggio degli zoccoli
Perfora la corrente
S’intorbidano i limiti

Le ossa che cancellarono i quartieri
Aboliti
Il sangue schivo degli eroi

Smarrita nel tentativo
Il brioso rotolarsi tra le spine
Che era la libertà

Cavallo morto
Che assiste al proprio disgelo

Che muore ogni sera
Nel riflusso delle acque
Lontano dalle unioni o dal conforto.


ESPEJISMO

El ojo, entonces,
consiste en ese azul que no lo es
sino a distancia.

Eduardo Lizalde

Mantén tu distancia.

El mar pierde su azul
y su grabado de milenios

rostros enseñan
continentes acres.

Vistas de cerca
todas tus esperanzas
regresarán hacia el espanto.

Para Santiago Mutis Durán


MIRAGGIO

L’occhio, allora,
consiste in quell’azzurro che non lo è
se non a distanza.

Eduardo Lizalde

Mantieni la tua distanza.

Il mare perde il suo azzurro
e la sua millenaria incisione

volti mostrano
acri continenti.

Viste da vicino
tutte le tue speranze
torneranno verso il timore.

Per Santiago Mutis Durán


MEMORIA AJENA

Tiempo de mudanza.
Una memoria ajena
es quien despide estos a
turistas, quemadas sus
barajas desde otro lugar.
Poesía es darle la voz a la
llovizna, desocupar el espacio
para que pueda caer.
Mira que el humo se desliza
en sus cabezas
sin que puedas hacer nada,
cada vez más pequeñas,
como un cigarro que se apaga
en las ventanas lavadas
o el temblor de una hoja.


MEMORIA ESTRANEA

Tempo di trasloco.
Una memoria estranea
è chi saluta questi
come turisti, bruciate i suoi
mazzi di carte da un altro luogo.
Poesia è dar voce alla
pioggerella, liberare lo spazio
affinché possa cadere.
Guarda il fumo che scivola
sulle loro teste
senza che possa far nulla,
sempre più piccole,
come una sigaretta che si spegne
sulle finestre lavate
o il tremolio di una foglia.


LA ARENA Y LOS OLVIDOS

Quien se habita es el desierto:
su soledad es nuestra.

Carlos Obregón

Se han reunido tus recuerdos
sobre el blanco de una imagen,
pidiéndote cuentas.
Qué de esto es tuyo y qué de los otros.
Dónde comienza el dolor de los demás.

Tanteando en torno, como sonámbulo,
buscabas la conexión entre tu voz y las cosas.
Te preguntabas por la herida de una herencia,
cuando al final de los caminos
no había nada por comprender.
Así fuiste habituando tu labor de escribano,
en el fulgor de las cosas perdidas.

Tenías que construir para perder.
Darle la vuelta a la comparsa
para quedar tan solo como al principio.
Había que alzar una escalera a lo invisible
para aprender a derribarla después.
Se abrió la puerta
y ahora miras lo tuyo en el silencio
de lo informe, pariente de un misterio perpetuo.

Deja que los muertos se concilien con los muertos.
Que el viajero que no fuiste se realice entre los suyos,
y que nunca regrese.
Que el estudiante y la señora de sombrero
vuelvan a cometer las mismas equivocaciones,
que la víctima se cruce por la calle
con su eterno verdugo
y que no se reconozcan.
Sombras o fantasmas, unos y otros pasarán.
Sigue ocurriendo al margen la fiesta de los vivos.

¿No oyes la música que envuelve
las montañas en su acenso,
en la balanza de los senos
donde un mundo se inclina,
es leve el destierro?

Escúchala en silencio, no mires para atrás.
Esta y no otra era tu historia:

el tiempo contemplado en las fisuras de la arena,
el lento madurar de los desiertos sin límite.


LA SABBIA E GLI OBLII

Chi si abita è il deserto:
la sua solitudine è la nostra.

Carlos Obregón

Si sono radunati i tuoi ricordi
sul bianco di un’immagine,
chiedendoti racconti.
Cosa di questo è tuo e cosa no.
Dove inizia il dolore degli altri.

Palpando l’aria, come un sonnambulo,
cercavi la connessione tra la tua voce e le cose.
Ti chiedevi della ferita di un’eredità,
quando alla fine delle strade
non c’era nulla da comprendere.
Così ti sei abituato al tuo lavoro di scrivano,
nel fulgore delle cose perdute.

Dovevi costruire per perdere.
Far girare la comparsa
per restare così solo come all’inizio.
Bisognava alzare una scala verso l’invisibile
per apprendere, dopo, a buttarla giù.
Si è schiusa la porta
e ora guardi ciò ch’è tuo nel silenzio
dell’informe, affine a un perpetuo mistero.

Lascia che i morti si concilino con i morti.
Che il viaggiatore che non sei stato si materializzi coi suoi,
e che mai torni.
Che lo studente e la signora col cappello
tornino a compiere gli stessi errori,
che la vittima s’incroci per strada
con il suo eterno boia
e che non si riconoscano.
Ombre o fantasmi, passeranno gli uni e gli altri.
Continua a svolgersi, a fianco, la festa dei vivi.

Non senti la musica che avvolge
le montagne nella sua scalata,
sulla bilancia dei seni
dove un mondo s’inclina,
è leggero l’esilio?

Ascoltala in silenzio, non guardarti alle spalle.
Questa e non un’altra era la tua storia:

il tempo contemplato nelle fessure della sabbia,
il lento maturare dei deserti senza limite.


LO LEJANO

El tiempo encanece cuando dices
lo lejano
y oyes tus pasos de niño
en las baldosas, las campanitas
enanas de los muertos
yendo por agua a las cocinas.
Tus huesos se hielan de abandono.
Sale de ellos el alma
por la puerta trasera,
para volver de asombro.
Casas amanecían su tristeza
con un soplo profundo
en “lo lejano”
y los padres no sabían
cuánto dolor nombraban.


CIÒ CHE È DISTANTE

Il tempo incanutisce quando dici
ciò che è distante
e senti i tuoi passi di bambino
sulle piastrelle, le campane
nane dei morti
che vanno per acqua alle cucine.
Le tue ossa gelano per il distacco.
Da loro esce l’anima
dalla porta sul retro,
per tornare allo stupore.
Case albeggiavano la loro tristezza
con un soffio profondo
in “ciò che è distante”
e i genitori erano inconsapevoli
di tutto il dolore che nominavano.

(Da Lo Lejano / Ciò che è distante, 2015)


ODA A CELAN

Sous le pont Mirabeau coule la Seine
Apollinaire

Fuimos al puente Mirabeau
para pagarte una promesa.
Las horas pasaban
sobre el Sena, las vidas,
cada vez más diminutas
y más rápidas. Confiados,
pensando que un suicida
escogió el lado de la Torre
que nada termina de caer
arrojamos al agua
una moneda.

Para Carolina Londoño


ODE A CELAN

Sotto il ponte Mirabeau scorre la Senna
Apollinaire

Siamo stati sul ponte Mirabeau
per saldare una promessa.
Le ore passavano
sulla Senna, le esistenze,
sempre più piccole
e più rapide. Fiduciosi,
pensando che un suicida
ha preferito il lato della Torre
che mai finisce per cadere
abbiamo lanciato in acqua
una moneta.

Per Carolina Londoño

(Inedito)


Traduzione dallo spagnolo di Alessio Brandolini




Santiago Espinosa
è nato a Bogotá, dove vive, nel 1985. Ha studiato Letteratura e Filosofia e attualmente è professore presso il “Gimnasio Moderno” di Bogotá dove coordina la “Escuela de Maestros”. Sue poesie e saggi sono apparsi in diverse pubblicazioni del suo paese e anche all’estero. È stato capo redattore del periodico La Hoja di Bogotá, fino alla sua chiusura (2008). Scrive abitualmente per La Opera de Colombia e il Museo de Arte Moderno di Bogotá.
Nel 2010 ha pubblicato Los ecos, sua prima e ampia raccolta poetica che raduna testi dal 2003 al 2008. Lo lejano, il suo secondo libro, è stato pubblicato in Ecuador da El Ángel Editor nel giugno 2015. Lo stesso anno la casa editrice Valparaíso di Granada, in Spagna, ha pubblicato il suo libro Escribir en la niebla, una vasta raccolta di saggi su 14 poeti colombiani.


alexbrando@libero.it