C’era una volta un regno lontano lontano nel quale nacque una splendida principessina che fu chiamata Aurora. Nella capitale si fece gran festa per tre giorni e tre notti con banchetti, canti e balli, ma bisogna essere obiettivi e riconoscere che lo sfarzo e la durata dei festeggiamenti non furono paragonabili a quelli di quattro anni prima quando era nato il principe Edoardo, l’erede al trono. Sì, per carità, il re e la regina furono contentissimi della nascita di Aurora, ma si sa che per due sovrani una principessa è un impegno più gravoso, significa doverle dare un’adeguata istruzione, perché non sfiguri a corte e nei banchetti alla presenza di ospiti illustri, e poi una dote adeguata affinché possa sposare un nobile, se non un principe di sangue regale come lei.
Bisogna però aggiungere che il re e la regina volevano molto bene ai loro figli e si innamorarono letteralmente della principessa Aurora, come ben presto tutta la corte e il popolo.
Chi avrebbe potuto resistere ai suoi grandi occhioni blu e ai morbidi boccoli biondi che le danzavano sulle spalle, alle fossette che si formavano sulle sue guance quando sorrideva e alla sua risata argentina che risuonava nelle sale del castello?
Aurora crebbe circondata dagli agi e dalle comodità. A ogni compleanno riceveva splendidi abiti ornati di trine e di merletti, la sua stanza era una bomboniera in un tripudio di rosa confetto, la sua carrozza personale avrebbe fatto invidia alle principesse delle fiabe più famose, ma… c’era un ma.
Desiderava che smettessero una buona volta di colmarla di doni così sciocchi, ma non osava chiederlo perché le era stato ben chiaro sin dai primi anni di vita che il suo ruolo sarebbe stato quello della principessa tutta sorrisi e moine, ma sperava segretamente che le cose potessero cambiare.
Un giorno venne nel regno un corteo di carrozzoni, erano artisti di strada che si accamparono fuori dalle mure e si esibivano nelle piazze con giochi di destrezza; c’erano mangiatori di spade e di fuoco, acrobati e giocolieri, belle danzatrici e prestigiatori che eseguivano trucchi sbalorditivi. C’era anche la tenda di una chiromante e un giorno in cui Aurora uscì a fare una passeggiata, decise di entrare e di interrogarla sul proprio futuro.
La vecchia l’accolse con un profondo inchino e la fece accomodare davanti a un tavolino sul quale era posata una grande sfera di cristallo. Le dita adunche della chiromante cominciarono a muoversi sulla sfera e sul suo viso comparve un’espressione di grande concentrazione.
“Vedo… vedo… uno splendido futuro per voi, mia deliziosa principessa! Un principe bello e valoroso sarà scelto come vostro sposo e...”
“Un momento! Vuoi dire che non sarò io a scegliere mio marito?” l’interruppe Aurora.
“Naturalmente no! E come potreste? Da che il mondo è mondo le principesse vengono conquistate e scelte in spose da valorosi principi o cavalieri e poi non sarebbe carino rifiutare la mano al tuo salvatore e...”
“Al mio salvatore? Come sarebbe a dire? Sarò forse in pericolo?” la interruppe di nuovo Aurora, senza badare all’aria leggermente spazientita della chiromante.
“Non un pericolo vero e proprio, diciamo una tappa obbligata nel curriculum di una principessa che si rispetti. Sarete catturata da un drago mentre passeggiate nel bosco e il re vostro padre prometterà una ricca ricompensa e la vostra mano a chi vi libererà.”
“Io non ho nessuna intenzione di farmi rapire da un drago per poi essere liberata dal primo principe di passaggio! Piuttosto sarebbe il caso che mio padre mi consentisse di prendere lezioni di scherma e di tiro con l’arco dal maestro di mio fratello così potrei difendermi da sola!”
“Principessa, non sapete dunque che il destino è quel che è? Era scritto nelle stelle nel momento in cui nasceste e vi chiamarono Aurora.”
“Vuoi forse dire che è tutta colpa del mio nome?” chiese sbalordita la principessa.
“Non solo del nome, ma anche delle congiunture astrali di quel momento. Era destino che vi chiamaste così e quasi sempre le principesse di nome Aurora adorano il colore rosa e i fronzoli, amano le passeggiate nei boschi e finiscono nelle grinfie di draghi o talvolta di orchi, ma il risultato è sempre il medesimo: arriva un principe valoroso e le salva. Potete stare tranquilla!” concluse compiaciuta la chiromante.
“Tranquilla un corno! Io detesto il colore rosa, i vestiti che mi fanno indossare e tutte le sciocchezze che devo imparare e chiamano etichetta di corte. Se decidessi di cambiarmi il nome forse cambierebbe anche il mio destino?” chiese speranzosa Aurora, ma la vecchia chiromante scosse la testa e agitò in aria l’indice ossuto.
“Il destino è quel che è, principessa… rammentatelo sempre! Il destino è quel che è!” e così dicendo coprì la sfera di cristallo e Aurora capì che sarebbe stato inutile continuare a discutere.
Uscì dalla tenda piuttosto irritata e ben decisa a fare qualcosa. Qualsiasi cosa.
Mentre si dirigeva a lunghi passi verso il castello nella sua mente prese forma un piano, che nei giorni seguenti perfezionò.
Una mattina in cui erano seduti tutti e quattro a fare colazione, Aurora mostrò ai genitori la pergamena inviata da una lontana parente nella quale si chiedeva la cortesia di accogliere a corte il figlio, perché diventasse compagno di studi, di giochi e di armi del principe Edoardo. Il principe si dimostrò subito entusiasta all’idea e i genitori non videro motivo per rifiutare, così fu mandato subito un messaggio in risposta e di lì a pochi giorni il giovane Guidobaldo giunse a corte e fu ricevuto con tutti gli onori.
“Ha un’aria molto familiare, non credi anche tu, mio caro?” chiese la regina, dopo che il ragazzo si fu compitamente presentato.
“Non mi pare che vi sia nulla di strano, siamo parenti!” rispose il re, alzando le spalle.
Cominciò un periodo di intense attività per Edoardo e Guidobaldo e fu ben presto evidente che il giovane e lontano cugino fosse un tipo davvero in gamba, così pronto ad apprendere, abile nello sport e nelle armi da mettere in ombra le qualità dell’erede al trono, ma Edoardo aveva un gran bel carattere e ammirava sinceramente la bravura del cugino.
“Non ti pare che Aurora ultimamente trascorra troppo tempo da sola in camera sua?” chiese una sera la regina, mentre sedeva accanto al fuoco con il re. “E poi ho la sensazione che detesti il cugino Guidobaldo. Hai notato che non li si vede mai insieme?”
“Sì, in effetti l’ho notato anche io e in fondo me ne dispiace perché potrebbe essere un buon partito per lei. È istruito, di bell’aspetto, abile spadaccino e infallibile tiratore. Sarebbe bello averlo sempre qui a corte e indubbiamente potrebbe diventare un valido collaboratore di Edoardo, una volta salito al trono.”
Le riflessioni dei sovrani furono interrotte dalle grida provenienti dal cortile. Un gruppo di contadini si era radunato e invocava a gran voce l’aiuto del re perché un feroce orco era uscito dal bosco e aveva rapito la figlia del mugnaio.
In men che non si dica la notizia si sparse per il castello e fu formato un drappello di uomini valorosi, guidati da Edoardo e Guidobaldo, che andasse a stanare l’orco e a liberare la povera ragazza.
La manovra di accerchiamento fu perfetta, l’orco non avrebbe avuto scampo e Guidobaldo si offrì di entrare per primo nella casa dell’orco per farlo cadere nella trappola. Edoardo stavolta non volle acconsentire e decisero di entrare insieme. Sgusciarono silenziosi nella casa immersa nel buio e trovarono la ragazza in cucina, rannicchiata vicino al camino, spaventata, ma sana e salva. La fecero uscire e l’affidarono alle cure delle donne del villaggio poi tornarono ad affrontare l’orco. La lotta fu violenta ed estenuante e l’orco si difese con tutte le forze, ma nulla poté contro l’agilità e la gioventù di Edoardo e di Guidobaldo, che inflisse all’orco il colpo decisivo che lo fece fuggire a gambe levate nel folto del bosco per non tornare mai più.
I due giovani furono portati in trionfo a palazzo e accolti con tutti gli onori.
“Bravo, figlio mio! Sapevo di poter contare su di te!” esclamò il re, abbracciando il principe, ma Edoardo si avvicinò a Guidobaldo e lo portò al cospetto dei sovrani.
“Dovete ringraziare lui, senza il suo aiuto e soprattutto senza il suo colpo decisivo non avremmo avuto ragione dell’orco!”
Guidobaldo fece un profondo inchino e l’elmo gli rotolò via dalla testa, scoprendo una cascata di riccioli biondi.
“Aurora!” fu il grido che uscì dalle bocche di tutti i presenti e la principessa scoppiò in una delle sue allegre risate che risuonavano nel castello.
Onori ancora più grandi furono tributati alla principessa che aveva dimostrato di essere coraggiosa e brava quanto il fratello e Edoardo rinunciò al trono in suo favore senza alcun rimpianto perché Aurora aveva dato prova di essere più che degna dell’onore che per la prima volta nella storia del regno sarebbe toccato a una principessa.
Un nuovo stemma fu creato appositamente per lei, un motivo di fiori e di spade incrociati e circondati dalla scritta Il destino è quel che è.
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