FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 50
settembre/dicembre 2018

Aurora

 

ALLA RISCOPERTA DELLE RADICI
In Il segreto di Bruto di Raffaele Alliegro, racconto e storia della Roma arcaica ci permettono di capire molte cose del nostro oggi

di Marco Testi



Scrivere un romanzo storico oggi non è tra le cose più semplici, anche se pure ieri le difficoltà non mancavano, tant’è vero che lo stesso protagonista della nostra narrazione a sfondo storico, Manzoni, dovette, dopo l’edizione definitiva del suo capolavoro, fare marcia indietro e decretare addirittura l’impossibilità dell’esistenza del genere. Se Manzoni, come sappiamo, era un perfezionista assillato da una marea di dubbi, gli ostacoli in realtà esistevano, e il gran lombardo non aveva tutti i torti: le difficoltà che si frappongono sono tante, non ultima quella della scelta del linguaggio più adatto per i personaggi, se questi appartengono a tempi lontani da noi. Raffaele Alliegro, napoletano, giornalista del Messaggero, ripropone questa vexata quaestio con il suo recente Il segreto di Bruto, perché, se da una parte le fonti storiche e letterarie cui attinge sono autorevoli e documentate (soprattutto Tito Livio, ma non solo, come vedremo), dall’altra consegna ai personaggi, Lucio Giunio dal cognomen di Bruto, Lucio Tarquinio detto il Superbo, Lucio Tarquinio Collatino, Lucrezia sua moglie, un linguaggio moderno, che attualizza i discorsi, ma crea una sorta di brechtiano straniamento. Il romanzo ha però un merito importante: quello di informare di come verosimilmente siano andate le cose alla fine della monarchia romana, attraverso una veste narrativa tale da attirare l’attenzione del lettore e rendergli piacevole questo vero e proprio ritorno alle radici.

Il vero protagonista è un giovane, Lucio Giunio, cui il nuovo tiranno (succeduto a quel Servio Tullio barbaramente ucciso e oltraggiato perfino dalla figlia Tullia, poi moglie del Superbo) aveva fatto fuori la famiglia per il timore che essa, fedele alla precedente monarchia, potesse congiurare contro di lui. Il ragazzo si finge stupido (il cognomen Brutus vuol dire anche ottuso) per evitare di essere eliminato a sua volta, lentamente entra nelle grazie del tiranno e nell’odio dei suoi tre figli che si sentono messi in disparte dalla strana scelta del padre. I misfatti dell’etrusco Tarquinio saranno tali che lo stesso Lucio deciderà, soprattutto dopo l’oltraggio da parte del figlio del re, Sesto, a Lucrezia e al suicidio di quest’ultima, di guidare l’insurrezione della aristocrazia romana e a cacciare Tarquinio.

Alliegro ha il merito di attualizzare elementi che sono stati riportati all’attenzione dalle interpretazioni della tomba François di Vulci e dagli studi comparativistici sui rapporti tra popoli – ad usare vecchie distinzioni che oggi subiscono radicali revisioni – non indoeuropei, come gli Etruschi, e quelli indoeuropei, come i Latini. Uno studioso del calibro di Massimo Pallottino, in un suo intervento sulla tomba François ha messo ben in risalto come un accurato studio delle varianti linguistiche ci aiuti a meglio definire la realtà storica dei periodi arcaici.

Il segreto di Bruto riesce nell’intento di riaccendere l’attenzione del lettore comune verso fatti che sembravano favolisticamente scontati (complice anche programmazioni storiche ormai vetuste e da riattualizzare) e che invece non lo sono. Intanto gli stessi rapporti tra Etruschi e Romani non sono così semplici da circoscrivere. La tomba François ci rivela elementi più antichi della sepoltura stessa, ma assai interessanti dal punto di vista storico: l’uccisione di alcuni re etruschi potrebbe essere stata causata da altri clan etruschi e non dai Romani, lo stesso Macstrna (in latino Mastarna) che libera Caile Vipinas (Celio Vibenna) potrebbe essere divenuto re di Roma con il nome di Servio Tullio.

In realtà la nobiltà indigena della Roma sotto il Superbo si era imparentata con i clan etruschi o era a sua volta di origini etrusca o sabina (lo stesso Bruto forse proveniva da quest’ultima gens). Poi la persistenza della religione e della cultura greca in Etruria e a Roma: la presenza della Sibilla Cumana nella narrazione è funzionale alla comprensione di come molte leggende e molte tradizioni religiose siano state riletture o appropriazioni della cultura greca. Il romanzo mette bene in rilievo che la riforma militare attribuita al Superbo – in realtà probabilmente avvenuta prima – avesse favorito le classi popolari e le città latine alleate, perché il popolo, diviso per età, si trovò a sostenere lo scontro iniziale con la fanteria avversaria acquisendo una maggiore importanza a danno dei vecchi optimates.

Il romanzesco si spinge ovviamente oltre, con accenni ad altri personaggi d’invenzione e a miti diversi, come quello di Atlantide, e questo, come aveva capito Manzoni, è la chiave di volta per donare piacevolezza e inventio ad un testo che altrimenti sarebbe storia pura; ci propone alla fine una cavalcata attraverso il tempo per andare ad altre idi di marzo che non quelle del fatale 509 prima di Cristo, quando il Superbo si trovò le porte di Roma chiuse in faccia: quelle che videro nel 44 a.C. Caio Giulio Cesare cadere, nella curia di Pompeo, sotto le ventitré pugnalate di antichi amici e parenti.

Anche questo evento è stato letto secondo diversi, spesso opposti, punti di vista: per alcuni Roma era ormai ingovernabile ed era necessaria una riforma politica che rimettesse ordine e che permettesse ad un uomo amato dal popolo di rifondare una città in preda all’odio e al disordine. Secondo altri, Cesare era un pericoloso perturbatore delle leggi romane, che, contravvenendo all’antico giuramento per cui chi si proclamasse re doveva essere ucciso, si stava preparando ad abolire l’antica repubblica per creare una monarchia assoluta che ricordava quella del Superbo.

Alliegro è riuscito a far ricombaciare nomi e date, come se la fluidità irripetibile del tempo potesse in qualche modo ripresentare aspetti nuovi e nel contempo antichi delle umane imprese. Un nuovo Bruto, antico discendente del primo, si convince che il campione dei populares sta per diventare il suo opposto, l’affossatore dell’antica repubblica, e decide di “tradirlo”, in qualche modo, così come aveva fatto l’altro Bruto. Il segreto di Bruto riesce in questo difficile compito: di farci non solo riaffascinare da un passato che molti davano per scontato avvicinamento di tre-quattro eventi, e che invece si rivela come mescolanza di genti, leggende, eventi originari; ci fa anche ripensare a quanto sia complesso il discorso dei rapporti tra democrazia, populismo, personalismo in politica, fino a vedere con occhi più consapevoli il nostro tempo. Leggere dell’opposizione tra lusso e sprechi della corte etrusca e morigeratezza dei Romani fa pensare ad altri eventi, primo tra tutti la rivoluzione d’ottobre in cui il superfluo della corte zarista era condannato in nome della condivisione del poco da parte dei bolscevichi, con una ambigua (da parte di Lenin), ripresa della lezione di Tolstoj. La stessa trasformazione della rivoluzione sovietica in una tirannia personale può essere letta come specchio di ciò che accadde dopo la morte di Servio Tullio in una Roma distante millecinquecento anni dal crollo dello zarismo, e non è il solo parallelo possibile. Segno che nulla si ripete, ma che la storia, anche quella arcaica, come sembra suggerirci Alliegro, ha qualcosa, non tutto, da insegnarci.


Raffaele Alliegro, Il segreto di Bruto, Edizioni Spartaco, 2018, pp. 240, 14 euro.




Raffaele Alliegro
giornalista. Nato a Napoli nel 1961, vive a Tivoli e lavora a Roma come caporedattore nel quotidiano Il Messaggero. Con Edizioni Spartaco ha pubblicato, a quattro mani con Marco Fimiani, Il destino cambia in tre attimi. Piccole storie di grandi ribellioni (2013) e il romanzo Il segreto di Bruto (2018).


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