Il giorno in cui la sua vita intraprese il sentiero che l’avrebbe portata, vent’anni dopo, a diventare la leader di un grande movimento rivoluzionario, Monika Bressan aveva soltanto sette anni. A quanto ha raccontato in una delle rarissime interviste, aveva avuto un presentimento già la mattina, durante la lezione di Storia. Il docente le era apparso diverso dal solito, col viso contrito e un’inedita malinconia negli occhi. Se da un lato quell’umore era comprensibile, considerato l’imminente pensionamento, qualcosa le aveva detto che c’era dell’altro, una sorta di senso di colpa, che adesso prendeva forma nella voce flebile del professore, mentre ripercorreva gli anni del DUTAS, il Decreto Ultimo per la Tutela degli Animali Sopravvissuti, attraverso le parole del sommo abbate T.S. Eliot:
«“C’è stato un tempo in cui gli uomini mangiavano gli animali. È stato un tempo di barbarie, e ne stiamo ancora pagando il prezzo. La maggior parte degli animali si sono estinti, l’evoluzione naturale dell’uomo ha subito un brusco rallentamento, e ci vorranno centinaia di anni per ripristinare le funzioni intestinali di base e una dentizione efficiente. È anche vero che quello sfacelo fu dovuto all’abuso, alla mancanza di norme e umanità, alla spinta devastante del capitalismo, cieco a qualsiasi etica. Chissà, forse, se nel XX secolo non avessimo esasperato a tal punto la nostra componente bestiale, è possibile che oggi il carnivorismo non sarebbe un reato. Ma così è andata, e questa è la condizione attuale, e tutto ciò che possiamo fare è ritracciare le linee guida di un nuovo Illuminismo Relativista per costruire un sistema talmente perfetto che nessuno avrà bisogno di essere buono”. Così scriveva l’Avatar di Eliot più di cinquant’anni fa. Parole di una preveggenza impressionante. Eppure, se da un lato l’intellighenzia ha sempre auspicato il giusto, dall’altro la politica ha perpetrato il male, impedendo all’Illuminismo Relativista di affermarsi, almeno finora. Quello che vi chiedo, miei cari, è di esigere sempre dai vostri futuri docenti di non fermarsi ai testi ufficiali, e di aiutarvi a indagare le versioni alternative a quella voluta dal potere vigente. Siate affamati, siate folli!»
Così si chiudeva, a quanto ha ricordato Monika Bressan, l’ultima lezione di quel suo docente di Storia. Quel giorno Monika, che ai tempi aveva soltanto sette anni, spense il MIR (Monitor per l’Insegnamento da Remoto) e andò a sprofondare nella poltrona del salone, con un senso di pesantezza che, al momento, non riuscì a spiegarsi. Dopo mezzora di immobilità si connesse quindi alla Rete e, con un piglio del tutto nuovo, cominciò a fare ricerche sugli animali. Erano le undici di mattina, e Monika andò avanti fino a sera, interrompendo la sua esplorazione soltanto al ritorno del padre.
In quelle ore apprese informazioni sconvolgenti. Scoprì migliaia di specie stupende e stranissime, dalle abitudini strampalate o, per contro, sorprendentemente umane. Stabilì che il suo preferito era il perioftalmo, un pesce dagli occhi telescopici e capace di uscire fuori dall’acqua, avanzando sulle pinne caudali come fossero zampe, e persino di salire sugli arbusti delle mangrovie. Ma che dire del limulo? Era l’artropode che aveva resistito più di tutti, il più antico in assoluto, al momento della sua estinzione, una specie di elmetto corazzato con una lunga coda acuminata e quattro paia di zampe differenziate, ognuna con una mansione specifica, per raccogliere, scavare, ancorarsi e deambulare. Anche gli animali un tempo più noti, però, erano stati in grado di miracoli: la salamandra poteva farsi ricrescere il cuore, se danneggiato, mentre i topi avevano imparato a espellere i tumori. Ma, al di là di queste fantasticherie, Monika si chiedeva come fosse stato possibile, da parte dell’uomo, non tutelare lo splendore anche puramente estetico degli animali, la loro varietà, e i loro comportamenti, che in un tempo remoto erano stati all’origine della quasi totalità dei miti, insegnamenti metaforici ai quali l’uomo doveva tutto. Gli scarafaggi erano stati gli unici a non risentire dell’inquinamento del XX secolo, ma per fortuna si era riusciti a tenerli lontani dalle città. Per il resto, nelle aree urbane, gli esseri umani erano le uniche cose viventi in movimento. Nel corso degli anni si era parlato numerose volte di un ripopolamento strategico, ma alla fine nessun governo si era accollato l’onere: i codici erano tutti preservati negli Archivi Genetici del paese, ma evidentemente qualche interesse economico superiore aveva tenuto a bada quella che, secondo i Ri-Animalisti, sarebbe stata una bellissima riscoperta. Eppure, quel giorno, Monika scoprì dalla Rete che alcuni animali esistevano ancora, costretti e monitorati negli Zoo Governativi, riservati alle famiglie della Classe Dirigente. Monika interruppe la sua documentazione non appena il padre rincasò, fissandolo come se fosse un angelo rivelatore.
«Papone!»
«Piccola mia!»
«Ma tu quando ti promuovono?» gli chiese.
«E a te che te ne frega? E io che pensavo che fossi felice di vedermi! E invece no! Non ti basta quello che guadagniamo, che mi chiedi quando mi promuovono? Ho allevato una serpe in seno!»
«Ma no!» rise Monika. «È che ho letto che i commissari rientrano nella Classe Dirigente. È vero? Tu cosa sei? Puoi diventare commissario? No, perché ho letto che i figli di quelli della Classe Dirigente possono accedere agli Zoo Governativi. È vero, papone? Ti fai promuovere e mi ci porti? Ho letto che ci sono gli animali vivi, dentro. È vero?»
«Ah, ora capisco. Monika, dolce foruncolo, mi dispiace, ma ci metterò ancora un po’ a diventare commissario. Dovrai aspettare».
«Ancora quanto? Ma è vero che ci sono gli animali vivi? Davvero non sono tutti estinti?»
«Non te lo so dire, Monika. Non ci sono mai stato in uno Zoo. Sì, so che ci dovrebbero essere, ma io non li ho mai visti. E comunque dovrai aspettare almeno dieci anni. Noi siamo soltanto vegetariani, e per intraprendere il percorso di promozione è necessario essere vegani da almeno dieci anni».
«Vegani? E che vuol dire?».
Quel giorno, a quanto ha ricordato Monika Bressan, fu un giorno per lei scombussolante, in cui ogni informazione acquisiva improvvisamente un peso maggiore, e tutto le sembrava collegato e connesso, parte di un piano più ampio. Avrebbe giurato che, fino a quel mattino, prima della lezione sul MIR, la sua vita era stata più semplice, più immediata e ingenua, fatta di frammenti piacevoli e indipendenti, e che invece, dopo l’ultima lezione del docente di Storia, e quelle ore trascorse sulla Rete a documentarsi sugli animali, e la spiegazione del padre sulla realtà politica vegana del paese, ebbene, Monika Bressan cominciò a mettere insieme i pezzi che l’avrebbero trasformata, nel corso di vent’anni, nella leader che tutti conosciamo.
Ma l’evento che innescò davvero la miccia risale a un mese dopo quel giorno. Monika stava tornando da una passeggiata al parco in compagnia di un olo-precettore, quando, con la coda dell’occhio, intravide qualcosa che la fece sussultare. Spense subito l’olo-precettore, per assicurarsi di non avere testimoni, e si avvicinò terrorizzata verso l’oggetto. Gli si fermò a un metro di distanza, temendo che potesse scappare. Attivò il riconoscimento morfologico, e dopo pochi nanosecondi ebbe la certezza che si trattava di un batrace, che stando alla Rete si era estinto settant’anni prima. Si trattava di un essere orrendo, o almeno così le risulto in quell’istante. Chiamato “Bufo bufo” nel 1758 da Linneo, era un anfibio anuro della famiglia Bufonidae, diffuso in Eurasia e nel nord-ovest dell’Africa. Aveva gli occhi dorati, con pupille orizzoniali, e sul collo erano evidenti due ghiandole parotoidi, ma la cosa davvero disgustosa era la pelle tra il marrone e il rossiccio, contrapposta al ventre biancastro, e la schiena coperta di verruche che, stando alla Rete, potevano secernere sostanze urticanti, ma soltanto se l’animale si sentiva minacciato, e mai per attaccare. Un vero mostro.
Eppure, nemmeno per un secondo Monika si rimangiò l’istinto che l’aveva assalita non appena individuato il batrace: raccoglierlo, proteggerlo e consegnarlo a qualcuno che avesse le competenze per prendersene cura, probabilmente allo Zoo. Anzi, pensò, forse quel batrace poteva essere la sua chiave d’accesso allo Zoo.
Si avvicinò lentamente all’animale e protese le mani, combattendo le ondate di brividi che dalle dita correvano verso la schiena, provocandole la pelle d’oca. Dell’ipotesi della sostanza urticante non le importava nulla, perché sapeva di essere in buona fede, ed era certa che il mostro l’avrebbe percepito. E così fu. Il batrace si lasciò raccogliere senza nemmeno accennare una fuga: probabilmente era esausto e affamato, o forse aveva tentato una cosiddetta “tanatosi”, il fingersi morti per disinteressare i predatori; fatto sta che, trattenendo la repulsione per la pelle viscida dell’animale, Monika lo sollevò da terra, lo mise nel porta-cibo e corse verso casa, imparando nel tragitto, grazie a un’App appena scaricata, tutto ciò che si doveva fare per tenere in vita un anfibio. Le istruzioni funzionarono, e in poco tempo il batrace recuperò vivacità. Monika già sognava, immaginando i direttori dello Zoo che la ringraziavano per avergli riportato un esemplare fuggito e che la invitavano a una visita eccezionale tra le teche della loro istituzione. Ma quando il padre tornò, quel giorno, il sogno si infranse subito, e il padre le sottrasse la bestia come se avesse trovato la figlia in possesso di sostanze illecite. Monika pianse e lo implorò, ma in quanto tutore dell’ordine il padre aveva dei doveri e, senza spiegarle nulla, portò via il batrace convinto che fosse legato al contrabbando. Alla stazione di polizia l’animale fu smistato in laboratorio per le indagini forensi, dove fu soppresso e vivisezionato, anche se questi dettagli Monika li avrebbe scoperti molto tempo dopo. Sarebbero trascorsi altri quindici anni prima che Monika Bressan si imbattesse di nuovo in animali vivi, che si ricordasse di quel batrace e che intraprendesse il suo cammino verso la verità.
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