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Gli esseri umani, anche se devono morire, non sono fatti per morire, ma per ricominciare. Hanna Arendt
Fili sottili di luce
non si sapeva nessuna parola
per dare luce
alla luce
forma
alla forma
che rimaneva liscia e dorata
come il futuro mare a quell’ora.
Non si sapeva di toccare
se pelle o terra
e intorno
l’oro dell’aria.
All’alba
gli uccelli cantano note smemorate
consegnano una luce
tenuta stretta in gola nella notte.
*
Cosa provò la prima volpe che posò una zampa sulla neve
la prima rondine che si levò in volo
l’occhio che si dischiuse piano
dopo il buio freddo del sigillo
e quel bambino che per la prima volta vedeva il mare?
Nella gran schiuma bianca mise tremando il suo piccolo alluce
e scoppiò a ridere.
Io muoio per quello che non mi sorprende più
e inerte si ripete senza emozionarmi.
(Qualcuno parlava e parlava
senza ascoltarmi anche se gli urlavo taci
chiudendogli la bocca con le mani e lui
continuava a parlarmi senza un volto
ma parlava
un altro passando scosse la testa
e scappò via
guardandomi in giro
mura altissime senza indicazione di strada
mura fittissime nessuna fessura
e parole parole sfiatate
e un cane che abbaiava da lontano;
cominciai a battermi la fronte con le nocche delle dita
sentii quella dura parete d’osso
mi svegliai).
*
Le consonanti - mattoni,
le vocali – aria e saliva:
insieme impastano le belle sillabe
le architravi sonore del discorso
la lingua i linguaggi.
Se ci parliamo
dappertutto nei muri
si schiuderanno
fessure.
L’alba
balbetta e canta
nelle piccole gole dei bambini
che come latte
a piccoli sorsi
trangugiano il mondo.
*
La volpe posò le zampe un’altra volta e inaugurò una strada nella neve
altre volpi posero le loro sulle sue impronte l’uccello
proseguì il suo arioso disegno il bambino
si tuffò in mare e scoppiò ancora a ridere
e tu, se troppo scura è la notte
e in quel punto laggiù non c’è più la tua casa
dovrai andare
andare chiuso nella paura
il sandalo slacciato cuore e ginocchio tagliato e tu affaticato
di tutta quella lunga lunga notte
vedrai levarsi luci intorpidite
senza brezza e rugiada e forse
imparerai che tutto quanto precipita
si schianta a terra o devìa
che tutto quanto nasce e si leva
deve inaridirsi
diventare altro.
Anche le parole devi imparare a tenerle ferme
che subito non volino via.
*
Come è stata questa notte?
l’attesa
di una nascita
che rigenera
la pazienza?
E qualcosa
va germinando in te un altro te
che dal grembo si stacca per vedere
senza ciglia
il sole con i suoi spettri
e ansiosamente interroga
interroga
e le risposte
le inventa.
*
E il paradiso cos’è?
Me lo chiede un bambino
con tono di sfida.
Una cellula aliena nello spazio gli dico
e noi i suoi atomi
come negli affreschi
chi circonda il trono del creatore.
Mi chiede che lingua si parli lassù.
O il tacere e la distanza
sanno dire l’indicibile?
o mai lo dirà per preservare intatti
il sogno e il senso
di questo chiacchierare?
Se esistono mondi a specchio
terremo stretti i sogni e i pugni
tutte le care ignoranze che non scivolino
via dalle mani
come quei pesci che vogliono tornare in acqua.
*
Penso alla magia naturale dei bambini
e agli animali
al loro puro mondo nelle pupille.
Davvero l’aurora ha un segreto
perduto per strada tradito
dalle parole parlate.
Penso a Giordano Bruno
Incenerito
per un’aurora vista solo da lui.
Chi apre troppo in fretta i nascondigli
brucia di febbre inumana
e in giro va appiccando sogni e roghi
di follia e meraviglie
pericoli.
*
Non si sapeva
che al taglio seguiva
il taglio
al congedo
il congedo
che tutto
è fiotto di sangue
di vena aperta
immedicabile.
che Il sangue è il presente
ora e qui
e il tempo
un’emorragia
appena lavata.
*
Il latte dell’aurora è nero
per gli oppressi che al mattino aprono gli occhi
e subito tornano a morire
senza cibo di futuro
stritolati
dentro le proprie ossa.
L’aurora
mai mostra la morte.
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