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Aurora: il pensiero è aereo o terrestre?
Epifania. Ma nello spazio che vedi.
Dove non ci sono case, la nebbia nasconde abissi.
Notte traversata da lampi di sogni, come attimi d’ansia.
Rifiutare la notte unica per le tenebre plurali.
Il silenzio del buio, così vicino all’intimità del corpo.
È il sonno
la tua ultima terra?
Essere dove i venti arrivano.
Ma arriveranno?
L’eternità: una voce, fra le voci.
Pietre, come segreti. Vento, come odori.
La bellezza:
il sasso dove inciampi stupito
e gridi, da cui volerai.
Libro senza nessuna rotta,
pensato mentre stringiamo le unghie sul cuscino
a inventarci una silenziosa saggezza
di cui bisbiglieremo nel sonno.
Reinventare come bambini il mondo.
Per non camminarci morti.
Tùffati.
L’acqua ti tradirà, ma non so come.
È pietra, la luce, come intuivi.
Ogni figura scolpita arde per occhi futuri.
Mai una sola porta. Ogni muro è una porta.
Il mare è ossa, capelli, legni, ferri, corde, brandelli:
benché le onde, anonime, identiche, ancestrali,
cancellino tutto, è
questi segni.
Montagna libera dalle parole che la descrissero.
Solo ombra di crepacci, luogo di raffiche.
Del divino ti appartiene quella lama di luce,
fra il verde aspro e le rocce aguzze.
Non stupirsi più
di quanta polvere sia salita dalla terra.
Malgrado la volontà di parlare, gli sembrava che ogni frase non avesse forma. Ma continuava a parlare. Non aveva altro ricordo che la fossa dove vide quanto non doveva vedere. Poi andò a sinistra del fiume e la terra si rischiarò, prodigiosamente.
*
Uno specchio che riflette il fulmine.
Incerto della sua cornice.
Il primo fulmine si riflette nel cristallo e ne ricaviamo parole.
Ma il secondo?
Metti la testa nella fessura da cui la sorgente zampilla.
Ciò che non sei è il crimine da cui il sonno, finalmente, ti assolve.
Il precipizio da cui sale
il vento di cui vorresti vedere l’origine.
L’origine del mondo: sotterranea.
Ma l’aria arriva, prima o dopo.
Il nulla: una foglia che era colma di pioggia.
Il nulla lo intagli respirando.
Poi vedrai ciò che resta.
Sembra che certi bambini, abbandonati fin dall’infanzia dalla madre, portino impresso sul palmo della mano, in vicinanza del polso, uno strano segno circolare, chiamato il segno dell’isola.
Amicizia è condividere l’indicibile.
*
Le nuvole: un modo di apparire a cui non aggiungere parole.
Con il gesso, nello specchio illuminato,
traccia la traiettoria del loro movimento.
Impara, dalla notte, la disponibilità a un disordine logico.
Cammino in una foresta
dove molte voci sussurrano
di un uomo in imminenza di morte.
E poi, solo canti di uccelli.
La fine della foresta.
A perdita d’occhio, sassi bianchi
come crani preistorici.
Il lampo che non conosce specchi incenerisce.
Porta verde, chiusa. Su quale segreto?
Pensi di salvarli narrando di loro,
ma i corpi dei naufraghi continuano a guardarti.
Stai cogliendo gli asfodeli:
lo sai che fioriscono solo alle porte dell’inferno?
Cosa c’è, nella notte, di imperdonabile? Non poter diventare completamente luce. Capovolto, il sole manderebbe la stessa luce?
Vedersi allo specchio, responsabili del proprio riflesso.
Certe grida
di febbrile inesistenza.
Nutri il silenzio: le sue future parole.
Abbiamo visto che, oltre la linea d’ombra, c’è un’altra ombra, e arriva da una luce inconcepibile. Ora dobbiamo solo metterci in viaggio.
*
Il mio incubo: oppormi con violenza a un nemico che non vedo.
La mia realtà: riconoscere il nemico.
Il sole è splendido:
svégliati,
senza la testa fra le mani.
Le ondulazioni dell’erba, gli eserciti in fuga.
Ora sembra solo un vento,
allora era una guerra interminabile
e i guerrieri dissero parole
che oggi ritornano, pronunciate da altri,
come un bisbiglio.
Padrone soltanto dei riflessi. Sempre libero.
Non cicatrici di visioni, negli occhi, ma ferite aperte, lacrime lasciate libere di scorrere.
Trovando l’acqua, trovare la radice del giorno.
I sogni si raccontano sottovoce, attraverso le porte, perché ci conducano dove non sappiamo.
Inoltrarsi nelle parole: restare muti.
*
Ciò che osavi sognare, nella parola, è la parola.
È difficile, o impossibile, raggiungere il confine?
Chi è posseduto da un’idea e fissa nel foglio una frase, tradisce entrambe e illumina entrambe.
Ripetilo a te stesso: i libri non sono mai stati ombre.
Controtempo e lucidità: il lavoro dell’arte.
Scrivendo, custodisci te stesso con le parole.
E mai nessun libro potrà essere l’ultimo.
Dimentica tutte le notti
per una luce così abbagliante da contenere
la tua ombra.
Per difendersi dal mondo dove non vuole essere, lo scrittore si insedia nel mondo reale delle parole, in cui regna. Ma non da sovrano, da servo.
Il foglio bianco.
Due penne sul tavolo.
Una, spezzata.
Nello stretto vortice delle pagine una duplice parola erompe: quella che descrive il paesaggio e quella che lo sovverte.
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Vela, la mia pagina,
percorsa da chi venne e verrà.
Vento.
Non ci sono più ospiti. Siamo tutti fuggiti.
Scrivo e sono io
la prima delle ombre che evoco.
Vedere i bordi della ferita. Non ricucirli subito.
Distopie, le stelle.
Utopia, la luna che non appare.
Fare a meno del mondo: ma per ricrearlo obliquo, tangente, impossibile.
Ciò che ti traversa ritorna come onda, nell’aria, ma non lo riconosci.
Ogni parola: luce a picco.
Chiudi gli occhi: è questa
l’aurora.
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