Ci sono libri che nascondono altro. Quello che Herder e Goethe, e non solo loro, avrebbero chiamato lo spirito del tempo. La corsara (2017) di Sandra Petrignani è uno di questi, perché non rappresenta solo una accurata e assai documentata biografia di Natalia Ginzburg, ma anche una nuova ricognizione tra i sentieri del senso di un’epoca, che si rivela lentamente, attraverso la lontananza prospettica e quindi temporale. Ma questa distanza non basterebbe a darci una sintesi se non ci fosse il suo apparente contrario, vale a dire la capacità di collegare le pietre sparse di un tempo che va dai Trenta del Novecento fino alle porte del nuovo millennio.
Petrignani riesce in questa difficile quadratura del cerchio, perché compie uno straordinario lavoro di analisi, ricerca di documenti e lettere private, ricognizioni sui luoghi e dialoghi con testimoni diretti: un immenso mosaico cui queste piccole pietre, messe assieme, rivelano l’insieme. Non solo emerge, in tutto il suo spessore, la figura di una donna le cui contraddizioni sono lette nel loro inevitabile accadere e perciò accolte con la coscienza di un giudizio parziale e del tutto umano: quello che ci sembra aporia può significare sviluppo all’interno di un sistema culturale e antropico i cui limiti non sono definibili a priori. La partecipazione a premi letterari prima – e anche dopo – accusati di mondanità e asservimento alle cordate editoriali, fa parte di una interazione con una realtà amebica, non definibile in modo assertorio e definitivo.
Per questo è utile leggere le pagine in cui emerge anche la spiritualità austera (e assai complessa) di una scrittrice che intreccia radici ebraiche con il cristianesimo senza che questo diventi un manifesto assertorio, anzi. In modo simile a quello che accadde a Simone Weil, a Joseph Roth, a Herman Broch e a molti altri, quella scelta ha fatto parte di un passaggio continuo, mai segmentabile in tappe definitive, come andava insegnando allora Henri Bergson, che di scelte inquiete e dolorose in termini religiosi ne sapeva molto.
Fa bene Petrignani a mettere in risalto gli incontri della Ginzburg con persone di grande spessore culturale e spirituale, come Adriana Zucconi, organizzatrice infaticabile di cultura ma anche di iniziative per i meno fortunati, che andrebbe riscoperta e studiata per comprendere come etica politica, fede e cultura possano dare frutti oggi inimmaginabili.
Le oltre quattrocento pagine di questo libro sono, una volta tanto, ben impiegate, perché Adriano Olivetti, Leone Ginzburg, Pier Paolo Pasolini, Alberto Moravia, Elsa Morante, altri grandi studiosi che hanno tracciato le linee – pur sempre viziate dalla prospettiva di essere nel contempo osservatori e parte del sistema osservato – di mezzo secolo di storia contemporanea sembrano rivivere con le loro parole, i loro rapporti, le loro scelte ideologiche.
Ma il libro è soprattutto Natalia Ginzburg che appare in ogni sfaccettatura senza mai che un giudizio venga ad incrinare un quadro assolutamente ben costruito, che lascia parlare le cose. Emerge in questo modo la complessità di una figura che è stata madre di molti figli, alcuni dei quali hanno avuto vita difficile e breve e che nel contempo ha affrontato con onestà intellettuale la cultura e le problematiche del tempo, che imponevano una profonda revisione del ruolo della donna nella società. Anche se Le piccole virtù, Le voci della sera, Lessico familiare, La città e la casa, solo per citare alcuni suoi libri non esclusivamente di narrazione, le sue lettere recano traccia di un difficile rapporto con la realtà intorno, anche se alcune crisi sono state particolarmente aggressive fino a portarla dentro decisioni radicali, Natalia rimane una protagonista con una sua precisa e inconfondibile personalità.
La sua scelta di un relativo silenzio – era la sua scrittura a dover parlare e porre il sé all’esterno – ci dice molte cose oggi, e questo è un motivo di persistenza al di là degli ismi. Le sue scelte sono state spesso coraggiose: sicuramente a sinistra ed antifascista, ha preso però posizione contro le derive verbali e quelle tendenze, come il femminismo o l’educazione permissiva che avrebbero portato, secondo lei, soprattutto la seconda, all’annullamento del vero io e all’auto-disprezzo. Così come l’ostentazione di una educazione del tutto atea ai bambini trovava Natalia contraria perché, sono le sue parole riportate dalla Petrignani, “Un mondo in cui non c’è Dio, e in cui la morte è un punto in un cimitero dove si scende a dormire per sempre è esattamente il contrario di tutto quello che un bambino ama e vuole”.
La capacità narrativa della Ginzburg è saldamente colta in questa biografia che è anche un rilevante esempio di approccio alla scrittura autoriale. Le narrazioni di Natalia riescono a individuare le falle, le contraddizioni, le illusioni di una istituzione, quella familiare, che è stata oggetto di una revisione e poi di una vera e propria demolizione anche da parte di settori della letteratura. Ma l’obiettivo della Ginzburg non era quello demolitorio, sebbene di presentare sinceramente le situazioni che – allora come oggi – facevano la vita familiare, che è cosa assai diversa. Riuscire a narrare quella che a volte si profila minacciosamente come la mancanza di senso non vuol dire rendere il nulla padrone della realtà. Significa anzi riuscire a proporre la ricerca degli anticorpi.
Dalla lettura di La corsara si evince chiaramente la capacità di Petrignani di raggiungere le profondità di una vita e della sua lettura attraverso l’arte della scrittura. I gangli fondanti, quelli più difficili da individuare, sono colti qui con tranquilla – apparentemente – familiarità, e proposti alla lettura. Si ha l’impressione che questo libro servirà molto alla revisione e alla eliminazione di alcune etichette semplificative (come ateo, credente, decadente, realista, romantico), in favore di una più complessa – e difficile – capacità di cogliere le relazioni opera-società in modo meno semplicistico e deterministico. Più si ingrandisce il particolare – vale a dire più si entra dentro la vita della Ginzburg – e più si ha questa sensazione. La reale consistenza dei fatti, la loro interazione con le profondità psichiche, ci conferma la giustezza di questa sensazione.
La corsara è un libro che, se volessimo usare linguaggi datati, potremmo chiamare oggettivo, nel senso che ci offre una panoramica immensa di storie, di particolari, di incontri, di tavolini al caffè, di urla, di pianti, di delusioni, di contraddizioni, e nel contempo ci restituisce l’inspiegabilità della vita nel suo fluire e nel suo, talvolta, negarsi.
Sandra Petrignani, La corsara. Ritratto di Natalia Ginzburg, 2017, Neri Pozza, 450 pagine, 18 euro.
Sandra Petrignani è nata a Piacenza nel 1952 e vive tra Roma e la campagna umbra.
Le sue opere più recenti sono l’autofiction Dolorose considerazioni del cuore (Nottetempo, 2009), E in mezzo il fiume. A piedi nei due centri di Roma (Laterza, 2010), La scrittrice abita qui (Neri Pozza, 2011), Addio a Roma (Neri Pozza, 2013) e la biografia romanzata di Duras, Marguerite (2014). Da Beat è stato recentemente riproposto il suo secondo libro: Il catalogo dei giocattoli (1988).
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