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Un volo di folaga radente l’acqua e segnato su questa pagina è
traccia non mercantile che,
aprendo armoniosi graffi dentro il libro insorto,
le punte delle ali ritmicamente a sfiorare l’acqua,
veloce la linea retta del volo,
lacera la gola del profitto.
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Un deflagrare di stelle nel palmo della Santa eretica ed ebbra (è colei che nella nicchia della facciata della Cattedrale danza i millenni del tufo). Ha letto tutto del Nolano e non ascende al cielo per troppo d’amore alla Terra.
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Consenso alla parola
quand’è respiro
quand’è battito cardiaco:
dissenso dal cavèdio osceno
dove fanno mattatoio del respiro umano:
consenso a parola ribelle
e mescidata
eretica e bruniana:
dissenso dall’acquiescenza dei servi.
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Il libro insorge anche con atti di tenerezza: un sonetto di Shakespeare trascritto sul battente interno d’una veneziana nella casa che guarda il Canale della Giudecca.
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Anche il mancare del respiro
è parola:
manca esso per un’emozione
o per assenza (e morte).
Il libro insorto si ricorda
dei morti,
coloro che smarrirono il respiro.
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Ma i morti per violenza battono
nocche di granito sulla soglia
del libro,
pretendono esso agonizzi nella colpa
irredimibile di chi non
s’oppose alla violenza.
Non sarà perdonato il libro,
neanche fosse capace di elencare
uno a uno
i loro nomi.
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Ma non è l’elenco che manca:
è l’insurrezione,
pur sempre insufficiente,
del libro -
il suo ferire la mente
come vetro frantumato
il suo camminare a piedi scalzi
su lame di dolore.
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E non cerca perdono il libro:
sa che non deve cercarlo
(non ne ha diritto)
ma viene a testimoniare
la propria miserevole esistenza,
la sua debole respirazione
da codardo.
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La mente sotto un cappellaccio di feltro
la mente e avvolto in un tabarro
di lana grezza
in unico slancio
varcando il suolo stellato di Francia
e di Germania
e che la filosofia sia per sofferenza
e per instancato andare
a piedi traversando l’Inverno
segni sul muro
segni sul muro per uno svolo
d’ombra
e il δαίμων del viaggio che
gli sta accovacciato sulla spalla
è stigma del mestiere a fare
le parole pensiero.
Tappe dell’andare, stazioni dell’esistere.
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Venezia ultima tappa prima dell’Inquisizione e del rogo:
dall’acqua lagunare al richiamo dei verdurai di Campo de’ Fiori si colma la distanza col NO del filosofo arso vivo.
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Ridurre all’obbedienza. Controllare. Normalizzare. Roma conosce questa marea nera. Più e più volte.
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Se prendi in mano il libro insorto lo trovi sporcato di fuliggine, strappate talune pagine per avvolgervi un acquisto di fave o carciofi: sono segni dal Campo de’ Fiori, consenso al pensiero che si ribella, dissenso da chi arma la mano del boia.
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E dire l’osceno:
l’obbedire per viltà,
per connivenza,
per convenienza.
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Manipolava tra le dita un alfabeto di soli -
l’aveva imparato carezzando
con gli occhi ogni sasso
la cui infanzia
aveva lentezze di solstizi
e pieghe di quaderni.
Maravigliosamente si perdeva per giorni
complice il vento che,
figliato dal polmone della montagna,
vortica stelle danzanti.
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Che cos’è una casa? Un punto di silenzio perché la lingua lì non sa dire e un punto di scrittura che innestandosi sulla carta tenta, tuttavia, di dire. Casa è un letto, una sedia, uno sguardo ch’è soglia, un furore a posare grumi di respiro sulla superficie verticale della visione.
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Il Nolano
non cessa di chiamare
con la voce della notte
e mondi vorticanti -
noi veniamo
interpellati
e interrogati
da chi, il libro
innestato nell’osso del sasso,
ci ha preceduti.
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