FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 49
maggio/agosto 2018

Consenso & Dissenso

 

RICORDANDO CHERNOBYL

fotografie e testo di Paul Richard Cecchini
a cura di Ambra Laurenzi




Perché Chernobyl oggi?
Paul Richard Cecchini, nella presentazione del suo lavoro, ci riporta ad un ricordo della sua adolescenza nel periodo in cui non si poteva bere il latte, mangiare un frutto o giocare all’aperto, per paura della contaminazione da radiazioni nucleari che il vento trasportava dalla lontana Russia. È il 1986, il 26 aprile, quando all’interno del reattore n. 4 della centrale elettronucleare di Chernobyl, nel corso di un intervento di manutenzione, si innescano una serie di errori tecnici che provocano il surriscaldamento del nocciolo, fino a far esplodere il reattore con una potenza tale da distruggere l’edificio che lo contiene.

Nel trentennale da quell’incidente Paul Cecchini è voluto andare personalmente in Bielorussia per vedere il luogo da cui ha avuto origine quella invisibile nuvola di radiazioni. A Pripyat, vicino a Chernobyl, città di 50 mila abitanti costruita nel 1970 con il nome profetico di Atomgrad, il sogno sovietico della città del futuro si è infranto. Presente e futuro si sono vaporizzati in una nuvola di radiazioni. C’è da rimanere attoniti, come immagino sia successo all’autore. Qui il tempo sembra essersi fermato alle ore 01:26 di quel 26 aprile e nella loro sospensione del tempo, le immagini evocano un congelamento eterno, senza tuttavia contenere alcuna forma di voyerismo, per diventare un monito per tutti noi. Nessun monumento potrebbe essere più efficace della rappresentazione di quei luoghi in cui ogni attività si è interrotta con la fuga improvvisa di tutti, anche se sappiamo oggi che dalle radiazioni non si può fuggire. Sono un nemico subdolo che colpirà le future generazioni.

La ricerca e la produzione di energia nucleare è finanziata e amplificata, a scopo offensivo, durante la seconda guerra mondiale, e avrà il suo tragico epilogo a Hiroshima e Nagasaki nell’agosto del 1945. Nonostante il progetto Atom for Peace approvato dal presidente Eisenhower nel 1954, per l’applicazione civile dell’energia atomica, durante la seconda metà del Novecento l’opinione pubblica si è aspramente divisa tra consenso e dissenso.
Consenso per il sempre più grande bisogno energetico, dissenso per gli indubitabili rischi di una centrale atomica. Non dimentichiamo il disastro di Fukushima del 2011, a seguito del terremoto in quella zona del Giappone, le cui conseguenze, come sempre in questi incidenti, si ripercuotono in modo esponenziale per decenni sulle generazioni successive.

Siamo grati a Paul Richard Cecchini per aver voluto proporre questo suo lavoro su Chernobyl, sollecitandoci a mantenere viva l’attenzione, senza rischiare che la memoria si allontani facendo diventare questi terribili fatti solo una triste pagina della Storia.

Ambra Laurenzi




Chernobyl 1986-2016

A pochi giorni dal trentesimo anniversario della tragedia di Chernobyl, mi sono avventurato in questo luogo ricco di mistero per cogliere, direttamente in prima persona, tutto quello che la mia mente immaginava a distanza di molti anni da quel fatidico 26 Aprile 1986.
A Pripyat (negli anni Settanta era considerata una città modello per la sua alta qualità di vita) e dintorni il tempo sembra essersi fermato di colpo alle ore 01:23 di quel disastroso giorno di Aprile di trent’anni fa.
Visitando abitazioni civili, scuole, l’ospedale, il supermercato, ed i vari luoghi di svago e divertimento percepisco quella che deve essere stata una fuga immediata in cui, in quelle prime ore del disastro nucleare, per ogni famiglia era fondamentale allontanarsi il prima possibile.

Durante il mio cammino a Pripyat noto numerosi elementi della vita quotidiana, soprattutto nelle scuole dove trovo ancora disseminati giocattoli, libri, quaderni in attesa della nuova giornata scolastica che non ci sarebbe stata mai più.
Mentre visito il sito di Chernobyl riaffiorano alcuni momenti della mia adolescenza nei quali ricordo che sconsigliavano di bere il latte e di giocare nei giardini perché l’erba avrebbe potuto essere stata contaminata dalle radiazioni. Si evocava un nemico invisibile.

Queste mie personali considerazioni mi hanno spinto a creare un progetto fotografico, in memoria del più grande incidente nucleare della storia. Un pensiero che portavo dentro di me da quasi un trentennio e che, a pochi giorni dal trentennale di quella tragedia, ho deciso di realizzare.









paulrichardcecchini@gmail.com