Homme libre, toujours tu chériras la mer C. Baudelaire
PAESAGGIO
Macchie alte folgorate dal vento sbalzate nel chiarore del mare: sembra crollino i massi ma restano piccoli fiori selvaggi, aculei nati dalle pietre. Case che potrebbero volare e noi pure ci nutriamo di vento, di vento che vieta alle cose di stare ferme, al mare di fermarsi. Insieme alla notte cammina il mare va e viene da tutte le spiagge insonne, nel buio. Ma al mattino le case sono ancora lì nella luce si colorano i muri e noi solleviamo piano le palpebre per guardare a viso aperto il mare il nostro e il suo respiro – tranquilli.
PAZIENZA
(per Georgos Seferis)
Pazienza, per capire. Per scrivere un verso. Per costruire le cose più semplici e le magie. Come la luce del mare ti cambia: al mattino sei una persona alla sera un’altra. A volte un’ebbrezza a volte un disagio nelle ossa. Una linea di confine tra l’altro mondo e questo. Ma esiste? Pazienza di apprendere nel tremolare delle onde come dal loro fluire si scoprono le vertebre dei versi. Ancora pazienza e ossessione. Sai le lingue. Sai leggere i geroglifici. Ma l’immagine autentica del sapere è l’acqua del mare, la sua nota ondulata, lo schiumare tra scoglio e scoglio, il suo disegnare la terra e la terra docile che si fa disegnare da lui il grande, forte, sonoro equilibrio.
DESIDERIO
Desiderare solo aria alta, quella che si respira nei sogni e qui. Sprofondare appena, nelle narici l’odore delle isole greche mai viste, di tutto quanto non si è mai visto eppure appare nella follia dell’occhio. Abbagliante il sole sulle pietre, puri, trasparenti gli abissi come i nomi dei paesi bianchi ficcati sottopelle. E noi, a chiederci se il rosa di questa sera si ripeterà domani, con vento acuto, impazziti gli ulivi. La bellezza è priva di ripari, ardito scoglio da cui tuffarsi per l’aldilà. Aria trovata nell’acqua, mistero del respirare dove non si respira, piccola immortalità, là sotto, scia che dimentica la barca e i flutti, cosa è accaduto là sopra cosa accadrà al largo delle isole greche mai viste, adagiate negli atlanti infantili del desiderio.
NAUFRAGIO
3 ottobre 2013
Non è più quell’ottobre, ma resta la presenza del naufragio, i gommoni capovolti, i rottami, le urla. Voi siete andati a raggiungere tutti gli annegati del mondo. Il mare nasconde il tempo, mescola i secoli i mostri vivi e morti i tesori delle antiche navi naufragate come il satiro danzante dagli occhi d’alabastro che scintillavano anche là sotto nel più profondo dei sepolcri e ora continua a danzare nel museo. Voi che statue non siete nessuno potrà farvi tornare in superficie. Ma se potete, venite a salutarci in sogno A chi vi ha rubato la vita voi di notte rubate il sonno. Il mare è un grembo che culla ma non salva mai e col suo tremito di specchio rende tutte le vostre ombre un suono implacabile sotto il silenzio che mai sarà silenzio perché le onde battono, battono sempre, per cancellare o ricordare? Il loro movimento è lo stesso.
PORTO
Stavi a bordo di una scrivania agitata dai fogli bianchi e neri poi via, sei partita volevi tradurre l’universo in parole come da giovane il mare in versi e le ore le stagioni sempre sapevano sorprenderti: scossa affondata riemersa abbacinata gonfia d’acqua salata delirante di nuvole mentre i Feaci continuavano a recitare nel sinuoso teatro di Alcinoo per mutarsi subito dopo in pietra. Il mare ti insegnò a proseguire il viaggio malgrado gli dèi nemici i falsi consigli la velenosa pietà come uno scirocco marcio stravolge le esili scialuppe. Sai che tutto è iniziato e finito lì nell’acqua ferma del porto.
GITA AL FARO
L’idea è stata tua. Una passeggiata al sorgere del sole. Gita al faro. Non a quel Govery Island della Woolf, ma al faro di Portofino. Non portarti dietro nulla nessun libro, nessun sacco, pesa, fa male alla colonna vertebrale. Andremo leggeri. Finalmente l’alba negli occhi e in gola. L’alba che apre le narici l’alba ariosa dei miti dopo le notti delle battaglie e delle attese inutili, l’alba che riflette le sue dolci schegge in giro su tutto il mare, le colline e noi. Cammineremo verso l’incantesimo le sirene avranno già cantato lasciato il mare increspato di musica. Ci insegue un madrigale di Monteverdi. Allora siamo morti? Urti armoniosi battono un ritmo alieno sulla sabbia e i sassi. Si conserverà l’emozione della notte che non vuole più lacrime e ci estromette fuori, nella luce. Saremo corpi in viaggio da rinominare ad ogni sosta. Sarà bello cambiare nome essere altro. Neppure creature umane solo cose gioiose. E Itaca? un’isola di pietre dissolta da ogni passo che l’avvicina. Al faro un uomo solo e poi una donna triste e dopo un po’ una coppia con due zaini enormi, qualche lucertola in fuga. E dappertutto il mare: quei due lo guardavano muti baciandosi. E ancora dopo un po’ la coppia senza zaini più vecchi e stanchi e il mare, sempre lui, che sta lì ancora a guardarli. Adesso siamo vecchi perché sappiamo riconoscere il presente sappiamo di essere felici adesso. La prima volta che andammo non si era visto nulla: bellezza non percepita che sfiora appena il corpo come fiato di madre e se ne vola via mescolata all’aria. Noi non si sapeva che si stava andando. Solo il mare lo sapeva. Poi l’alba sempre si congeda inghiottita dal sole. Ma c’era un faro? Un sentiero? Noi?
DOV’È IL MARE?
Aveva corso per tutta quella strada interminabile come inseguita. Fuggiva? Correva correva, ma quando si trovò alla fine della strada lui non c’era. Non c’era proprio.
Chi le aveva detto che in fondo a quella strada l’avrebbe trovato si era preso gioco di lei, che ancora non conosceva bene la geografia. Forse nessuno le aveva detto nulla. Lei stessa, lei sola se lo era detto e con tanta convinzione che ci aveva creduto. Come si crede ai sogni perché soltanto loro sono reali. E ora era lì, sola, davanti al vuoto. Lui non c’era, non c’era mai stato. Si era inventata che ci fosse perché per lei lui era tutto: presenza costante e amichevole, bellezza assoluta e misteriosa, qualcosa di molto simile a una divinità protettrice e ineludibile: il mare.
- Scusi, dov’è il mare?
Assurda domanda a un passante che si era affacciato dopo di lei sulla ringhiera davanti al vuoto.
- Il mare? Ha detto il mare? Ma qui in questa città il mare non c’è.
- Allora parto, vado via. Non posso vivere senza di lui.
Ed era partita per sempre.
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