FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 36
ottobre/dicembre 2014

Mare

 

DOV'È IL MARE?

di Lucetta Frisa



Homme libre, toujours tu chériras la mer
C. Baudelaire

PAESAGGIO

Macchie alte
folgorate dal vento
sbalzate
nel chiarore del mare:
sembra crollino i massi
ma restano piccoli fiori selvaggi,
aculei nati dalle pietre.
Case
che potrebbero volare
e noi pure ci nutriamo di vento,
di vento che vieta alle cose
di stare ferme, al mare
di fermarsi.
Insieme alla notte cammina il mare
va e viene da tutte le spiagge
insonne, nel buio.
Ma al mattino le case sono ancora lì
nella luce si colorano i muri
e noi solleviamo piano le palpebre
per guardare a viso aperto
il mare

il nostro e il suo respiro –
tranquilli.


PAZIENZA

(per Georgos Seferis)

Pazienza, per capire.
Per scrivere un verso. Per costruire
le cose più semplici e le magie.
Come la luce del mare ti cambia:
al mattino sei una persona alla sera
un’altra.
A volte un’ebbrezza a volte
un disagio nelle ossa. Una linea di confine
tra l’altro mondo
e questo. Ma esiste?
Pazienza di apprendere
nel tremolare delle onde
come dal loro fluire
si scoprono le vertebre dei versi.
Ancora pazienza e ossessione.
Sai le lingue. Sai leggere i geroglifici.
Ma l’immagine autentica del sapere
è l’acqua del mare, la sua nota
ondulata, lo schiumare
tra scoglio e scoglio,
il suo disegnare la terra
e la terra docile che si fa disegnare da lui
il grande, forte, sonoro
equilibrio.


DESIDERIO

Desiderare solo aria alta, quella
che si respira nei sogni
e qui.
Sprofondare appena,
nelle narici l’odore delle isole greche
mai viste, di tutto quanto
non si è mai visto eppure appare
nella follia dell’occhio.
Abbagliante il sole sulle pietre,
puri, trasparenti gli abissi
come i nomi dei paesi bianchi
ficcati sottopelle.

E noi, a chiederci se il rosa di questa sera
si ripeterà domani,
con vento acuto, impazziti gli ulivi.
La bellezza è priva di ripari,
ardito scoglio da cui tuffarsi per l’aldilà.

Aria trovata nell’acqua,
mistero del respirare dove non si respira,
piccola immortalità, là sotto, scia
che dimentica la barca e i flutti,
cosa è accaduto là sopra cosa accadrà
al largo delle isole greche
mai viste, adagiate negli atlanti infantili
del desiderio.


NAUFRAGIO

3 ottobre 2013

Non è più quell’ottobre, ma resta
la presenza del naufragio, i gommoni capovolti, i rottami, le urla.
Voi siete andati a raggiungere
tutti gli annegati del mondo.
Il mare nasconde il tempo, mescola
i secoli i mostri vivi e morti i tesori
delle antiche navi naufragate come
il satiro danzante dagli occhi d’alabastro
che scintillavano anche là sotto
nel più profondo dei sepolcri
e ora continua a danzare nel museo.
Voi che statue non siete nessuno
potrà farvi tornare in superficie.
Ma se potete, venite a salutarci in sogno
A chi vi ha rubato la vita voi
di notte rubate il sonno.
Il mare è un grembo che culla
ma non salva mai
e col suo tremito di specchio rende
tutte le vostre ombre un suono
implacabile sotto il silenzio
che mai sarà silenzio perché le onde
battono, battono sempre,
per cancellare o ricordare?
Il loro movimento è lo stesso.


PORTO

Stavi a bordo di una scrivania
agitata dai fogli bianchi e neri
poi via, sei partita
volevi tradurre l’universo in parole
come da giovane il mare in versi
e le ore le stagioni
sempre sapevano sorprenderti:
scossa affondata riemersa abbacinata
gonfia d’acqua salata
delirante di nuvole
mentre i Feaci continuavano a recitare
nel sinuoso teatro di Alcinoo
per mutarsi subito dopo in pietra.
Il mare ti insegnò a proseguire il viaggio
malgrado gli dèi nemici i falsi consigli la velenosa
pietà come uno scirocco marcio stravolge
le esili scialuppe.
Sai che tutto è iniziato e finito lì
nell’acqua ferma del porto.


GITA AL FARO

L’idea è stata tua. Una passeggiata
al sorgere del sole. Gita al faro. Non a quel Govery Island
della Woolf, ma al faro di Portofino. Non portarti dietro nulla
nessun libro, nessun sacco, pesa, fa male
alla colonna vertebrale.

Andremo leggeri. Finalmente
l’alba negli occhi e in gola. L’alba
che apre le narici l’alba
ariosa dei miti dopo le notti delle battaglie
e delle attese inutili, l’alba
che riflette le sue dolci schegge in giro
su tutto il mare, le colline e noi.

Cammineremo verso l’incantesimo
le sirene
avranno già cantato
lasciato il mare
increspato di musica.
Ci insegue un madrigale
di Monteverdi.

Allora siamo morti?

Urti armoniosi
battono un ritmo alieno
sulla sabbia e i sassi.
Si conserverà
l’emozione della notte
che non vuole più lacrime e ci estromette
fuori, nella luce.

Saremo corpi in viaggio
da rinominare ad ogni sosta.
Sarà bello cambiare nome
essere
altro.
Neppure
creature umane
solo cose gioiose.

E Itaca?
un’isola di pietre
dissolta da ogni passo
che l’avvicina.

Al faro
un uomo solo e poi
una donna triste e dopo un po’
una coppia con due zaini enormi,
qualche lucertola in fuga.
E dappertutto il mare: quei due
lo guardavano muti
baciandosi.
E ancora dopo un po’
la coppia senza zaini
più vecchi e stanchi
e il mare, sempre lui,
che sta lì ancora
a guardarli.

Adesso siamo vecchi perché sappiamo
riconoscere il presente sappiamo
di essere felici
adesso.
La prima volta che andammo
non si era visto nulla:
bellezza
non percepita
che sfiora appena il corpo
come fiato di madre
e se ne vola via
mescolata all’aria.

Noi non si sapeva che si stava andando.
Solo il mare lo sapeva.

Poi l’alba sempre si congeda
inghiottita dal sole.

Ma c’era un faro?
Un sentiero?
Noi?


DOV’È IL MARE?

Aveva corso per tutta quella strada interminabile come inseguita. Fuggiva? Correva correva, ma quando si trovò alla fine della strada lui non c’era. Non c’era proprio.
Chi le aveva detto che in fondo a quella strada l’avrebbe trovato si era preso gioco di lei, che ancora non conosceva bene la geografia. Forse nessuno le aveva detto nulla. Lei stessa, lei sola se lo era detto e con tanta convinzione che ci aveva creduto. Come si crede ai sogni perché soltanto loro sono reali. E ora era lì, sola, davanti al vuoto. Lui non c’era, non c’era mai stato. Si era inventata che ci fosse perché per lei lui era tutto: presenza costante e amichevole, bellezza assoluta e misteriosa, qualcosa di molto simile a una divinità protettrice e ineludibile: il mare.

- Scusi, dov’è il mare?
Assurda domanda a un passante che si era affacciato dopo di lei sulla ringhiera davanti al vuoto.
- Il mare? Ha detto il mare? Ma qui in questa città il mare non c’è.
- Allora parto, vado via. Non posso vivere senza di lui.

Ed era partita per sempre.


La silloge proposta è inedita.



lux.frisa@libero.it