FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 36
ottobre/dicembre 2014

Mare

 

TOMÁS GONZÁLEZ, PRIMA C’ERA IL MARE

di Alessio Brandolini



Tra mare e foresta ecco una storia tropicale ispirata a una fatto realmente accaduto. Prima c’era il mare (Primero estaba el mar) segna l’esordio in narrativa dello scrittore colombiano Tomás González (1950), qui da noi del tutto inedito nonostante siano trascorsi decenni da quel suo primo e importante lavoro pubblicato nel 1983. Nei successivi trent’anni altre sue opere hanno visto la luce, scritte negli Stati Uniti dove González ha vissuto a lungo prima di far ritorno, nel 2002, nella terra nativa. Ora i suoi romanzi – di cui l’ultimo, Temporal, è stato pubblicato l’anno scorso – sono conosciuti e apprezzati in Colombia ma anche all’estero, sopratutto in Germania. Ma torniamo al libro d’esordio.

Il titolo proviene dall’epigrafe che riporta lo straordinario inizio del Poema della Creazione della Mitologia Kogui (o Kogi), del popolo amerindo del nord della Colombia decimato da guerre e malattie giunte dopo il 1525, ovvero dopo l’arrivo dei “conquistadores” in smaniosa ricerca dei giacimenti d’oro di cui si favoleggiava. Nel 2004 avevo letto quell’antico poema inciso in una pietra, nel Museo dell’Oro di Bogotá e adesso quei versi della Mitologia Kogui li ritrovo in un romanzo (colombiano) scoperto nel 2014 e che si apre con le stesse parole:

Prima c’era il mare. Tutto era buio. Non c’era sole, né luna, né gente, né animali, né piante. C’era soltanto la madre mare. Ed essa era acqua che stava da tutte le parti. Era fiume, laguna, ruscello e mare, così essa stava ovunque. (...) Era spirito di quello che sarebbe accaduto ed era pensiero e memoria.
Versi collocati all’inizio della storia, in esergo, ma ripetute anche in chiusura a sottolineare un percorso circolare, un ciclo di vita che si chiude.

I protagonisti del romanzo sono J. ed Elena, una coppia benestante che decide di “tornare” – siamo negli anni Settanta – alla natura, di trasferirsi in una piccola isola nella parte colombiana del mare caraibico così da realizzare il sogno dell’evasione da tutto e da tutti. Vogliono vivere più profondamente e in modo più autentico. A ridestarsi non saranno i sensi addormentati dalle abitudini cittadine ma il lato oscuro, la brutalità nascosta: la coppia scivola – giorno dopo giorno – in una vischiosa opacità e “arrivano giorni tristi e interminabili”. Elena rinuncia e torna alla città. J. resta ostinatamente sull’isola, nella proprietà, nella sua finca. Pur sentendosi sempre più solo e vulnerabile non accetta la sconfitta. Il progetto d’una vita sana e naturale si trasforma in un agire dannoso e insensato, come l’uccisione del cane che segna il punto del tracollo del protagonista.

Sia per la storia in sé che per l’uso di una prosa veloce e asciutta Prima c’era il mare mi ha ricordato il bel romanzo di Georges Simenon, Turista da banane (1938), dove il ricco francese Oscar Donadieu si trasferisce a Tahiti per immergersi nella natura e rinunciare agli agi della civiltà corrotta, ma il sogno si trasforma in incubo, come accade a J.

La narrativa colombiana ha trovato altre strade dopo l’enorme successo del “realismo magico”. Probabilmente la più battuta è quella della narrazione della complessa realtà sociale di un grande paese che ha vissuto – per decenni – traumatici conflitti politici, con tanto di lotta armata e “cartelli” divenuti potenti grazie alla produzione e vendita della droga. In Prima c’era il mare il conflitto è interno alla coppia, alla singola persona e la vita nell’eden (che avrebbe dovuto portare gioia e serenità) non aiuta, anzi accentua l’incapacità a relazionarsi con gli altri, a gioire (in concreto) della bellezza della natura.

Quel sogno è davvero impossibile? Gli esseri umani sono condannati all’infelicità? Il paradiso può essere l’inferno o, più esattamente, le due cose possono coesistere o darsi il cambio in base alle circostanze, il caso, un nonnulla... Si voleva “rinascere” e si sprofonda nell’ottusità, nell’incomprensione, nell’alcol. Però la speranza non crolla del tutto, ci si rassegna alla sconfitta ma con l’idea che altri riusciranno lì dove abbiamo fallito. Forse in qualcuno sopravvivrà la memoria di quel tentativo.
Con l’arrivo dei problemi il racconto si fa sempre più teso ma la prosa resta lucida, d’una chiarezza inquietante. Tomás González utilizza un linguaggio schietto ed essenziale ma preciso nella descrizioni del paesaggio e delle inquietudini del protagonista. Nel frattempo il mare osserva e impassibile accoglie la tragedia.


PALME DA COCCO DAVANTI AL MARE
Da Prima c'era il mare, capitolo 28



Una notte J. era stato sveglio a pensare ai problemi della sua proprietà. Fuori la cagna abbaiava senza sosta soffocandosi con il collare, furiosa, come se qualcuno transitasse da quelle parti. Ovviamente nessuno stava passando, l’animale poteva abbaiare in quel modo a un cocuyo,{1} a un pipistrello o alla luna. All’improvviso J. avvertì come se un liquido scuro gli si accumulasse nel cervello. Accecato si alzò dal letto e prese il fucile. Reso quasi incosciente dall’odio uscì in spiaggia e raggiunse il palo dov’era attaccato l’animale. Non ci pensò un attimo: gli scaraventò nella testa due pallottole che rimbombarono nel bosco. La cagna restò morta sul colpo e si trasformò in un gomitolo. Senza dire una parola J. prese una pala, camminò verso il recinto e iniziò a scavare. Ben presto lo raggiunse Gilberto con un’altra pala e lo aiutò in silenzio. Per un momento Elena li osservò lavorare, poi rientrò per andarsene a dormire.

Queste esplosioni di rabbia, benché taglienti, non erano cosa di tutti i giorni. Nel suo insieme la proprietà, la finca, sembrava una nave che non procedeva e in realtà non andava da nessuna parte. Per J. questa non era la cosa più importante, non aveva mai pensato di farsi ricco vivendo lì – sapeva che era impossibile – né ambiva a troppa razionalità in un clima così caldo e lussureggiante. Lui stava fuggendo da certa razionalità obbrobriosa, sterile come la benzina, l’arrivismo e l’asfalto. Proprio per questo odiava il recinto messo in piedi da Elena, caricatura di una caricatura, una deplorevole dimostrazione di quello che poteva arrivare a essere l’attività umana. Per questo si esasperava quando tagliavano male il bosco, poiché significava duplicare senza alcuna necessità una follia – l’abbattimento dell’albero – che lo sommergeva in un ridicolo mulinello d’insensatezza e morte. Quando si perdeva un animale non si arrabbiava per il denaro che poteva valere e solo in minima parte perché la proprietà, come affare, non avanzava. Semplicemente gli era capitato di sognare di avere i pascoli pieni di sano bestiame. Sogno naturale, in fin dei conti, quello di desiderare la crescita e la moltiplicazione delle cose.

Ad andare avanti, secondo le sue aspirazioni, erano soltanto i semenzai. Gilberto ci si affezionò e la fortuna portò estati benigne, così che di loro non ci si disinteressò mai, né gli mancò l’acqua. J. ci si recava di pomeriggio, quasi sempre da solo, e li guardava crescere, quei piccoli ventagli delle palme che si ampliavano e gli aranci con il verde che si ramificava, la loro sopravvivenza ormai era al sicuro visto che stavano a meno d’un mese dall’inverno. Ed effettivamente era così: sarebbero stati trapiantati più tardi – non da J. bensì da un altro essere umano – e le palme sarebbero cresciute alte e robuste e fioriti gli alberi d’arancio. Una peste chiamata porroca sarebbe arrivata più tardi distruggendo le palme della regione. Allora altre persone avrebbero impiantato nuovi semenzai e li avrebbero guardati svilupparsi in attesa del momento giusto per essere trapiantati. Le palme sarebbero cresciute un’altra volta snelle e sane, e dando il loro frutto: palme da cocco davanti al mare – in fin dei conti quasi le stesse – cullate dalla brezza salmastra.



{1} Insetto simile alla lucciola proprio dell’America tropicale. Ha due macchie giallognole sui lati del torace e di notte emette una luce azzurrata.


Tomás González, Primero estaba el mar (Prima c’era il mare), Colombia, 1983, 2011 edición revisada por el autor, Prisa Ediciones, pagg. 204.

Traduzione dallo spagnolo di Alessio Brandolini




Tomás González
nasce a Medellín, Colombia, nel 1950. Studia Filosofia all’Università Nazionale di Bogotá e lavora come barman presso la discoteca “El goce pagano” che pubblica il suo primo romanzo nel 1983. Lo stesso anno parte per gli Stati Uniti: vive tre anni a Miami e diciassette a New York, dove scrive la maggior parte della sua opera letteraria e si guadagna da vivere come traduttore. Nel 2002 torna a vivere in Colombia e attualmente vive a Cachipay, a due ore da Bogotá.
Ha pubblicato i romanzi: Primero estaba el mar (1983); Para antes del olvido (1987, Premio de Novela Plaza y Janés); La historia de Horacio (2000); Los caballitos del diablo (2003); Abraham entre banditos (2010); La luz dificil (2011); Temporal (2013).
Ha pubblicato anche due raccolte di racconti: El rey del Honka-Monka (1995) e El lejano amor de los extraños (2013), e il libro di poesia Manglares (1997/2006). I suoi romanzi sono stati tradotti in tedesco e Primero estaba el mar è stato pubblicato in Francia nel 2010.


alexbrando@libero.it