Gabbie per nuvole di Roberto Deidier (Empirìa, 2011) non è un semplice quaderno di traduzioni. La poesia che vi scorre ha i connotati dell’autore, segna l’acquisizione di uno status poetico, definisce una lingua. “Questo libro è la mia personale mappa di amicizie e spaesamenti”, scrive l’autore.
Il lavoro della traduzione si definisce, sempre a detta dell’autore, tra l’essere ospiti e esuli. Si tratta, insomma, sempre di un avvicinamento nell’evolversi della propria storia, anzi dentro la storia in una sorta di carta di navigazione. Mancano i testi originali a fronte e la disposizione degli autori presentati è tematica, non cronologica, come a dire che stabilisce un flusso interiore di consonanze, affinità, incontri, a volte duraturi, a volte fugaci, come nella vita.
“Sono i testi a scegliere noi, e non il contrario”. In fondo è lo stesso procedimento della scrittura poetica in proprio. Ecco allora che la lingua che definisce la traduzione è la stessa lingua di Deidier poeta. Lingua piana e colloquiale, ma densa.
Gli autori scelti (si va da Keats, Stevenson, Auden, Hardy, fino ad Apollinaire). La maggior parte è anglofona, a Auden in particolare è dedicato ampio spazio, ma quel che più conta è la selezione, la scelta, compresa quella dei titoli di sezione.
Si entra in un laboratorio, ma si legge il libro come accostandosi alle tessere di un puzzle. Da lontano ciò che si vede è la visione di insieme. Appare un disegno di poetica. Non che questo stravolga l’originale, no. Semplicemente disegna il confine tra inclusione ed esclusione, in base a un criterio soggettivo e linguistico.
Questo “secondo, importante modo d’esser poeti”, come dice in quarta di copertina Enrico Testa, è in fondo il risvolto di un arazzo, la tramatura nascosta, eppure equivalente dell’opera. Non si sceglie, ma si è scelti per incantamento, per un sottile quanto potentissimo richiamo. Tutto questo perché la storia è un dipanarsi di eventi concatenati che ci definiscono. “Siamo svolti ed educati dal tempo” e c’è una distanza da raggiungere, che è poi la scelta di una propria disarmonia da educare, da crescere nei giorni come un segno voluto”.
Roberto Deidier, Gabbie per nuvole, Empirìa, 2011, pagg. 103, euro 14,00.
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CINQUE POESIE DA Gabbie per nuvole
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Sono come chi si è seduto solo Tutto il giorno nella landa, La testa piegata, le braccia ciondoloni In una pioggia a dirotto – La testa piegata, le braccia senza nerbo Sulla brughiera piatta e grigia, Finché le nuvole si sono presto aperte Verso la fine del giorno; E una luce di porpora S’è alzata sull’ovest scarlatto, E gli uccelli hanno cantato sulla ginestra bagnata, E il cuore m’ha cantato in petto.
(Stevenson)
FESTA NOTTURNA
Questa festa lega gli stagni Al folgorante carreggio degli astri Con le sue cornucopie dove cadono I nostri pensieri brillanti. In qualche parte fra terra e cielo Vuota questi residui d’anime Che alcuni nella notte in fiamme Prendono per cigni in volo E noi compiaciuti astanti Alla trasfusione dei nostri midolli Vediamo sciogliersi anche le stelle Dei nostri sogni esilaranti.
(Artaud)
IN TEMPO DI GUERRA
XIII.
Fu inviato lontano dalla cultura: Abbandonato dal generale e dai pidocchi, Ghiacciò sotto un’imbottita e scomparve. Non ci faranno caso quando Questa campagna finirà nei libri: Nulla d’importante svanì in quel teschio: Vecchie le battute, ottuso come la guerra Persi per sempre nome e aspetto. Per quanto incolto, agli ordini ufficiali Aggiunse una virgola di senso Quando divenne terra di Cina: Che restino intatte le figlie, non più Svergognate davanti ai cani, e siano gli uomini Dove sono acque, montagne, case.
(Auden)
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Templari in fiamme io brucio tra voi Profetizziamo insieme o gran maestro io sono Il fuoco desiderabile che per voi si consacra E la girandola ruota o bella, bella notte Legami sciolti da una libera fiamma Ardore Che il mio soffio spegnerà O Morti in quarantena Miro della mia morte la gloria e la sventura Come vedendo l’uccello della quintana Incertezza finto uccello dipinto cadendo Nel villaggio sole e amore danzavano E i tuoi figli galanti bene o male vestiti Innalzarono il rogo nido del mio coraggio
(Apollinaire)
LA CASA È COSÌ TRISTE
La casa è così triste. Resta come fu lasciata, Adattata ai bisogni di chi per ultimo partì, Come volesse richiamarlo. Invece, senza Qualcuno a cui piacere, appassisce E non ha cuore di scordarsi il furto, Di tornare come al suo principio, Tiro gioioso alla vita che vorremmo, Caduto fuori centro. Guarda com’era: Osserva le foto e le posate; La musica nel panchetto del piano. Quel vaso.
(Larkin)
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Roberto Deidier (Roma, 1965) ha pubblicato Il passo del giorno (1995, Premio Mondello opera prima), Libro naturale (1999), poi confluiti in Una stagione continua (peQuod, 2002). Sempre nel 2002 è apparso Il primo orizzonte (San Marco dei Giustiniani). Nel 2011 ha congedato Gabbie per nuvole (Empirìa), un insolito quaderno di traduzioni e imitazioni.
È presente in molte riviste italiane e straniere («Poesia», «Paragone», «Nuovi argomenti», «Nouvelle revue française») e nell’Almanacco dello Specchio 2007. È redattore della rivista «Poeti e poesia», su cui tiene la rubrica «Periscopio». È inoltre autore di numerosi studi sulla modernità letteraria. Tra i suoi ultimi lavori si ricordano: Le parole nascoste. Le carte ritrovate di Sandro Penna (Sellerio, 2008), Da un luogo anteriore. Poeti italiani del Novecento e oltre (peQuod, 2008), Persefone (Marsilio 2010), Il lampo e la notte. Per una poetica del moderno (Sellerio 2012). Insegna Letterature comparate nell’università di Palermo.
atoni@fastwebnet.it
Vedi anche, su questo numero, Attese silloge poetica di Roberto Deidier
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