FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 27
luglio/settembre 2012

Attese & Risvegli

 

ALFABETO LIRICO SLOVENO

a cura di Jolka Milič



Jolka Milič si sta divertendo a mettere insieme un alfabeto dei poeti sloveni, più o meno contemporanei, a cui magari, in futuro, aggiungerne uno parallelo di poeti italiani tradotti in sloveno. La scelta è ancora parziale, ma siamo in grado di offrirvene un corposo assaggio; non preoccupatevi, perciò, se manca qualche lettera dell'alfabeto: in futuro ci saranno tutte.


A Aleš Debeljak
Alojz Ihan
Andrej Brvar
B Boris A. Novak
C Ciril Bergles D Dušan Jovanović
E Ervin Fritz F Franjo Frančič
I Ifigenija Simonović
Ivan Dobnik
J Josip Osti
Jure Jakob
K Katja Perat M Marko Pavček
Mila Kačič
Milan Petek Levokov
Miroslav Košuta
N Niko Grafenauer S Sonja Votolen
T Taja Kramberger
Tomislav Vrečar
Tone Pavček
V Vida Mokrin Pauer
Vinko Möderndorfer
Z Zoran Pevec



A come Aleš Debeljak (1961)   


COLOMBO

Sono un docile timone nelle tue mani,
lo stoppino di un cero che piuttosto di rado,
se mai, sa accendersi senza un tuo cenno.
Mi accosto a te come si accostavano già tanti,
con il batticuore e le vene palpitanti, pronto,
anche se il futuro mi pare incerto, a tuffarmi
negli abissi dell'oceano e a mordere dolcemente
i coralli sul suo fondale renoso: dimmi una sola
parola e la guizzante sonda scenderà fino in
fondo dove l'eccitazione porta alla salvezza.
Resisto a stento, come Mosè davanti alla
superficie agitata dell'acqua, che attende
impaziente la spartizione e ricopre tutto ciò
che è stato con la fatidica dolcezza dell'oblio,
che mi invita con il profumo, il colore e la forma,
che con le ultime forze e pieno sino all'orlo, io laceri
le tue vesti con i denti e come una caravella
che senza la bussola e l'equipaggio trova da sola
la rotta verso il patrio lido, io risponda al tuo
imperioso richiamo e trasformi il tuo centro nella
laguna della mia saliva.

Dalla raccolta Nedokončane hvalnice (Inni incompiuti), Mladinska knjiga, Ljubljana 2000


... come Alojz Ihan (1961)   


LA MELA

Non appena arrivai al posto di guardia, la bambina cominciò
a comportarsi in modo strano. Stava vicino al fossato che
circondava la caserma, aveva sei o sette anni, capelli neri,
indossava ampi calzoni rossi, insomma una piccola e autentica
albanese; quando incominciai a camminare lungo il fossato,
anche lei si mise a marciare nella stessa direzione; ben presto
mi accorsi che imitava ogni mio passo e perfino il portamento;
era praticamente la mia ombra, i suoi giochetti finirono per
innervosirmi, nei pressi potrebbero esserci gli irredentisti in
attesa che la bimba svii la mia attenzione. Perciò le feci cenno
di andarsene subito. Invece si fermò, poi scoppiando a ridere
affondò la mano nella borsa e tirò fuori una mela. Alzò il
braccio e mi buttò la mela. Scansai il colpo saltando dietro
a un riparo, mi aggrappai al mitra e aspettai... Ma non ci fu
nessuna esplosione. Abbassai la canna. "Non ucciderò la bambina",
mi dissi, "lei non sa niente." Dopo mi misi a osservare la mela,
era grande, rossa, sembrava vera. Agitando le mani minacciai
la piccola, che, presa dallo spavento, se la diede a gambe. Non
sapevo cosa fare della mela. Poteva essere iniettata di veleno,
basterebbe un morso e sarei morto o almeno mi addormenterei,
nel frattempo gli irredentisti scavalcherebbero il fossato e mi
farebbero fuori. Non sapevo se il veleno agisce anche solo a
toccarlo, perciò, per precauzione, non raccolsi la mela, e
nemmeno la feci rotolare con un calcio nel fossato, mi limitai
a stare lì impalato e indeciso sul da farsi. Mi pareva che queste
cose fossero troppo grandi e troppo complicate per me e che
avrei dovuto avvertire il comandante; se avessi fatto scattare
l'allarme, tutte le mie ansie sarebbero finite, il fischio acuto della
sirena avrebbe richiamato tutti quanti con le armi pronte e in quattro
e quattr'otto ci sarebbe stata una grande ressa nella trincea. Non
sapevo proprio decidermi e provai quasi un senso di malessere
dal nervosismo. Poi, per fortuna, ci fu il cambio di guardia.


I BIMBI DORMONO

Fate piano, perché i bimbi non si sveglino,
ancora più piano, per non dissipare i loro sogni;
non sbattete le porte, non strepitate con le baio-
nette, portate i cannoni nelle discariche: niente
bombe, nessuna mossa o mutamento storico,
niente cricchiare di mobili, fate silenzio,
i bimbi dormono!

Dalla raccolta Pesmi (Poesie), Emonica, Ljubljana 1989


... e come Andrej Brvar (1945)   


FAVOLA

C'era una volta una nonna
che al suo nipotino non ha raccontato mai nessuna favola,
che non gli ha mai accarezzato i capelli o baciato la fronte,
che non gli ha comprato mai le caramelle o il gelato
(perché le caramelle guastano i denti e il gelato nuoce alla gola),
che di mattina non lo lasciava mai dormire dopo le sei
(perché alle sei e mezzo doveva già mettersi in ginocchio
davanti a san Luigi in quella lunga sottana rossa,
imbrattata di cera),
che gli diceva sempre "fa' puc!" quando aveva mal di pancia,
e "massaggiati le orecchie!" quando gli doleva un dente,
che gli rifilava sempre per cena il resto dei crauti o la minestra
d'orzo che non aveva mangiato a pranzo,
che non gli dava mai i soldi per il cinema o per quei soldatini
di piombo in vendita nella tabaccheria in piazza del Castello,
che senza tregua gli faceva togliere le erbacce dalle aiuole
e dai viottoli nel giardino dietro la casa,
che verso la fine dell'anno scolastico
gli nascondeva tutti gli album dei francobolli, tutti i distintivi,
tutte le cartoline illustrate e tutte le etichette dei vini...

C'era una volta una nonna
che ha lasciato traboccare un intero bricco di caffè nero di cicoria
solo perché il nipotino in un pomeriggio d'inverno si era
addormentato con la testa nel suo grembo.


FOTOGRAFIA

Nel libro cubism di fry a pagina 142
c'è una foto a mezzo busto di un uomo attorno ai
60 anni Ha gli occhi le orecchie il naso e la bocca
ma tutto questo in una maniera unica e irripetibile
Guarda di sbieco oltre il margine sinistro e dall'alto
gli cadono sulla testa le ombre Probabilmente è sotto
qualche albero e probabilmente è estate perché ha
il torace nudo e peloso Sotto la fotografia
nell'angolo sinistro sta scritto PICASSO

Dalla raccolta Slikanica (Libro illustrato), Založba Obzorja, Maribor 1969


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B come Boris A. Novak (1953)   


CENCIOLOGIA

La nostra nonna ha combattuto tutta la vita
una furiosa e sistematica lotta contro la polvere,
il fango e la sporcizia d'ogni genere.
A questo scopo ha elaborato una precisa strategia,
denominata cenciologia.
In ogni momento aveva infatti a disposizione
nientemeno che diciassette strofinacci,
e li mandava a scontrarsi con il sudiciume come
un generale le divisioni corazzate sul campo di battaglia.
Dio lo guardi se qualcuno dei non addetti
se ne servisse abusivamente per fini sbagliati!
Chi commetteva errori così madornali,
era senza indugio punito severamente.
Non si fidava del tutto neanche della sua domestica
personale, perciò la controllava con occhio vigile,
e perfino preferiva usare l'armata dei cenci
con le proprie mani e piedi.
Elenchiamo dunque questi benedetti stracci e tessuti:
seguendo fedelmente la nomenclatura scientifica della cenciologia della nonna:

  1. Lo straccio "grezzo" per le scale davanti alla porta d'ingresso;
  2. lo straccio "fine" per il pavimento di marmo "nell'entrée";
  3. lo straccio "morbido" per lustrare il vecchio parquet nelle stanze;
  4. lo straccio "schmutzig" - vale a dire sporco, ricavato dai resti di vestiti vecchi per la pulitura della lastra di rame sotto il caminetto;
  5. lo straccio "grande" assorbente per il pavimento di pietra sulla terrazza;
  6. lo straccio "piccolo" assorbente per il pavimento di pietra in cucina e nel bagno;
  7. il "vecchio" e sempre pulito cencio per le pentole e le altre stoviglie di metallo;
  8. il "nuovo" e sempre pulito cencio per il servizio di porcellana;
  9. il cencio "sensibile" per i bicchieri del vino;
  10. lo straccio "veloce" per i coltelli;
  11. lo straccio "contorto" per le forchette;
  12. lo straccio "pedante" per i cucchiai;
  13. lo straccio "lucente" per le posate d'argento;
  14. lo straccio "bello" per gli specchi;
  15. "quello stirato", un vecchio panno quasi trasparente per stirare;
  16. lo straccio "maschile" per stivali militari e
  17. lo straccio "chic" per le sue singolari scarpette femminili con il tacco alto.
Le spiegazioni della nonna delle importantissime distinzioni cenciologiche erano di una patetica pignoleria e ponderate a fondo:
- i coltelli sono lisci e di solito non ce li ficchiamo in bocca, perciò basta trattarli semplicemente con lo straccio "veloce";
- i piccoli avanzi del cibo s'incastrano volentieri tra i denti delle forchette quindi bisogna rimuoverli accuratamente con lo straccio "contorto";
- i cucchiai che lecchiamo con tanto piacere, invece attirano irresistibilmente un numero impressionante di batteri, pertanto richiedono seri e radicali provvedimenti igienici che riesce a garantire solo lo straccio "pedante".

Ma tutta questa altamente specializzata e ampiamente ramificata cenciologia,
tutte queste diciassette fanatiche divisioni dell'Armata antipolvere
che giorno e notte inviava in lotta accanita
contro la sporcizia mondiale
e regolarmente manteneva e cambiava,
tutto questo ordine borghese
che rappresentava il senso e il motivo della sua vita,
non poteva aiutare,
non poteva impedire
che alla nostra nonna,
che alla nostra nonna la vita,
che alla nostra nonna la vita non si sfacesse,
                                               non crollasse,
                                                    riducendosi irrimediabilmente

in polvere e cenere.

Dalla raccolta MOM: Mala Osebna Mitologija (PMP: Piccola Mitologia Personale), Cankarjeva založba, Ljubljana 2007


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C come Ciril Bergles (1934)   


Gli amori impossibili possono durare

Gli amori impossibili possono durare se il tempo
è pietoso nei loro confronti e li tocca con precauzione.
Se rinunciano al tradimento e alla maldicenza.
Ho salvaguardato gelosamente ogni mio amore
impossibile da altri amori impossibili, dai loro
letti oscuri e indecorosi, in perpetuo (ab)uso...
Ho imparato lentamente questa capacità. Non
volevo perdere neanche un petalo della corolla.
Perché gli amori impossibili già da lontano
e a ogni istante avvertono un bel corpo,
immensamente li eccitano le notti, colme
di insaziabile voluttà, stimolate dai profumi
dei corpi in calore e dal caffè. Gli amori
impossibili amano avvicinarsi. Anche se
fingono di non aver visto altri amori
impossibili, di non essere gelosi, di essere
perfetti, innocenti, in realtà invece non
rinunciano a nessuna occhiata seducente,
e con molta facilità può carpirli
qualunque bell'angelo o vampiro.

Dalla raccolta Med angeli in vampirji (Tra angeli e vampiri), Založba Škuc / Lambda, Ljubljana 2012


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D come Dušan Jovanović (1939)   


Lei legge ogni giorno i giornali e guarda la tivù
Lei non va mai a dormire prima delle tre di mattina
Lei carica tre sveglie per le otto, ma si alza alle
     undici
Lei beve ogni mattina il caffè dalla stessa tazzina
Lei abbassa sempre il coperchio del WC
Lei asciuga sempre le stoviglie scolate
Lei lava ogni giorno la terrazza insudiciata dai gatti
Lei fa la doccia ogni mattina
Lei digiuna ogni venerdì
Lei va ogni settimana almeno due volte al cimitero
Lei accende di continuo ceri a sant'Antonio
Lei prepara ogni autunno l'aceto di mele
Lei per Pasqua cuoce la pappa di miglio
Lei per il 1° novembre fa lo szegediner gulasch (*)
Lei per il 1° maggio espone la bandiera
Lei non mangia mai pollame
Lei getta un ramoscello d'ulivo davanti alla soglia
     di casa ad ogni imminente tempesta
Lei va regolarmente alle feste partigiane
Lei esagera sempre
Lei ritarda sempre
Ma io mi sono abituato a lei
E non la scambierei per nessun'altra.

(*) Piatto ungherese con crauti, carne di maiale e paprica, gradito anche in Slovenia.

Dalla raccolta Nisem (Non ho - Non sono), Beletrina, Ljubljana 2011


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E come Ervin Fritz (1940)   


ARCHEOLOGIA

Nell'ospizio del mio paese natio
c'è un giacimento archeologico.
In quelle squallide corsie siedono vecchiette solitarie,
gli ultimi artefatti del mio mondo scomparso.

Il più prezioso reperto, la centenaria zia Angela,
sorella della mia ormai da tempo defunta mamma,
mi parla ancora con la viva voce della mia infanzia
da un mondo in cui mangiavamo ogni giorno la polenta,
seguivamo le partite di calcio
alla radio
e portavamo le nostre ragazze al bagno
sulla stanga della bicicletta.

Dalla mia morta giovinezza spiccano queste vecchiette
come ciminiere di una città
che il terremoto ha raso al suolo.

Solo dietro le loro ciglia scorrono
ancora le rinfrescanti piogge di remote estati.

È mai possibile che uno di questi fumaioli
dagli occhi spenti che fissano rassegnati la propria sorte
sia stata quell'avvincente fanciulla di diciassette anni
che andava a messa con le calze di seta,
ma con me, giovane ventenne, svoltava in un vigneto;

un diavoletto che arricciava le labbra reagendo con violenza
quando le sollevavo la sottana,
ma dopo esclamava: "Pensavo già
che non ne avresti avuto il coraggio."

O, tempo beato, quando le ragazze andavano a messa
in calze di seta
e le calze avevano la riga dietro
che guidava la mano verso l'alto,
direttamente in paradiso,
o, ricomposizione di antichi cocci,
o, archeologia.

Dalla raccolta di poesia Žitja (Oleografie), Založba Modrijan, Ljubljana 2012


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F come Franjo Frančič (1958)   


NELL'ALDILÀ
(alla mamma)

La tua fede era salda, i tuoi occhi un mare,
le tue mani congiunte, il tuo sorriso amaro,
compiuto il tuo cammino. La pace interiore
si è accampata in te, hai perdonato a tutti
aspettando a tua volta il perdono. Parole
stentate. Hai partorito nove figli dando lo-
ro quanto hai potuto dare, nessuno ti ha re-
stituito niente. Si sposavano e nessuno ti in-
vitava alle sue nozze, festeggiavano i comple-
anni dei tuoi nipoti, ma tu non sedevi a quei
banchetti. Raccoglievi solo briciole come a-
vevi fatto per tutta la vita. Ti vedo in una
tempesta di neve – la vita è trascorsa, d'a-
more neanche l'ombra.
La mano trema, la terra tocca la carne, qual-
cosa c'è sopra di noi, dici semplicemente.
Il fuoco nel tuo cuore si va spegnendo, non
desideri più nulla, tu giaci là tra il bianco
ed esclami: sono pronta.
Non è un addio, noi due c'incontriamo di
nuovo in grembo alla terra, forse anche
nell'aldilà.

Dalla rivista Tretji dan (Il terzo giorno), Ljubljana, novembre 1987


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I come Ifigenija Simonović (1953)   


FRASE

cercare un nome per l'ignoto
sedere dietro la tavola
   inciampando ad ogni parola
   quando sono d'impiccio tutti i pensieri
convincersi sulla distruzione
constatare il motivo del creato
fissare il vuoto
   in cerca della parola
   del nome dell'ignoto
aspettare qualcosa di speciale
illudersi con la speranza
   che qualcosa deve pur succedere
pensare a un'infinità di cose
   che non sono neanche molto chiare
cercare il loro significato
   che non si trova nelle enciclopedie
scrollarselo dalle spalle
   quando un peso cade loro addosso
soppesare la nonpadronanza di se stessi
frugare nel passato
   se c'è qualcosa in esso
attizzare le braci
   perché s'infiammino
   chinarsi sull'abisso
   e cercarvi l'ignoto
   che è senza senso
rimpiangere il tempo perso
   che non ritorna
   nella morte
accogliere in sè il silenzio
   che è sospetto per troppa pienezza
   quando raccolgo sassi
   che interrompono solo l'odore di erba fradicia
   e uno strato di polvere in fondo al fiume
cercare di indovinare in quale città è diretto il treno
   che mi trascina dietro di sé
non definire niente.

Dalla raccolta Dračje in korenine (Sterpi e radici), Mladinska knjiga, Ljubljana 1995


... e come Ivan Dobnik (1960)   


TI VOGLIO

Regalami il tuo muschio. I tuoi denti.
Le tue ossa. Il tuo fiato. Il tuo sole. La tua aria.
I tuoi pensieri. Le tue dita. Le tue ombre.
Il tuo sangue. Ti voglio. Voglio il tuo mare.
Voglio i tuoi alberi. Voglio i tuoi colori. Voglio le tue parole.
Voglio le tue spiagge. Voglio le tue visioni. Voglio la tua luce.
Voglio la tua passione. Voglio i tuoi silenzi. Voglio il tuo abisso.
Voglio tutto questo. Ti voglio ancora di più. Voglio il tuo fuoco.
L'immobilità dell'aria. Il ghiaccio cocente. Un fiore di pesco.
La quiete della terra. Il fremito dei cavalli. Il profumo della tua donna.

Le lontananze che non percorri, ma le sogni
di continuo. I pesci di corallo che ti accarezzano.
Le cascate della notte che ti chiudono nella lingua della solitudine.
Ti voglio trepidante. Ti voglio calorosa. Ti voglio nuda.
Tra i bambù e i pioppi, nel paesaggio dei merli neri.

Tocca i miei occhi. Le mie strade e
i secondi che rappresentano l'eternità della natura.
Queste sono le foglie. Questi sono i bambini. Questi sono i tuoi
mondi sottomarini. Questo è il sangue dell'alfabeto. Questa è una bocca
affamata del sale sulle tue spalle. Prendila finché arde ancora.
Bevila a lungo. Perché il tempo non è importante,
nemmeno gli anni, né i luoghi né i modi
come lo farai. Il vento sta per partire,
cerca e trova in un paesaggio squallido
come me che resto e scrivo,
così che puoi venire a trovarmi.
Conosce le solitudini. Non ignora i colori. Sente il freddo.
Ascolta le onde. Straccia il giornale del mattino.
Soffia via le nuvole e l'erba. Gira i semi
dei carpini. Rimane e parte. Canta e aspetta.

Regalami i tuoi passi. Regalami il tuo respiro.
Regalami le tue notti. Le buie taschine della gioia.
Il vortice di labbra irraggiungibili. I quaderni nei quali
non scrivi mai il mio nome. Quel sospiro.
Quella speranza. Quel crepuscolo dove ti perdi e nessuno
ti trova, né nei libri né sotto le coperte, mai.

Dalla raccolta Zapreš svoje oči (Chiudi i tuoi occhi), Družba Piano, Ljubljana 2003


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J come Josip Osti (1945)   


OGNI POMERIGGIO RESTAVO VOLONTARIAMEMTE AGLI ARRESTI
DOMICILIARI O LEGGEVO LE PRIME E LE ULTIME FRASI DI TUTTI
I LIBRI NELLA VOSTRA BIBLIOTECA FAMILIARE

tu andavi in ufficio
i tuoi due figli a scuola

quando restavo solo
insegnavo al vostro pappagallo a parlare
lui invece insegnava a me a tacere

Dalla raccolta Vse ljubezni so nenavadne (Tutti gli amori sono eccezionali), Litera, Maribor 2006


... e come Jure Jakob (1977)   


PIOGGIA

Pioggia. Per te fa lo stesso, pioggia, tu cadi
semplicemente e questo non ti trascina via da te.
Pioggia, rassegnata pioggia. Tutta la vita
sei bagnata, ma non muterai d'abito mai.
Affondi in te stessa e non hai bisogno di trattenere
il respiro, pioggia. La tua sconfitta è unilaterale,
con lievi sfumature che non cambiano niente.
Ti conosco, pioggia, soprattutto a novembre,
ti avventi esausta nei confini del freddo, ti frusti
con dei grossi zampilli, ma a nulla serve, non è ancora
il tempo per avvolgerti nei soffici e confortevoli manti
di neve. Il cielo si gonfia della tua
ineluttabile tenacia. La terra si apre e
annega nella tua impossibile persistenza.
Pioggia, tu sei troppo fluente per poterti fermare
dovunque e adottare una diversa soluzione.
Non riesci a cessare, pioggia. Stai soffocando
tra le tue acque, ma ormai ci sei avvezza, tutta
grigia ti lavi, ti sciacqui le mani e rimani
innocente. Pioggia, tu non sei affatto colpevole.
Perciò puoi cadere su tutta l'immondizia
di questo mondo e rimanere pulita, continua,
legata alle permanenti scorte di trasparenza.
Pioggia, non cessare. Crivellami con raffiche
di liquido, sii sempre così silenziosa, così
infallibile quando mi sfiori con le gelide labbra,
quando piovi nella mia bocca, con l'umidità
che cicatrizza ogni lingua screpolata, pioggia.
Non lesini, non concedi, non ti arrendi, t'infiltri
in ogni fessura, elimini i più ostinati progetti,
però perdoni, pioggia. Non vendichi nessuno,
non devi nulla a nessuno.
Per te fa lo stesso, cadi semplicemente
e ogni caduta ti porta più vicino a te.

Dalla raccolta Tri postaje (Tre stazioni), Ljubljana 2003


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K come Katja Perat (1988)   


Che cos'è la dialettica

Ogni volta, quando qualcuno mi dice
Fica,
Mi vien voglia di sdraiarmi sul divano in un angolo e leggere
     sotto la coperta la Fenomenologia dello spirito.
Ogni volta quando qualcuno dice
Fenomenologia dello spirito,
Mi vien voglia di prenderlo per mano e di andare a
     sbaciucchiarmi con lui sulla scala di sicurezza.


I minatori

Beati i minatori.
A loro non occorre scrivere poesie.

Dalla raccolta Najboljši so padli (I migliori sono caduti), Beletrina, Ljubljana 2011


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M come Marko Pavček (1958-1979, morto suicida)   


OJ NERETVO (*)

sulla neretva galleggia un giovane morto
non è un partigiano ucciso dai tedeschi
non è un tedesco ucciso dai partigiani
non è un ustascia né un cetnik né un italiano
non è un tifoso neanche un ferito e nemmeno un fascista
non è un cascatore del film neretva
non è neanche uno di quelli che gareggiano ad avvicinarsi
       più che mai alla riva
non è un soldato dell'esercito jugoslavo che scavando
       la trincea è scivolato nel fiume
non è quel tizio che ha bevuto troppo ed è uscito di strada
non è un freak alla ricerca clandestina di ostriche perlifere
non è un operaio sgozzato in una rissa e scaraventato oltre
       il ponte
non è quel tale che voleva attraversare il fiume per scommessa
       ignorando di non saper nuotare

è un giovane ragazzo
solo un giovane ragazzo

ieri si è buttato giù dal ponte

(*) È il titolo in serbocroato di una nota canzone jugoslava e vuol dire O, Neretva


PING-PONG

Giocavamo
a ping-pong,
si è messo
a piovere
e ci siamo rifugiati
sotto il tavolo;
pioveva l'intero pomeriggio
e tutto il tempo
siamo rimasti
là sotto.

"Mi piace tanto il tennis da sottotavolo",
hai detto.


*

ti scriverei delle belle poesie
esclusivamente poesie d'amore
te le scriverei al duale
le scriverei solo per te
non le darei in lettura a nessuno
le riporrei nel tuo cuore
e lì comincerebbero a vivere
lì comincerebbero a sussurrare
a mormorare a danzare
a concedersi a cantare
a trepidare a piangere
a ondeggiare ad amarsi
e lì morirebbero tutte

amo la neve che fiocca lentamente

Dalla raccolta postuma Z vsako pesmijo me je manj (Ogni poesia mi diminuisce), DZS , Ljubljana 1981


... come Mila Kačič (1912-2000)   


LA NASCITA

Mi scaricò
sul pavimento mia madre
nell'ora delle sue doglie.

Il mio primo pianto
non fu un alleluia
ma il grido di un intruso
espulso dal rifugio dell'utero
nell'insidioso freddo.

Mi salutarono
la Vergogna
la Paura
l'Ansia.

Con sguardi biechi
m'inchiodarono al suolo.

Cominciai dal fondo.

O Dio
con quanta pena mi sono sollevata
con quanta fatica mi sono raddrizzata.


IL FARDELLO

La mia infanzia
si è assopita senza ninnenanne.

Chi dimenticò di cantarle
ora è una vecchia donna.

Con la sua solitudine
ricama un nero pizzo di rimorso
e tutto ciò che mi ha negato
le fila man mano un interminabile filo.

Tra noi due
c'è il pianto sconsolato di una bimba
e lo smarrimento delle prime esperienze,
ci sono i gelosi segreti dell'adolescenza
e la struggente maturità,
pregna
di tacite rampogne.

So che la opprimono come un sasso
le ninnenanne non cantate.

Ma io non ho il diritto
né la forza
di levarle
questo fardello.

Dalla raccolta Okus po grenkem (Sapore d'amaro), Prešernova družba, Ljubljana 1987


... come Milan Petek Levokov (1960)   


PIOGGIA IN AGOSTO

Pioggia in agosto
             un acquazzone
che ha colto di sorpresa la gente sulla spiaggia di Sistiana
             i corpi esposti al sole
abbronzati dal tardo sole estivo
si sono mossi
                e di corsa
nel buffet
ammassandosi nell'angusto spazio sotto la tettoia
dove parlavano
             sloveno
                italiano
             tedesco
                croato
perfino al negro che vendeva sulla spiaggia asciugamani
e altre cianfrusaglie
                         senza permesso
scintillavano i denti bianchi
mentre rideva
quando abbiamo constatato che
- benché bagnati fradici - siamo ancora vivi
e che la pioggia non può inzupparci
                              oltre la pelle
la pelle però al sole si asciuga presto
inoltre:
      dopo la pioggia tornerà il sole
      ce lo auguravamo tutti
quel pomeriggio nell'angusto spazio sotto la tettoia
e intanto
         il sole s'è messo a brillare
         e la compagnia dei bagnanti subito neanche
                                                 se n'è accorta
mentre beveva birra e
chiacchierava indistintamente
             in sloveno
                italiano
             croato
                tedesco
e un pochino anche in negro.

Dalla raccolta Dež v avgustu (Pioggia in agosto), stampa imminente presso KUD France Prešeren a Ljubljana


... e come Miroslav Košuta (1936)   


Treni verso il sud

Questi treni
vanno al sud,
questi treni –

questi treni
sono fatti di sogni
e di tormenti,
questi treni –

come un rosario
mi
scivolano
tra le dita,

mentre spero:
con il prossimo
è la mia volta
di partire.

Dalla raccolta Pričevanje (Testimonianza), Založba Lipa, Koper 1976


• • •


N come Niko Grafenauer (1940)   


L'AMORE

L'amore nasce di nascosto
e nemmeno se ne accorge.
Vive di luminosi sguardi
e cresce placidamente.

Negli occhi dell'amore
fiorisce una sognante rosa
e nelle mani ha la tenerezza
che vellutata accarezza.

Sulle sue labbra trema
un pensieroso sospiro.
E vi gioca senza posa
Il radioso riverbero del sole.

L'amore nuota nelle nuvole,
non cammina per terra.
Ma ama essere inciso con segni
segreti sui banchi di scuola.

L'amore non ha la lingua sciolta,
tutto ciò che fa, gli si rivolta contro,
finché non diventa abbastanza
grande per il primo bacio.

*
Nella camicia di forza dell'amore
siamo sempre legati
senza costrizione.

Dall'ultima ristampa della raccolta Skrivnosti (Misteri), Nova revija, Ljubljana 2006


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S come Sonja Votolen (1956)   


UNA VOLTA

Una volta non sapevo togliermi
le scarpe sfilarmi le calze
e affondare i piedi nell'erba
fresca e rorida ed anche secca
fragrante come il fieno

Una volta non sapevo spiegare le ali
delle mie braccia
e stringere al mio petto
le antenne solari

Una volta non sapevo sgusciare
dalla mia pelle
e rotolarmi per terra
pazza d'amore

Dalla raccolta senza titolo di poesie sparse in cerca di editore o sponsor


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T come Taja Kramberger (1970)   


Que fragilidad

Rifiutare la saggezza
è saggezza

Rifiutare il buon senso
è buon senso

Cadere per terra
è stare in piedi

Dove sei mattino?
In una pozzanghera

Dove vai buio?
Sto piovendo

Chi mi mantiene
sopra il limite della capacità?
    Respiro

Chi gonfia le reti
della rivolta?
    Non ho

Chi si spezza sotto
il peso del vento?
    Dormo

Frantumare la luce
è chiarore

Rifiutare il rifiutato
è ritorno

Post mortem rendere il sorriso
alla vita è un miracolo
    immensamente più grande di una goccia di rugiada
    più splendido di un granello di sale
    più tranquillo di una fiaccola negli occhi
vivo                                   di nuovo
amo                             un'altra volta
mi merviglio                    nuovamente

Dalla raccolta Spregovori morje (forse Parla mare o Il mare parla), Mladinska knjiga, Ljubljana 1999


... come Tomislav Vrečar (1976)   


PASSERI

Passeri, dannati passeri.
Passeri nella pioggia, indistruttibili.
Un passero nel grembo della Cvetaeva.
Un passero stupido, che bel passero.
Il passero che stamattina si è bevuto un caffè.
Un passero pazzo canta nel vuoto.
Il passero sa che qualcuno lo sente.
Il passero canta al vento, d'un fiato.
Il passero dalle strane melodie.
Il passero dalle scandalose melodie.
I passeri non la smetteranno.
Passeri grassotelli sullo stelo dell'estate.
Passeri striminziti nella radura dell'inverno.
Passeri, quanti mai riescono a sopravvivere.
Passeri indolenti, non hanno voglia di volare.
I passeri saltellano per aria.
Umili passeri, si accontentano di una briciola.
Passeri dispettosi all'interno delle caldaie della città.
Passeri compaesani, come noi avvezzi a divorare tutto.
I passeri sono passeri e tali rimarranno.
I passeri sono raramente protagonisti nelle fiabe.
Nessuno vuole passeri nelle favole.
Infiniti passeri pervasi dalla modestia.
Passeri, nunzi di un cielo astuto.
Passeri, non gli stessi, comunque passeri.
Passeri, fastidiosi come la pioggia.
Passeri e le loro stanche ossa.
Passeri ogni giorno, tutti i giorni.
Passeri che sono passeri e saranno passeri.
Passeri, un manicomio per così dire.
Il passero si prende ciò che gli è dovuto.
Il passero non ha freddo, il passero non fotte.

Dalla raccolta Ime mi je Veronika (Il mio nome è Veronica), Založba Pivec, Maribor 2011


... e come Tone Pavček (1928-2011)   


APPUNTI SULLA MORTE

        E durante questa stupenda mattina ho capito
        che la morte non esiste, che la vita è eterna.
                                           Nikolaj Zabolocki
Tra erbe e illusioni,
tra sogni e persecuzioni,
tra speranza e disperazione,
tra tutto ciò che esiste e ciò che dovremmo essere,
su questa nostra unica terra
sparano,
sparano,
di giorno in giorno sparano
sugli altri, su se stessi,
sul presente e sull'indomani,
contro le idee, gli ideali, le attese, l'uomo;

in nome dell'uomo,
in nome di un domani,
in nome, in nome, sempre in qualche nome
sparano,
sparano,
e gli uomini
non smettono mai
di sparare,
di cadere,
di morire
su questa nostra unica terra in corsa verso il futuro.

Mi tappo le orecchie per non sentire gli spari,
mi copro gli occhi per non vedere i morti
e ripeto, compiangendoli:
in nome della vita
non sparate più
né in questo né in quel nome.

Dalla raccolta Zapisi (Appunti), DZS, Ljubljana 1972


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V come Vida Mokrin Pauer (1961)   


QUANDO È PACE…

Quando è pace, quando finalmente regna la pace nell'appartamento, avendo messo
la tarda ora notturna tutti i miei compagni tra le lenzuola, mi sento a modo mio più
sollevata. La notte abbandona le accanite spinte ascensionali e slitta sui lampioni
allineati nelle vie, giù giù nel corno stregato delle tenebre…

Il suo mistero si sta bruciacchiando nel buio e il diavolo le rifila aureole, fari, corti
circuiti; altrove per un istante s'illumina, incrinata nello spettacolo, fino a impallidire.
Ma la notturna diavoleria non finisce prima che io non mi arrenda con un sospiro
e non incarni l'alba amara. Ave.


È MORTA

È morta come se si fosse addormentata, sul divano in cucina
mentre leggeva i giornali e rosolava i piselli.
Certamente voleva invitare a cena e ai conversari anche un angelo goloso, ma
d'un tratto il diavolo ci ha messo la coda e, senza preavviso, le ha spento il cuore.

Pedante e perfido - dietro di sé non ha lasciato nessuna traccia, nemmeno
una parola d'amore. In segno d'intesa. È proprio vero, perciò non è strano che
il marito e l'angelo e con noi tutti gli altri che la conoscevamo, ma mai a fondo,
siamo rimasti di stucco, anche dopo averla ormai sepolta.

La salma è interrata, ma la sua fossa sta sprofondando, forse a causa del terreno
oppure perché il suo spirito evade per venire da me. Ed è spaventosamente avvertibile,
sghignazza e con l'humus si lava e gratta via la vita. Poi mi forza ad entrare in un film
dell'orrore: dove regno in una squallida casa in comune (per mia fortuna) mai finita…

Non vede l'ora che i miei nervi saltino per sgridarmi, e io a correre lesta a rifugiarmi
dal mio amato bene dormiente. Dopo con i chiodi della sua bara m'inchioda velocemente
a lui augurandogli "buona fortuna, figliolo, la gente mi ha deluso" e naturalmente calmata
sparisce fino alla prossima volta.

Dalla raccolta Narcisa v vodi (Narciso nell'acqua), Založba Lumi, Ljubljana 1992


... e come Vinko Möderndorfer (1958)   


TEMPI

A coloro che sostengono
che ieri si stava meglio
bisognerebbe guardare nei portafogli

A coloro che affermano
che domani sarà meglio
bisognerebbe cambiare la diottria

A coloro che asseriscono
che adesso si sta meglio
bisognerebbe tagliare i coglioni

Tre tempi
ma nessuno adatto
per la vita


QUO VADIS DOMINE

Dove sei con la testa spaccata
o la spalla slogata
con un moncherino invece della gamba
e un uncino al posto
delle dita?
Dove sei con gli occhi infossati
e l'intestino
allungato fino a terra
nell'estrema solitudine
perché tutti ti hanno abbandonato?

Sei ancora ai crocicchi
delle bianche strade?
Sei ancora nei libri
tra le pagine ingiallite?
O ti sei rifugiato in un angolino
all'ombra per sfuggire il solleone
e così storpiato
ti prepari
a risalire
qualche Golgota
e morirvi?
Un po' per te
e un po' per tutto il mondo.

Dalla raccolta Pesmi iz črne kronike (Poesie da cronaca nera), Glosa - Sindikat kulture, Ljubljana 1999


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Z come Zoran Pevec (1955)   


    XX
L'uomo nella stanza
ha sempre a portata di mano
qualche consiglio per essere di buonumore:

mettersi al muro,
pronunciare due o tre parole,
guardare il cielo in alto,
aprire sul petto la camicia bianca,
gridare parole infervorate,
fissare negli occhi il plotone d'esecuzione,
fumare l'ultima sigaretta,
espettorare catarro per terra,
insultare questo mondo fottuto
e dopo - cessare di leggere robaccia del genere.


    XXVI
L'uomo nella stanza
sa che molto più bello di un viaggio reale
è viaggiare tra le lettere alfabetiche,
scritte in diversi libri.

In questi segni,
reticolati di secoli,
vengono collocate le colonne del tempo
la Cabala, Dante Alighieri, Geoffrey Hill
o
Ermanno di Carinzia, Srečko Kosovel,
Gregor Strniša.

L'uomo nella stanza
ama questo riposo senza inizio e fine
nella parola
che nessun silenzio può sostituire.

L'uomo nella stanza
gode nel palpito dei miracoli essenziali,
in una giornata senza paraspigoli.


    XLV
L'uomo nella stanza
ama le vittorie
e allora i suoi capelli ricci
ondeggiano al vento
che lo spinge sempre
avanti e avanti.

Quando s'imbatte in un insolubile enigma
preferisce non prenderlo in considerazione
o fa semplicemente finta di non vederlo.

Nel suo salone è spigliato,
il disaccordo con il resto del mondo
cerca di risolverlo in tal maniera
di trasformarsi abilmente
da pedone in automobilista,
da automobilista in palombaro,
da palombaro in astronauta,
da astronauta in un virtuale
navigatore cibernetico
nel computer da tavolo.

Getta in aria palline di carta con gli
indirizzi delle destinazioni desiderate
che di solito mura nel silenzio assoluto.
Da lì scruta di nascosto che cosa
stanno blaterando gli sciocchi
e come stanno abbassando le teste
i cosiddetti geni universali.

Dalla raccolta Moški v sobi (L'uomo nella stanza), Društvo Apokalipsa, Ljubljana 2004


Traduzione dallo sloveno di Jolka Milič


jolka.milic@siol.net