A come Aleš Debeljak (1961)
COLOMBO
Sono un docile timone nelle tue mani, lo stoppino di un cero che piuttosto di rado, se mai, sa accendersi senza un tuo cenno. Mi accosto a te come si accostavano già tanti, con il batticuore e le vene palpitanti, pronto, anche se il futuro mi pare incerto, a tuffarmi negli abissi dell'oceano e a mordere dolcemente i coralli sul suo fondale renoso: dimmi una sola parola e la guizzante sonda scenderà fino in fondo dove l'eccitazione porta alla salvezza. Resisto a stento, come Mosè davanti alla superficie agitata dell'acqua, che attende impaziente la spartizione e ricopre tutto ciò che è stato con la fatidica dolcezza dell'oblio, che mi invita con il profumo, il colore e la forma, che con le ultime forze e pieno sino all'orlo, io laceri le tue vesti con i denti e come una caravella che senza la bussola e l'equipaggio trova da sola la rotta verso il patrio lido, io risponda al tuo imperioso richiamo e trasformi il tuo centro nella laguna della mia saliva.
Dalla raccolta Nedokončane hvalnice (Inni incompiuti), Mladinska knjiga, Ljubljana 2000
... come Alojz Ihan (1961)
LA MELA
Non appena arrivai al posto di guardia, la bambina cominciò a comportarsi in modo strano. Stava vicino al fossato che circondava la caserma, aveva sei o sette anni, capelli neri, indossava ampi calzoni rossi, insomma una piccola e autentica albanese; quando incominciai a camminare lungo il fossato, anche lei si mise a marciare nella stessa direzione; ben presto mi accorsi che imitava ogni mio passo e perfino il portamento; era praticamente la mia ombra, i suoi giochetti finirono per innervosirmi, nei pressi potrebbero esserci gli irredentisti in attesa che la bimba svii la mia attenzione. Perciò le feci cenno di andarsene subito. Invece si fermò, poi scoppiando a ridere affondò la mano nella borsa e tirò fuori una mela. Alzò il braccio e mi buttò la mela. Scansai il colpo saltando dietro a un riparo, mi aggrappai al mitra e aspettai... Ma non ci fu nessuna esplosione. Abbassai la canna. "Non ucciderò la bambina", mi dissi, "lei non sa niente." Dopo mi misi a osservare la mela, era grande, rossa, sembrava vera. Agitando le mani minacciai la piccola, che, presa dallo spavento, se la diede a gambe. Non sapevo cosa fare della mela. Poteva essere iniettata di veleno, basterebbe un morso e sarei morto o almeno mi addormenterei, nel frattempo gli irredentisti scavalcherebbero il fossato e mi farebbero fuori. Non sapevo se il veleno agisce anche solo a toccarlo, perciò, per precauzione, non raccolsi la mela, e nemmeno la feci rotolare con un calcio nel fossato, mi limitai a stare lì impalato e indeciso sul da farsi. Mi pareva che queste cose fossero troppo grandi e troppo complicate per me e che avrei dovuto avvertire il comandante; se avessi fatto scattare l'allarme, tutte le mie ansie sarebbero finite, il fischio acuto della sirena avrebbe richiamato tutti quanti con le armi pronte e in quattro e quattr'otto ci sarebbe stata una grande ressa nella trincea. Non sapevo proprio decidermi e provai quasi un senso di malessere dal nervosismo. Poi, per fortuna, ci fu il cambio di guardia.
I BIMBI DORMONO
Fate piano, perché i bimbi non si sveglino, ancora più piano, per non dissipare i loro sogni; non sbattete le porte, non strepitate con le baio- nette, portate i cannoni nelle discariche: niente bombe, nessuna mossa o mutamento storico, niente cricchiare di mobili, fate silenzio, i bimbi dormono!
Dalla raccolta Pesmi (Poesie), Emonica, Ljubljana 1989
... e come Andrej Brvar (1945)
FAVOLA
C'era una volta una nonna che al suo nipotino non ha raccontato mai nessuna favola, che non gli ha mai accarezzato i capelli o baciato la fronte, che non gli ha comprato mai le caramelle o il gelato (perché le caramelle guastano i denti e il gelato nuoce alla gola), che di mattina non lo lasciava mai dormire dopo le sei (perché alle sei e mezzo doveva già mettersi in ginocchio davanti a san Luigi in quella lunga sottana rossa, imbrattata di cera), che gli diceva sempre "fa' puc!" quando aveva mal di pancia, e "massaggiati le orecchie!" quando gli doleva un dente, che gli rifilava sempre per cena il resto dei crauti o la minestra d'orzo che non aveva mangiato a pranzo, che non gli dava mai i soldi per il cinema o per quei soldatini di piombo in vendita nella tabaccheria in piazza del Castello, che senza tregua gli faceva togliere le erbacce dalle aiuole e dai viottoli nel giardino dietro la casa, che verso la fine dell'anno scolastico gli nascondeva tutti gli album dei francobolli, tutti i distintivi, tutte le cartoline illustrate e tutte le etichette dei vini... C'era una volta una nonna che ha lasciato traboccare un intero bricco di caffè nero di cicoria solo perché il nipotino in un pomeriggio d'inverno si era addormentato con la testa nel suo grembo.
FOTOGRAFIA
Nel libro cubism di fry a pagina 142 c'è una foto a mezzo busto di un uomo attorno ai 60 anni Ha gli occhi le orecchie il naso e la bocca ma tutto questo in una maniera unica e irripetibile Guarda di sbieco oltre il margine sinistro e dall'alto gli cadono sulla testa le ombre Probabilmente è sotto qualche albero e probabilmente è estate perché ha il torace nudo e peloso Sotto la fotografia nell'angolo sinistro sta scritto PICASSO
Dalla raccolta Slikanica (Libro illustrato), Založba Obzorja, Maribor 1969
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B come Boris A. Novak (1953)
CENCIOLOGIA
La nostra nonna ha combattuto tutta la vita una furiosa e sistematica lotta contro la polvere, il fango e la sporcizia d'ogni genere. A questo scopo ha elaborato una precisa strategia, denominata cenciologia. In ogni momento aveva infatti a disposizione nientemeno che diciassette strofinacci, e li mandava a scontrarsi con il sudiciume come un generale le divisioni corazzate sul campo di battaglia. Dio lo guardi se qualcuno dei non addetti se ne servisse abusivamente per fini sbagliati! Chi commetteva errori così madornali, era senza indugio punito severamente. Non si fidava del tutto neanche della sua domestica personale, perciò la controllava con occhio vigile, e perfino preferiva usare l'armata dei cenci con le proprie mani e piedi. Elenchiamo dunque questi benedetti stracci e tessuti: seguendo fedelmente la nomenclatura scientifica della cenciologia della nonna:
- Lo straccio "grezzo" per le scale davanti alla porta d'ingresso;
- lo straccio "fine" per il pavimento di marmo "nell'entrée";
- lo straccio "morbido" per lustrare il vecchio parquet nelle stanze;
- lo straccio "schmutzig" - vale a dire sporco, ricavato dai resti di vestiti vecchi per la pulitura della lastra di rame sotto il caminetto;
- lo straccio "grande" assorbente per il pavimento di pietra sulla terrazza;
- lo straccio "piccolo" assorbente per il pavimento di pietra in cucina e nel bagno;
- il "vecchio" e sempre pulito cencio per le pentole e le altre stoviglie di metallo;
- il "nuovo" e sempre pulito cencio per il servizio di porcellana;
- il cencio "sensibile" per i bicchieri del vino;
- lo straccio "veloce" per i coltelli;
- lo straccio "contorto" per le forchette;
- lo straccio "pedante" per i cucchiai;
- lo straccio "lucente" per le posate d'argento;
- lo straccio "bello" per gli specchi;
- "quello stirato", un vecchio panno quasi trasparente per stirare;
- lo straccio "maschile" per stivali militari e
- lo straccio "chic" per le sue singolari scarpette femminili con il tacco alto.
Le spiegazioni della nonna delle importantissime distinzioni cenciologiche erano di una patetica pignoleria e ponderate a fondo: - i coltelli sono lisci e di solito non ce li ficchiamo in bocca, perciò basta trattarli semplicemente con lo straccio "veloce"; - i piccoli avanzi del cibo s'incastrano volentieri tra i denti delle forchette quindi bisogna rimuoverli accuratamente con lo straccio "contorto"; - i cucchiai che lecchiamo con tanto piacere, invece attirano irresistibilmente un numero impressionante di batteri, pertanto richiedono seri e radicali provvedimenti igienici che riesce a garantire solo lo straccio "pedante".
Ma tutta questa altamente specializzata e ampiamente ramificata cenciologia, tutte queste diciassette fanatiche divisioni dell'Armata antipolvere che giorno e notte inviava in lotta accanita contro la sporcizia mondiale e regolarmente manteneva e cambiava, tutto questo ordine borghese che rappresentava il senso e il motivo della sua vita, non poteva aiutare, non poteva impedire che alla nostra nonna, che alla nostra nonna la vita, che alla nostra nonna la vita non si sfacesse, non crollasse, riducendosi irrimediabilmente in polvere e cenere.
Dalla raccolta MOM: Mala Osebna Mitologija (PMP: Piccola Mitologia Personale), Cankarjeva založba, Ljubljana 2007
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C come Ciril Bergles (1934)
Gli amori impossibili possono durare
Gli amori impossibili possono durare se il tempo è pietoso nei loro confronti e li tocca con precauzione. Se rinunciano al tradimento e alla maldicenza. Ho salvaguardato gelosamente ogni mio amore impossibile da altri amori impossibili, dai loro letti oscuri e indecorosi, in perpetuo (ab)uso... Ho imparato lentamente questa capacità. Non volevo perdere neanche un petalo della corolla. Perché gli amori impossibili già da lontano e a ogni istante avvertono un bel corpo, immensamente li eccitano le notti, colme di insaziabile voluttà, stimolate dai profumi dei corpi in calore e dal caffè. Gli amori impossibili amano avvicinarsi. Anche se fingono di non aver visto altri amori impossibili, di non essere gelosi, di essere perfetti, innocenti, in realtà invece non rinunciano a nessuna occhiata seducente, e con molta facilità può carpirli qualunque bell'angelo o vampiro.
Dalla raccolta Med angeli in vampirji (Tra angeli e vampiri), Založba Škuc / Lambda, Ljubljana 2012
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D come Dušan Jovanović (1939)
Lei legge ogni giorno i giornali e guarda la tivù Lei non va mai a dormire prima delle tre di mattina Lei carica tre sveglie per le otto, ma si alza alle undici Lei beve ogni mattina il caffè dalla stessa tazzina Lei abbassa sempre il coperchio del WC Lei asciuga sempre le stoviglie scolate Lei lava ogni giorno la terrazza insudiciata dai gatti Lei fa la doccia ogni mattina Lei digiuna ogni venerdì Lei va ogni settimana almeno due volte al cimitero Lei accende di continuo ceri a sant'Antonio Lei prepara ogni autunno l'aceto di mele Lei per Pasqua cuoce la pappa di miglio Lei per il 1° novembre fa lo szegediner gulasch (*) Lei per il 1° maggio espone la bandiera Lei non mangia mai pollame Lei getta un ramoscello d'ulivo davanti alla soglia di casa ad ogni imminente tempesta Lei va regolarmente alle feste partigiane Lei esagera sempre Lei ritarda sempre Ma io mi sono abituato a lei E non la scambierei per nessun'altra.
(*) Piatto ungherese con crauti, carne di maiale e paprica, gradito anche in Slovenia.
Dalla raccolta Nisem (Non ho - Non sono), Beletrina, Ljubljana 2011
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E come Ervin Fritz (1940)
ARCHEOLOGIA
Nell'ospizio del mio paese natio c'è un giacimento archeologico. In quelle squallide corsie siedono vecchiette solitarie, gli ultimi artefatti del mio mondo scomparso. Il più prezioso reperto, la centenaria zia Angela, sorella della mia ormai da tempo defunta mamma, mi parla ancora con la viva voce della mia infanzia da un mondo in cui mangiavamo ogni giorno la polenta, seguivamo le partite di calcio alla radio e portavamo le nostre ragazze al bagno sulla stanga della bicicletta. Dalla mia morta giovinezza spiccano queste vecchiette come ciminiere di una città che il terremoto ha raso al suolo. Solo dietro le loro ciglia scorrono ancora le rinfrescanti piogge di remote estati. È mai possibile che uno di questi fumaioli dagli occhi spenti che fissano rassegnati la propria sorte sia stata quell'avvincente fanciulla di diciassette anni che andava a messa con le calze di seta, ma con me, giovane ventenne, svoltava in un vigneto; un diavoletto che arricciava le labbra reagendo con violenza quando le sollevavo la sottana, ma dopo esclamava: "Pensavo già che non ne avresti avuto il coraggio." O, tempo beato, quando le ragazze andavano a messa in calze di seta e le calze avevano la riga dietro che guidava la mano verso l'alto, direttamente in paradiso, o, ricomposizione di antichi cocci, o, archeologia.
Dalla raccolta di poesia Žitja (Oleografie), Založba Modrijan, Ljubljana 2012
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F come Franjo Frančič (1958)
NELL'ALDILÀ
(alla mamma)
La tua fede era salda, i tuoi occhi un mare, le tue mani congiunte, il tuo sorriso amaro, compiuto il tuo cammino. La pace interiore si è accampata in te, hai perdonato a tutti aspettando a tua volta il perdono. Parole stentate. Hai partorito nove figli dando lo- ro quanto hai potuto dare, nessuno ti ha re- stituito niente. Si sposavano e nessuno ti in- vitava alle sue nozze, festeggiavano i comple- anni dei tuoi nipoti, ma tu non sedevi a quei banchetti. Raccoglievi solo briciole come a- vevi fatto per tutta la vita. Ti vedo in una tempesta di neve – la vita è trascorsa, d'a- more neanche l'ombra. La mano trema, la terra tocca la carne, qual- cosa c'è sopra di noi, dici semplicemente. Il fuoco nel tuo cuore si va spegnendo, non desideri più nulla, tu giaci là tra il bianco ed esclami: sono pronta. Non è un addio, noi due c'incontriamo di nuovo in grembo alla terra, forse anche nell'aldilà.
Dalla rivista Tretji dan (Il terzo giorno), Ljubljana, novembre 1987
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I come Ifigenija Simonović (1953)
FRASE
cercare un nome per l'ignoto sedere dietro la tavola inciampando ad ogni parola quando sono d'impiccio tutti i pensieri convincersi sulla distruzione constatare il motivo del creato fissare il vuoto in cerca della parola del nome dell'ignoto aspettare qualcosa di speciale illudersi con la speranza che qualcosa deve pur succedere pensare a un'infinità di cose che non sono neanche molto chiare cercare il loro significato che non si trova nelle enciclopedie scrollarselo dalle spalle quando un peso cade loro addosso soppesare la nonpadronanza di se stessi frugare nel passato se c'è qualcosa in esso attizzare le braci perché s'infiammino chinarsi sull'abisso e cercarvi l'ignoto che è senza senso rimpiangere il tempo perso che non ritorna nella morte accogliere in sè il silenzio che è sospetto per troppa pienezza quando raccolgo sassi che interrompono solo l'odore di erba fradicia e uno strato di polvere in fondo al fiume cercare di indovinare in quale città è diretto il treno che mi trascina dietro di sé non definire niente.
Dalla raccolta Dračje in korenine (Sterpi e radici), Mladinska knjiga, Ljubljana 1995
... e come Ivan Dobnik (1960)
TI VOGLIO
Regalami il tuo muschio. I tuoi denti. Le tue ossa. Il tuo fiato. Il tuo sole. La tua aria. I tuoi pensieri. Le tue dita. Le tue ombre. Il tuo sangue. Ti voglio. Voglio il tuo mare. Voglio i tuoi alberi. Voglio i tuoi colori. Voglio le tue parole. Voglio le tue spiagge. Voglio le tue visioni. Voglio la tua luce. Voglio la tua passione. Voglio i tuoi silenzi. Voglio il tuo abisso. Voglio tutto questo. Ti voglio ancora di più. Voglio il tuo fuoco. L'immobilità dell'aria. Il ghiaccio cocente. Un fiore di pesco. La quiete della terra. Il fremito dei cavalli. Il profumo della tua donna. Le lontananze che non percorri, ma le sogni di continuo. I pesci di corallo che ti accarezzano. Le cascate della notte che ti chiudono nella lingua della solitudine. Ti voglio trepidante. Ti voglio calorosa. Ti voglio nuda. Tra i bambù e i pioppi, nel paesaggio dei merli neri. Tocca i miei occhi. Le mie strade e i secondi che rappresentano l'eternità della natura. Queste sono le foglie. Questi sono i bambini. Questi sono i tuoi mondi sottomarini. Questo è il sangue dell'alfabeto. Questa è una bocca affamata del sale sulle tue spalle. Prendila finché arde ancora. Bevila a lungo. Perché il tempo non è importante, nemmeno gli anni, né i luoghi né i modi come lo farai. Il vento sta per partire, cerca e trova in un paesaggio squallido come me che resto e scrivo, così che puoi venire a trovarmi. Conosce le solitudini. Non ignora i colori. Sente il freddo. Ascolta le onde. Straccia il giornale del mattino. Soffia via le nuvole e l'erba. Gira i semi dei carpini. Rimane e parte. Canta e aspetta. Regalami i tuoi passi. Regalami il tuo respiro. Regalami le tue notti. Le buie taschine della gioia. Il vortice di labbra irraggiungibili. I quaderni nei quali non scrivi mai il mio nome. Quel sospiro. Quella speranza. Quel crepuscolo dove ti perdi e nessuno ti trova, né nei libri né sotto le coperte, mai.
Dalla raccolta Zapreš svoje oči (Chiudi i tuoi occhi), Družba Piano, Ljubljana 2003
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J come Josip Osti (1945)
OGNI POMERIGGIO RESTAVO VOLONTARIAMEMTE AGLI ARRESTI DOMICILIARI O LEGGEVO LE PRIME E LE ULTIME FRASI DI TUTTI I LIBRI NELLA VOSTRA BIBLIOTECA FAMILIARE
tu andavi in ufficio i tuoi due figli a scuola quando restavo solo insegnavo al vostro pappagallo a parlare lui invece insegnava a me a tacere
Dalla raccolta Vse ljubezni so nenavadne (Tutti gli amori sono eccezionali), Litera, Maribor 2006
... e come Jure Jakob (1977)
PIOGGIA
Pioggia. Per te fa lo stesso, pioggia, tu cadi semplicemente e questo non ti trascina via da te. Pioggia, rassegnata pioggia. Tutta la vita sei bagnata, ma non muterai d'abito mai. Affondi in te stessa e non hai bisogno di trattenere il respiro, pioggia. La tua sconfitta è unilaterale, con lievi sfumature che non cambiano niente. Ti conosco, pioggia, soprattutto a novembre, ti avventi esausta nei confini del freddo, ti frusti con dei grossi zampilli, ma a nulla serve, non è ancora il tempo per avvolgerti nei soffici e confortevoli manti di neve. Il cielo si gonfia della tua ineluttabile tenacia. La terra si apre e annega nella tua impossibile persistenza. Pioggia, tu sei troppo fluente per poterti fermare dovunque e adottare una diversa soluzione. Non riesci a cessare, pioggia. Stai soffocando tra le tue acque, ma ormai ci sei avvezza, tutta grigia ti lavi, ti sciacqui le mani e rimani innocente. Pioggia, tu non sei affatto colpevole. Perciò puoi cadere su tutta l'immondizia di questo mondo e rimanere pulita, continua, legata alle permanenti scorte di trasparenza. Pioggia, non cessare. Crivellami con raffiche di liquido, sii sempre così silenziosa, così infallibile quando mi sfiori con le gelide labbra, quando piovi nella mia bocca, con l'umidità che cicatrizza ogni lingua screpolata, pioggia. Non lesini, non concedi, non ti arrendi, t'infiltri in ogni fessura, elimini i più ostinati progetti, però perdoni, pioggia. Non vendichi nessuno, non devi nulla a nessuno. Per te fa lo stesso, cadi semplicemente e ogni caduta ti porta più vicino a te.
Dalla raccolta Tri postaje (Tre stazioni), Ljubljana 2003
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K come Katja Perat (1988)
Che cos'è la dialettica
Ogni volta, quando qualcuno mi dice Fica, Mi vien voglia di sdraiarmi sul divano in un angolo e leggere sotto la coperta la Fenomenologia dello spirito. Ogni volta quando qualcuno dice Fenomenologia dello spirito, Mi vien voglia di prenderlo per mano e di andare a sbaciucchiarmi con lui sulla scala di sicurezza.
I minatori
Beati i minatori. A loro non occorre scrivere poesie.
Dalla raccolta Najboljši so padli (I migliori sono caduti), Beletrina, Ljubljana 2011
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M come Marko Pavček (1958-1979, morto suicida)
OJ NERETVO (*)
sulla neretva galleggia un giovane morto non è un partigiano ucciso dai tedeschi non è un tedesco ucciso dai partigiani non è un ustascia né un cetnik né un italiano non è un tifoso neanche un ferito e nemmeno un fascista non è un cascatore del film neretva non è neanche uno di quelli che gareggiano ad avvicinarsi più che mai alla riva non è un soldato dell'esercito jugoslavo che scavando la trincea è scivolato nel fiume non è quel tizio che ha bevuto troppo ed è uscito di strada non è un freak alla ricerca clandestina di ostriche perlifere non è un operaio sgozzato in una rissa e scaraventato oltre il ponte non è quel tale che voleva attraversare il fiume per scommessa ignorando di non saper nuotare è un giovane ragazzo solo un giovane ragazzo ieri si è buttato giù dal ponte
(*) È il titolo in serbocroato di una nota canzone jugoslava e vuol dire O, Neretva
PING-PONG
Giocavamo a ping-pong, si è messo a piovere e ci siamo rifugiati sotto il tavolo; pioveva l'intero pomeriggio e tutto il tempo siamo rimasti là sotto. "Mi piace tanto il tennis da sottotavolo", hai detto.
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ti scriverei delle belle poesie esclusivamente poesie d'amore te le scriverei al duale le scriverei solo per te non le darei in lettura a nessuno le riporrei nel tuo cuore e lì comincerebbero a vivere lì comincerebbero a sussurrare a mormorare a danzare a concedersi a cantare a trepidare a piangere a ondeggiare ad amarsi e lì morirebbero tutte amo la neve che fiocca lentamente
Dalla raccolta postuma Z vsako pesmijo me je manj (Ogni poesia mi diminuisce), DZS , Ljubljana 1981
... come Mila Kačič (1912-2000)
LA NASCITA
Mi scaricò sul pavimento mia madre nell'ora delle sue doglie. Il mio primo pianto non fu un alleluia ma il grido di un intruso espulso dal rifugio dell'utero nell'insidioso freddo. Mi salutarono la Vergogna la Paura l'Ansia. Con sguardi biechi m'inchiodarono al suolo. Cominciai dal fondo. O Dio con quanta pena mi sono sollevata con quanta fatica mi sono raddrizzata.
IL FARDELLO
La mia infanzia si è assopita senza ninnenanne. Chi dimenticò di cantarle ora è una vecchia donna. Con la sua solitudine ricama un nero pizzo di rimorso e tutto ciò che mi ha negato le fila man mano un interminabile filo. Tra noi due c'è il pianto sconsolato di una bimba e lo smarrimento delle prime esperienze, ci sono i gelosi segreti dell'adolescenza e la struggente maturità, pregna di tacite rampogne. So che la opprimono come un sasso le ninnenanne non cantate. Ma io non ho il diritto né la forza di levarle questo fardello.
Dalla raccolta Okus po grenkem (Sapore d'amaro), Prešernova družba, Ljubljana 1987
... come Milan Petek Levokov (1960)
PIOGGIA IN AGOSTO
Pioggia in agosto un acquazzone che ha colto di sorpresa la gente sulla spiaggia di Sistiana i corpi esposti al sole abbronzati dal tardo sole estivo si sono mossi e di corsa nel buffet ammassandosi nell'angusto spazio sotto la tettoia dove parlavano sloveno italiano tedesco croato perfino al negro che vendeva sulla spiaggia asciugamani e altre cianfrusaglie senza permesso scintillavano i denti bianchi mentre rideva quando abbiamo constatato che - benché bagnati fradici - siamo ancora vivi e che la pioggia non può inzupparci oltre la pelle la pelle però al sole si asciuga presto inoltre: dopo la pioggia tornerà il sole ce lo auguravamo tutti quel pomeriggio nell'angusto spazio sotto la tettoia e intanto il sole s'è messo a brillare e la compagnia dei bagnanti subito neanche se n'è accorta mentre beveva birra e chiacchierava indistintamente in sloveno italiano croato tedesco e un pochino anche in negro.
Dalla raccolta Dež v avgustu (Pioggia in agosto), stampa imminente presso KUD France Prešeren a Ljubljana
... e come Miroslav Košuta (1936)
Treni verso il sud
Questi treni vanno al sud, questi treni – questi treni sono fatti di sogni e di tormenti, questi treni – come un rosario mi scivolano tra le dita, mentre spero: con il prossimo è la mia volta di partire.
Dalla raccolta Pričevanje (Testimonianza), Založba Lipa, Koper 1976
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N come Niko Grafenauer (1940)
L'AMORE
L'amore nasce di nascosto e nemmeno se ne accorge. Vive di luminosi sguardi e cresce placidamente. Negli occhi dell'amore fiorisce una sognante rosa e nelle mani ha la tenerezza che vellutata accarezza. Sulle sue labbra trema un pensieroso sospiro. E vi gioca senza posa Il radioso riverbero del sole. L'amore nuota nelle nuvole, non cammina per terra. Ma ama essere inciso con segni segreti sui banchi di scuola. L'amore non ha la lingua sciolta, tutto ciò che fa, gli si rivolta contro, finché non diventa abbastanza grande per il primo bacio. * Nella camicia di forza dell'amore siamo sempre legati senza costrizione.
Dall'ultima ristampa della raccolta Skrivnosti (Misteri), Nova revija, Ljubljana 2006
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S come Sonja Votolen (1956)
UNA VOLTA
Una volta non sapevo togliermi le scarpe sfilarmi le calze e affondare i piedi nell'erba fresca e rorida ed anche secca fragrante come il fieno Una volta non sapevo spiegare le ali delle mie braccia e stringere al mio petto le antenne solari Una volta non sapevo sgusciare dalla mia pelle e rotolarmi per terra pazza d'amore
Dalla raccolta senza titolo di poesie sparse in cerca di editore o sponsor
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T come Taja Kramberger (1970)
Que fragilidad
Rifiutare la saggezza è saggezza Rifiutare il buon senso è buon senso Cadere per terra è stare in piedi Dove sei mattino? In una pozzanghera Dove vai buio? Sto piovendo Chi mi mantiene sopra il limite della capacità? Respiro Chi gonfia le reti della rivolta? Non ho Chi si spezza sotto il peso del vento? Dormo Frantumare la luce è chiarore Rifiutare il rifiutato è ritorno Post mortem rendere il sorriso alla vita è un miracolo immensamente più grande di una goccia di rugiada più splendido di un granello di sale più tranquillo di una fiaccola negli occhi vivo di nuovo amo un'altra volta mi merviglio nuovamente
Dalla raccolta Spregovori morje (forse Parla mare o Il mare parla), Mladinska knjiga, Ljubljana 1999
... come Tomislav Vrečar (1976)
PASSERI
Passeri, dannati passeri. Passeri nella pioggia, indistruttibili. Un passero nel grembo della Cvetaeva. Un passero stupido, che bel passero. Il passero che stamattina si è bevuto un caffè. Un passero pazzo canta nel vuoto. Il passero sa che qualcuno lo sente. Il passero canta al vento, d'un fiato. Il passero dalle strane melodie. Il passero dalle scandalose melodie. I passeri non la smetteranno. Passeri grassotelli sullo stelo dell'estate. Passeri striminziti nella radura dell'inverno. Passeri, quanti mai riescono a sopravvivere. Passeri indolenti, non hanno voglia di volare. I passeri saltellano per aria. Umili passeri, si accontentano di una briciola. Passeri dispettosi all'interno delle caldaie della città. Passeri compaesani, come noi avvezzi a divorare tutto. I passeri sono passeri e tali rimarranno. I passeri sono raramente protagonisti nelle fiabe. Nessuno vuole passeri nelle favole. Infiniti passeri pervasi dalla modestia. Passeri, nunzi di un cielo astuto. Passeri, non gli stessi, comunque passeri. Passeri, fastidiosi come la pioggia. Passeri e le loro stanche ossa. Passeri ogni giorno, tutti i giorni. Passeri che sono passeri e saranno passeri. Passeri, un manicomio per così dire. Il passero si prende ciò che gli è dovuto. Il passero non ha freddo, il passero non fotte.
Dalla raccolta Ime mi je Veronika (Il mio nome è Veronica), Založba Pivec, Maribor 2011
... e come Tone Pavček (1928-2011)
APPUNTI SULLA MORTE
E durante questa stupenda mattina ho capito che la morte non esiste, che la vita è eterna. Nikolaj Zabolocki
Tra erbe e illusioni, tra sogni e persecuzioni, tra speranza e disperazione, tra tutto ciò che esiste e ciò che dovremmo essere, su questa nostra unica terra sparano, sparano, di giorno in giorno sparano sugli altri, su se stessi, sul presente e sull'indomani, contro le idee, gli ideali, le attese, l'uomo;in nome dell'uomo, in nome di un domani, in nome, in nome, sempre in qualche nome sparano, sparano, e gli uomini non smettono mai di sparare, di cadere, di morire su questa nostra unica terra in corsa verso il futuro. Mi tappo le orecchie per non sentire gli spari, mi copro gli occhi per non vedere i morti e ripeto, compiangendoli: in nome della vita non sparate più né in questo né in quel nome.
Dalla raccolta Zapisi (Appunti), DZS, Ljubljana 1972
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V come Vida Mokrin Pauer (1961)
QUANDO È PACE…
Quando è pace, quando finalmente regna la pace nell'appartamento, avendo messo la tarda ora notturna tutti i miei compagni tra le lenzuola, mi sento a modo mio più sollevata. La notte abbandona le accanite spinte ascensionali e slitta sui lampioni allineati nelle vie, giù giù nel corno stregato delle tenebre… Il suo mistero si sta bruciacchiando nel buio e il diavolo le rifila aureole, fari, corti circuiti; altrove per un istante s'illumina, incrinata nello spettacolo, fino a impallidire. Ma la notturna diavoleria non finisce prima che io non mi arrenda con un sospiro e non incarni l'alba amara. Ave.
È MORTA
È morta come se si fosse addormentata, sul divano in cucina mentre leggeva i giornali e rosolava i piselli. Certamente voleva invitare a cena e ai conversari anche un angelo goloso, ma d'un tratto il diavolo ci ha messo la coda e, senza preavviso, le ha spento il cuore. Pedante e perfido - dietro di sé non ha lasciato nessuna traccia, nemmeno una parola d'amore. In segno d'intesa. È proprio vero, perciò non è strano che il marito e l'angelo e con noi tutti gli altri che la conoscevamo, ma mai a fondo, siamo rimasti di stucco, anche dopo averla ormai sepolta. La salma è interrata, ma la sua fossa sta sprofondando, forse a causa del terreno oppure perché il suo spirito evade per venire da me. Ed è spaventosamente avvertibile, sghignazza e con l'humus si lava e gratta via la vita. Poi mi forza ad entrare in un film dell'orrore: dove regno in una squallida casa in comune (per mia fortuna) mai finita… Non vede l'ora che i miei nervi saltino per sgridarmi, e io a correre lesta a rifugiarmi dal mio amato bene dormiente. Dopo con i chiodi della sua bara m'inchioda velocemente a lui augurandogli "buona fortuna, figliolo, la gente mi ha deluso" e naturalmente calmata sparisce fino alla prossima volta.
Dalla raccolta Narcisa v vodi (Narciso nell'acqua), Založba Lumi, Ljubljana 1992
... e come Vinko Möderndorfer (1958)
TEMPI
A coloro che sostengono che ieri si stava meglio bisognerebbe guardare nei portafogli A coloro che affermano che domani sarà meglio bisognerebbe cambiare la diottria A coloro che asseriscono che adesso si sta meglio bisognerebbe tagliare i coglioni Tre tempi ma nessuno adatto per la vita
QUO VADIS DOMINE
Dove sei con la testa spaccata o la spalla slogata con un moncherino invece della gamba e un uncino al posto delle dita? Dove sei con gli occhi infossati e l'intestino allungato fino a terra nell'estrema solitudine perché tutti ti hanno abbandonato? Sei ancora ai crocicchi delle bianche strade? Sei ancora nei libri tra le pagine ingiallite? O ti sei rifugiato in un angolino all'ombra per sfuggire il solleone e così storpiato ti prepari a risalire qualche Golgota e morirvi? Un po' per te e un po' per tutto il mondo.
Dalla raccolta Pesmi iz črne kronike (Poesie da cronaca nera), Glosa - Sindikat kulture, Ljubljana 1999
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Z come Zoran Pevec (1955)
L'uomo nella stanza ha sempre a portata di mano qualche consiglio per essere di buonumore:mettersi al muro, pronunciare due o tre parole, guardare il cielo in alto, aprire sul petto la camicia bianca, gridare parole infervorate, fissare negli occhi il plotone d'esecuzione, fumare l'ultima sigaretta, espettorare catarro per terra, insultare questo mondo fottuto e dopo - cessare di leggere robaccia del genere.
L'uomo nella stanza sa che molto più bello di un viaggio reale è viaggiare tra le lettere alfabetiche, scritte in diversi libri.In questi segni, reticolati di secoli, vengono collocate le colonne del tempo la Cabala, Dante Alighieri, Geoffrey Hill o Ermanno di Carinzia, Srečko Kosovel, Gregor Strniša. L'uomo nella stanza ama questo riposo senza inizio e fine nella parola che nessun silenzio può sostituire. L'uomo nella stanza gode nel palpito dei miracoli essenziali, in una giornata senza paraspigoli.
L'uomo nella stanza ama le vittorie e allora i suoi capelli ricci ondeggiano al vento che lo spinge sempre avanti e avanti.Quando s'imbatte in un insolubile enigma preferisce non prenderlo in considerazione o fa semplicemente finta di non vederlo. Nel suo salone è spigliato, il disaccordo con il resto del mondo cerca di risolverlo in tal maniera di trasformarsi abilmente da pedone in automobilista, da automobilista in palombaro, da palombaro in astronauta, da astronauta in un virtuale navigatore cibernetico nel computer da tavolo. Getta in aria palline di carta con gli indirizzi delle destinazioni desiderate che di solito mura nel silenzio assoluto. Da lì scruta di nascosto che cosa stanno blaterando gli sciocchi e come stanno abbassando le teste i cosiddetti geni universali.
Dalla raccolta Moški v sobi (L'uomo nella stanza), Društvo Apokalipsa, Ljubljana 2004
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