NOTTURNO
quando mi sveglio di notte faccio un check-up mentale – sorprendentemente, la cornea graffiata non dà fastidio, quasi e il ricordo di quello che è successo è solo un dolore, persistente, sordo sotto le costole in alto
RISVEGLIO
il peggio è svegliarsi – attraverso le persiani s’infila una luce indesiderata ricordi come moscerini si affollano per schiacciarli l’unico rimedio è premere il tasto della radio. e quando alla fine ci si alza ogni arto comporta il suo peso specifico.
PRIMA LUCE
la prima luce comunque seduce ancora sdraiata osservo mentre mi stacco dal corpo come il fantasma nel film (schizofrenica garza) abbandono sul letto la materia inerte arrivata alla finestra un attimo di attesa prima di aprire gli scuri a vedere quali colori – fumo, ocra, perla – porta il tempo
FAST MOTION
e poi ti prende nelle sue rotelle l’ingranaggio del giorno, la cinghia dentata ti strizza, ti rovescia ti riconsegna dopo in piedi impassibile, come Charlot con occhi sbarrati e mani aperte aspettando il seguito
METÀ MATTINATA
metà mattinata davanti al computer le dita che compiono il loro dovere stirando un po’ il collo riesco a vedere cespugli in fiore sul tetto di fronte quando la musica Klezmer dal Real Player infrange il momento presente con danze matrimoniali solleticando i piedi che prendono a salterellare ricordando melodie e ballando con il rebbi come io con il babbo e la felicità di lisciare il ‘3-step’ tra le sue braccia – devi solo lasciarti andare – e la mamma che le cantava dal sedile dietro (perché io m’ero guadagnata il privilegio del posto accanto al babbo per la mia nota propensione a rimettere) con voce intonata ma anche un po’ rauca, era tutto un sorriso allora sento sillabe grasse come strutto di pollo, corde di violino estatiche come le danze dei chassidim negli shtetl scomparsi ma vivi negli occhi del nonno novantenne incantati nel pensiero dell’Odessa dell’infanzia – la più bella città del mondo: di notte è tutta illuminata – e mi ricordo il futuro quando rammenterò la mamma che canta e non sarà più come i balli del babbo e gli occhi luminosi del piccolo nonno, la mia storia che sale dai piedi.
SLOW MOTION
viene il tempo rallentato: l’immagine è il nuotatore subacqueo di Atalante fuori orario l’acqua si fa viscosa i movimenti intorpiditi, larghi, il fiato sospeso ti senti a tuo agio in quest’elemento liquido dove vai alla ricerca dell’animus medusa
VESPRI
le giornate si stanno accorciando i colori che si spiegano all’orizzonte mi colgono ogni volta di sorpresa nel caldo riflesso che tutto bagna il legno scuro della ringhiera si ammorbidisce in questa, l’ora della mezza luce che si apre verso il buio.
LA VECCHIAIA DELLE STELLE
anche per i corpi celesti c’è un tempo lineare, ineluttabile: la giovane stella azzurra è tersa, scattante attraversa poi la maturità un bianco diamante. ma ciò che a me interessa ora è la vecchiaia della stella quando, mostruosamente grande, in rarefatto decadimento si adagia nel cielo, anziana signora stravaccata in poltrona e soddisfatta.
SARA: L’ATTESA
Non ha detto una parola quando è partito, solo un cenno secco del capo verso il monte. Con occhi scintillanti come lame ha preso per una mano Isacco e nell’altra il lungo coltello affilato. Senza una parola il ragazzo lo ha seguito, ubbidiente, un solo sguardo rivolto a me da occhi impauriti. Li ho visti allontanarsi, la bruna testa ricciuta sotto quella grigia e piegata di Abramo, su per il sentiero ripido e polveroso come la mia gola che non è riuscita a emettere parola. Il vento del deserto mi abbaia nel cervello, scava nelle viscere strette da una mano di ghiaccio. L’asse del tempo si è spezzato. Nei rami secchi dell’albero all’orizzonte si è impigliato il sole.
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