FILI D'AQUILONE rivista d'immagini, idee e Poesia |
Numero 9 gennaio/marzo 2008 Luoghi narrati |
LA SIENA DI FEDERIGO TOZZI di Marco Testi |
Lo scenario della narrativa primo-novecentesca si apre con una apparente opposizione alle modalità di rappresentazione tardo-ottocentesche: gli spazi della realtà vengono vissuti non più come una oggettiva persistenza di un fuori oggettivamente esistente oltre l'individuo, ma come una visione scaturita dalle profondità psichiche o quantomeno operante una mediazione instabile tra soggettività e mondo. Ma, come si diceva in apertura, questa opposizione è solo apparentemente novecentesca, perché in realtà prende vita molto tempo prima, da quando Kant aveva messo in dubbio l'assoluta e oggettiva consistenza di una realtà al di fuori del soggetto pensante. Tuttavia la letteratura (ma anche le arti figurative) qui ha giocato d'anticipo: da molti secoli si era andata sviluppando nel suo seno un insieme di tendenze che ponevano la questione della lettura interiore del mondo.
Dire che l'Ottocento sia stato un periodo in cui si sono sviluppate unicamente poetiche attardate su un versante naturalistico, e romantico prima, che si ponevano ancora al di qua del dubbio sulla oggettività dell'esistente sarebbe un errore: si pensi non ad artisti di nicchia o sconosciuti, ma ad un punto fermo della pittura ottocentesca, Goya, che ha trasposto in alcune sue opere l'aggallare inquietante delle visioni del profondo. Non solo: perfino in autori apertamente schierati con ideologie rappresentative e mimetiche della realtà, come Verga, trapelano elementi non referenziali, che tendono alla visionarietà o all'epifania dei luoghi, soprattutto nel periodo del Mastro don Gesualdo.
In realtà tra fine Ottocento e primi anni del Novecento anche le scienze avevano operato uno stravolgimento delle convinzioni deterministiche, modificando le concezioni dello spazio e del tempo e della realtà stessa. Dalla teoria dei quanti a Einstein, fino al principio di indeterminazione di Heisenberg si assiste al lento sfaldamento dei tradizionali concetti di rappresentazione del mondo. Non esiste più un dentro, non più un fuori, materia ed energia sono due aspetti della medesima realtà, non si possono in assoluto operare previsioni di stato e direzione, e soprattutto l'osservatore stesso entra a far parte del sistema osservato, modificandolo e impedendone la perfetta asseribilità e riproducibilità.
Anche Federigo Tozzi, che è stato amico e sodale di Pirandello negli anni romani, è stato un esempio di scrittore-rabdomante, in grado di far passare direttamente sulle parole improvvise, inquiete, tracce di un unter-grund non conciliato con la realtà degli altri.
Eppure il fuori ci sarebbe, rappresentato dalla città-madre Siena, la sua campagna, le sue mura, la casa paterna, l'osteria. Ma ci si accorge ben presto che Siena non rappresenta un esterno, bensì una elaborazione interiore, rappresentazione non dell'oggetto, ma del cogitans e dei fantasmi dell'interiorità.
Siena sembra in procinto di rovinare addosso al narratore; come in una poco conosciuta novella di Tozzi, Leggenda, la caverna sottostante la città rovinava su se stessa fino a sprofondare tutto in un abisso. "Tutta la città cominciò a pendere verso l'abisso", "la montagna si abbassava ancora, pendendo tutta dentro", "ogni giorno una strada o una piazza cadeva dentro, l'una casa dopo l'altra": gli elementi del discorso sono già quelli di Con gli occhi chiusi, e ci offrono l'immagine di una realtà collassante, in equilibrio instabile. Le linee delle case non sono ortogonali tra di loro, ma sghembe, oblique, come in talune esperienze pittoriche coeve; si pensi ad alcune opere di Léger, di Braque, di Sironi, o Boccioni.
Anche Firenze rientra in questa tendenza visionaria alla riduzione mineralizzante o geometrizzante:
Il procedimento cubista della rivelazione dei luoghi non visibili attraverso lo sguardo euclideo qui c'è tutto. Come in un paesaggio di Léger, le vie precipitano quasi perpendicolarmente, le case sembrano precipitare; come in Delaunay, i piani oscillano, non sono razionali e appaiono in contraddizione statica tra loro; come in Braque le case sono figure geometriche che emergono dal magma della materia o della psiche, come più tardi - e in un ambito non cubista - in Sironi. La scrittura di Con gli occhi chiusi riesce perfettamente nell'intento di manifestare la frantumazione di una spazialità conciliata con la ragione e l'emergere di un incubo in cui l'energia terribile del simbolo trascina ogni cosa nel gorgo. Il mondo non è altro che un instabile e precaria non-costruzione, preda del disordine, perché il suo incipit non è quello biblico dell'eden, ma lo sprofondamento abissale nell'oscurità della ferita, della lacerazione primordiale, come in Leggenda:
Quel riferimento alla scuola è forse da approfondire: la storia del mondo - scrive Tozzi - è quella che noi impariamo sui libri di testo, ma è la storia delle azioni e degli accadimenti delle civiltà, che esclude la conoscenza delle origini archetipe, ignorata da qualsiasi indagine razionale. Ci si è più volte chiesti se questa concezione della civiltà umana sia compatibile con la conversione di Tozzi al cristianesimo, fin dai tempi dell'adesione all'avventura della rivista "La Torre", dopo l'abbandono delle velleità massimalistiche. Il fatto è che le convinzioni personali dell'autore empirico non precipitano immediatamente nelle creazioni artistiche, dove regna invece la figura che Wayne Booth e Seymour Chatman hanno chiamato autore implicito, fatta di inconscio, immediato, non-razionale, non-programmatico. Una cosa è la convinzione dell'autore in carne ed ossa, altra la realizzazione dell'opera, che aggancia strada facendo movimenti profondi dell'essere che non emergono nella vita razionale.
Per tornare alla città di Tozzi, essa non è posta a contrasto con l'universo che la comprende dall'esterno, la campagna: ovvero, talvolta la natura rappresenta un momento di comunione con la vita, ma in alcuni momenti la campagna diviene ostile, immagine speculare del potere del padre, e allora, nella oggettivazione "storica" del podere paterno, assume le sembianze demoniche della castrazione: "Domenico faceva castrare tutte le bestie di Poggio a' Meli". Frase, come spesso in Tozzi, lapidaria, senza commenti, a sottolineare l'insensatezza dell'azione paterna e del mondo adulto in genere.
Siena è riconoscibile nella toponomastica e nelle descrizioni di Con gli occhi chiusi, nello stesso tempo però è una città non veduta, ma ri-creata: l'organo della vista ha abdicato per lasciare posto alla visione. In questa ambiguità tra reale e non-reale si articola il complesso simbolismo senese soggiacente nel romanzo tozziano. Perché animalizzazione, umanizzazione, mineralizzazione, cubismo ed espressionismo non sono espressione di una sequela culturale, di una esercitazione seppure geniale che adotta i termini del discorso di quegli anni. In realtà le dinamiche della trasformazione qui celano il non detto del luogo del capro sacrificale, un tempo città felix della comunione con la madre (e La città della Vergine è il titolo di un poema tozziano ambientato a Siena) ora spazio ostile del conquistatore venuto dall'esterno.
È vero che la Siena descritta in alcune pagine del romanzo è molto vicina a quella ancora oggi visibile tra la chiesa di San Domenico e Fontebranda, ingorgo inestricabile di case che si affollano una sopra l'altra senza soluzione di continuità e con la sensazione che i piani non siano ortogonali. È evidente che Federigo sia colpito da questa impressione di crollo imminente e che di essa egli investa tutto il romanzo. Da parte della città questa immagine diviene tutto, abbandonando le categorie retoriche e sprofondando nel ventre abissale dei simboli non immediatamente dotati di relazione razionale e conscia. L'oscurità della profondità materna non permette a Pietro la vista del fuori, e non consente legami reali, come quello con Ghìsola, creatura completamente ri-creata e differita dalla psiche del protagonista, che non può coglierla nella sua reale appartenenza al mondo. La stessa Siena diviene, da luogo della comunione, spazio dell'esilio e dell'assenza, città apparentemente reale ma anche labirinto in cui ogni passo cela rivelazioni e trasformazioni in altro che non le apparenze materiali.
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Vedi anche, sul numero 7:
Federico Tozzi - Lo specchio e l'abisso
di Fabio Pedone