Nel 1978 Luigi Cojazzi era un bambino di due anni. Inevitabilmente all'oscuro della situazione politica in Argentina. Ma per buona parte del mondo, comunque, Argentina e 1978 erano soprattutto le coordinate del Mundial, non certo il luogo e la data di uno dei momenti più bui della storia del Sudamerica. Tra gol e azioni in contropiede, la dittatura militare instaurata da Jorge Rafael Videla con il colpo di stato del 1976 passava tristemente in secondo piano.
Nel 2007 Luigi Cojazzi ha 31 anni e a quel nodo della Storia in cui si sono trovati intrecciati sport e politica decide di dedicare la sua prima prova narrativa, pubblicata per i tipi della Hacca.
Ma Alluminio, questo il titolo del libro, non è un romanzo storico, né un reportage camuffato da racconto. Di quest'ultimo, in particolare, non cerca il linguaggio diretto, né il facile pastiche stilistico del giornalismo narrato e coinvolgente. Anzi, il protagonista si abbandona in prima persona a una narrazione sofferta in cui spesso dimorano passaggi lirici.
A ben vedere, del resto, è proprio una storia d'amore quella che sorregge l'intero asse della narrazione. La storia che lega Dani, in fuga dal Cile oppresso dal dittatore Pinochet, a Luz, che con il fratello di Dani, Manuel, aveva condiviso la lotta clandestina e la tortura.
Manuel viene arrestato. Dani, ancora un ragazzino, finisce in un centro di detenzione per minori dove viene sottoposto a violenze e trattamenti degradanti. Una notte uccide un sorvegliante e fugge verso il confine argentino non sapendo di passare dalla padella del regime militare cileno alla brace della dittatura argentina che si era instaurata da poco.
Vive da esule alla periferia di Buenos Aires. Trova lavoro in uno stabilimento per la produzione di tubature e viene assegnato alla pulizia delle gigantesche vasche in cui il cloruro di vinile viene fatto bollire insieme ad altre sostanze per produrre la plastica. Giornate percorse soltanto da stanchezza fisica e sofferenza interiore.
Poi arriva il calcio. Ma non quello dei Mondiali: Dani trova un pallone tra i rifiuti, una sera, mentre torna a casa dalla fabbrica. Comincia a palleggiare. Altri ragazzi si uniscono. Si improvvisa un incontro. Poi un intero torneo. Questo campionato alternativo, giocato all'ombra del Mundial ufficiale, per i compagni di squadra di Dani è forse solo un modo per divertirsi, ma per lui diventa quasi una forma di protesta segreta, un voler restituire al calcio la sua autentica essenza di gioco e a se stesso la possibilità di battersi ancora.
Mentre gli occhi del mondo sono puntati sui fuoriclasse delle diverse nazionali, infatti, migliaia di oppositori del regime vengono assassinati e torturati nei locali dell'ex Escuela Mecánica de la Armada, trasformata in centro di detenzione. Così Dani ci racconta che ruolo ha avuto il Mundial in tutto questo:
Proprio in quei giorni, una sera che passeggiavo per i quartieri vicino alla stazione, avevo trovato su una panchina una copia di un giornale francese - doveva essere stata abbandonata da uno dei pochissimi turisti che durante i mondiali si erano spinti fino dalle nostre parti. E lì, c'era una lettera aperta a Videla, firmata da alcune centinaia di giornalisti francesi, dove si chiedevano spiegazioni sul destino toccato a una quarantina di colleghi argentini scomparsi. Ennesima testimonianza delle sparizioni di cui si continuava a sentire in giro. Ogni tanto giungevano anche voci di corpi ritrovati, ma erano ancora poche, nella maggior parte dei casi i cadaveri non si vedevano, sembrava proprio che la sparizione fosse diventata il tratto caratteristico della dittatura.
La violenza non veniva mostrata, e questo confondeva la gente. Non poteva essere chiaro a nessuno cosa stessa succedendo veramente. Se spariva un tuo caro, ma non vedevi il suo corpo, avresti continuato a sperare che fosse ancora vivo. E intanto avresti cercato di mantenere il profilo basso, di compiacere quel regime che avrebbe potuto restituirtelo. Le donne cui era stato portato via il marito, quando andavano in questura per averne notizie, spesso si sentivano rispondere che era risaputo che l'uomo fosse fuggito all'estero con un'amante. Così si insinuava in loro un dubbio sottile, che da un lato lasciava aperta la speranza che l'uomo fosse vivo, e dall'altro le umiliava, e difficilmente sarebbero tornate a protestare dalla polizia.
In definitiva, pareva che in Argentina la gente non morisse, ma si limitasse a scomparire senza lasciar traccia. Mi sembrava non essere un dettaglio di secondaria importanza. I militari stavano attuando una negazione sistematica della realtà. La violenza non doveva essere rappresentabile attraverso nessun'immagine: nessun morto da esibire ai giornalisti, niente foto di scontri o di carri armati per le strade da regalare alla stampa estera. Era in corso un vero e proprio processo di sottrazione della morte allo sguardo. La giunta, dimostrandosi accorta nell'uso dei mezzi di comunicazione, sembrava non avere più interesse a esibire pubblicamente la propria forza, quanto a nasconderla, e a questo scopo la sparizione sistematica dell'avversario, il suo occultamento alla visibilità, si stava dimostrando il mezzo migliore.
I mondiali di calcio, per pare loro, erano il complemento perfetto di un tale processo di sottrazione, pensavo in quel momento. Con una mano si nascondeva qualcosa con l'altra si poneva al centro un nuovo oggetto, capace di far convergere su di sé gli occhi della gente, fino assorbirne completamente l'attenzione.
Il mondiale di strada, organizzato da Dani e compagni, finisce presto nel giro delle scommesse clandestine. Con stupore del protagonista, i suoi amici accettano di sottostare alle crudeli regole dettate dal malavitoso Correa, che gestisce le quote, nella speranza di poter guadagnare qualche soldo in più oltre alle loro magre paghe da operai.
Ed è a questo punto che entra in scena Luz, la ragazza di cui Dani si innamora al punto da non riuscire a capire che lei è lì per uno scopo preciso: aiutarlo a fuggire verso l'Europa, compiendo così il "testamento" del fratello di Dani, Manuel, che Luz aveva conosciuto in prigionia.
È proprio in questo intreccio di amore, dolore e sfida sul campo che il romanzo trova la sua via verso un finale che, per non sciupare la sorpresa di chi lo leggerà, è bene non anticipare. Ma quel che si può dire è che Cojazzi ha avuto l'ambizione di non limitarsi a registrare una distorsione della Storia, in cui un evento spettacolare ha fatto da paravento a un teatro di ingiustizia, ma vi ha voluto calare una vicenda passionale, raccontata attraverso un'intensa prima persona, che fa sembrare vivi sentimenti accaduti trent'anni fa. Un romanzo, insomma, che pure nella sua dimensione esplicitamente narrativa, non rinuncia al suo valore di testimonianza, perché - come dice Dani in un punto del libro - «per una sofferenza che nasce dai ricordi, la memoria finisce per essere l'antidoto migliore».