“Scrivo a partire dall’esperienza interiore. Cerco la lingua che potrebbe seguirla, precederla, trasformarla. I miei libri sono di poesia, di narrazione, di pensiero. Non hanno un «genere»”.
“Les mots pauvres non è la «testimonianza» di qualcosa che mi è realmente accaduto. Quello che mi è accaduto è... scrivere questo libro, in un momento in cui vivevo una profonda diffidenza nei confronti della parola, della mia in particolare, che mi sembrava ineluttabilmente preda della «falsità», non nel senso in cui la parola sarebbe volutamente soggetta alla menzogna, ma perché il parlare mi sembrava inevitabilmente falsato dal fatto che non si è soli con se stessi, e che si fa un uso della lingua il più delle volte «ciarliero». Mi sono svegliata una mattina con il desiderio improvviso di non essere più in grado di parlare... non definitivamente ma il tempo di vivere quello che un’esperienza del genere mi avrebbe permesso di vivere. Ho iniziato a scrivere quella che pensavo fosse una novella e, scrivendo, mi sono resa conto che si trattava di un lavoro che non sarebbe finito tanto rapidamente.”
(da “Rencontre avec Christiane Veschambre”, Gestalt Therapie Cahiers n° 32, 2014)
Troviamo queste due illuminanti affermazioni sulla bandella di Le parole povere, edizione italiana di un libro apparso in Francia nel lontano 1996 e più volte riproposto, ma di certo non invecchiato, anzi, come accade ai buoni vini dei quali il tempo esalta le caratteristiche e la personalità, rinvigorito dalle successive letture. La scrittura della Veschambre fa pensare alla lezione calviniana sulla leggerezza: questa sorta di diario, articolato in quattro stagioni, parla confidenzialmente al lettore di una perdita, vissuta nelle tante sfumature psicologiche che si alternano dando sempre l’impressione del prevalere delle nuove opportunità che questa situazione offre sugli inevitabili momenti di abbattimento. Non mancano anche alcuni episodi di lieve comicità. Tuttavia, nonostante l’understatement che pervade l’intero libro sin dal titolo, sono frequenti i momenti di profonda riflessione esistenziale, talvolta generati da eventi minimi quasi impercettibili.
Possiamo anche leggere Le parole povere come una straordinaria storia di amore coniugale, di complicità che si sviluppa dalla prima pagina lungo tutto il libro fino a quella conclusiva (“E la mia gioia, il giorno in cui la parola mi ritornerà, di sapere che tu sarai là per rispondere al richiamo della sola parola d’amore che sono capace di pronunciare – quella che compone le due sillabe del tuo nome.”, p. 99). Inoltre, incontriamo quello che è un leitmotiv della scrittura di questa autrice: la presenza dei genitori (“La storia dei nostri genitori ci è oscura. È da questa oscurità che noi veniamo.”, p. 88), la storia familiare, le sue radici umili che ritroveremo in Robert & Josephine e in Versailles chantiers, ad esempio. Talvolta a pagine dense di scrittura seguono pagine marcate da un’unica o da pochissime frasi, quasi un haiku (“L’acqua blu della sera. Circola tra i rami dell’albero. Le foglie dell’albero ondeggiano, impercettibilmente sollevate, sulla coltre d’acqua verticale e immobile.”, p. 102, ad es.).
Le parole povere è, dunque, una lettura che ci riconcilia con la scrittura e con il mondo: assolutamente da non perdere!
Christiane Veschambre, Le parole povere, traduzione di Rossella Nicolò e Giancarlo Cavallo, Artwork di Sandro Sardella. Multimedia Edizioni, Baronissi/Salerno 2025, collana Tracce, pagg. 112, € 15,00.
CHRISTIANE VESCHAMBRE
da Le parole povere
L’altra mattina mi sono risvegliata muta. Non me ne sono accorta subito perché ero sola nella stanza. Mi sentivo felice per la giornata da vivere. Piena di un sentimento di libertà e di leggerezza. Mi sono stiracchiata sbadigliando, senza rumore, mi sono alzata, sono andata a prendere un indumento nel bagno e mi sono diretta verso la cucina dove ti sentivo cantare. Ho aperto la porta, ti ho sorriso, tu mi hai chiamata per nome e io ti ho risposto con il tuo. Cioè, ho aperto la bocca, ho formulato con le mie labbra le due amate sillabe, e non è uscito alcun suono. Tu hai riso, in un primo momento, nel vedermi ripetere la mia silenziosa mimica, sei venuto verso di me per prendermi tra le braccia e ti sei fermato. Mi hai chiesto che cosa avessi, non ho potuto risponderti. Alla fine, ho preso sulla credenza il quaderno dove si scrive la lista della spesa e ho scritto: “Non posso più parlare”. E mi sono messa a piangere.
(p. 9)
* * *
Inoltre, mi succede da qualche giorno una cosa strana. Ho iniziato la lettura di poesie russe. Non conosco affatto il russo e i versi sulla pagina di sinistra, che allineano le lettere di un alfabeto che mi è sconosciuto, erano destinate a restare completamente silenziose per me. Tuttavia, ho ostinatamente cominciato ogni mattina a percorrere con gli occhi, guidata dalla lunghezza di ogni verso, il sentimento delle parole e il segno di punteggiatura, la pagina di sinistra prima di andare a quella di destra. A poco a poco ho avuto l’impressione di comprendere la poesia, di leggerla davvero in russo, come se prendere confidenza in questo modo portasse la sua ricompensa: sulla pagina di sinistra la poesia mi introduce in un segreto in cui, sulla pagina di destra, scopro un’incarnazione.
(pp. 36-37)
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Prima di parlare, bisognerebbe raccogliere nell’oscurità delle palme chiuse sugli occhi lo sgocciolare delle parole povere, ridotte, delle parole senza slancio, impaurite, lo sgocciolare delle piccole parole da cui è assente qualsiasi grazia.
(p. 86)
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Christiane Veschambre nata a Parigi nel 1946, è certamente una delle scrittrici più interessanti della sua generazione, autrice di opere intense di grande qualità.
Ha cofondato e diretto due riviste, Land e Petite. Ha pubblicato: Le Lais de la traverse, éditions des Femmes, 1979; Orées in Manger, opera collettiva, Yellow Now, 1980; Sax domine, libretto, musica di Bernard Cavanna, Sallabert, 1981; La bambina e la marionetta in Pinocchio nel paese degli artisti, Mazzotta, Milano, 1982; Passagères, Ubacs, 1986; L’Annonciation, libro-oggetto, disegni di Maïa Bild, 1992; Les Mots pauvres, Cheyne, 1996, 1997, 2001, 2003; Robert & Joséphine (2008, prix des Explorateurs 2009), Cheyne.
Con Le préau des collines: La Griffe et les rubans, 2002; Haut jardin (fotografie di Jacques Le Scanff), 2004; La maison de terre, 2006; La ville d’après suivi de A propos d’écrire, 2007; Après chaque page, 2010; Passagères, 2010. Dal 2014 con le edizioni Isabelle Sauvage: Versailles Chantiers, con fotografie di Juliette Agnel (2014, premio Foulon-de-Vaulx de l’Académie des Lettres de Versailles 2015); Basse langue (2016); Écrire. Un caractère (2018); dit la femme dit l’enfant (2020); Julien le rêveur (2022); Là où je n’écris pas (2024). Sempre nel 2024, Leurs âmes brûlantes / Bresson Rozier Dreyer Mankiewicz, éditions de L’Œil.
gccaval@gmail.com
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