Identificazione di un artista
Per un compositore, è bene o male essere riconosciuto dopo poche note? Ciò vuole dire essere ripetitivi o avere un’identità ben definita? Le caratteristiche del proprio talento riproposte in ogni nuova creazione sono un limite o un marchio esclusivo?
Francamente credo che bisognerebbe analizzare caso per caso.
Stavolta parliamo di Craig Armstrong, musicista scozzese che dopo il diploma e un inizio indirizzato verso composizioni per orchestra si dedicherà alla creazione di colonne sonore e nella seconda metà degli anni novanta vanterà lo score di “Romeo + Juliet”, film di Baz Luhrmann.
Iniziano così i riconoscimenti da parte della critica e del grande pubblico.

Nel 1998 Armstrong pubblica il disco The Space Between Us. Lo ascolto consigliato da un amico sempre attento alle novità e inizio il viaggio. Se parlo di viaggio non è per descrivere la solita immagine retorica, è la musica che percepisco che si trasforma davvero in un tragitto attraverso l’estro del musicista. È come assistere dal finestrino di un treno alle mutazioni di uno scenario fatto di melodie che sembrano adattarsi sempre e perfettamente allo stato d’animo di chi ascolta. Lo spazio intimo viene pervaso dalle note di questo album che per timbri e stili è decisamente trasversale pur restando coerente con l’essenza del suo autore: un collage di immagini composto da sonorità e arrangiamenti a volte lontani tra loro (anche in maniera apparentemente eccessiva) ma che alla fine ne svelano un’unica identità.
Dagli archi di Weather Storm - brano scritto insieme a Del Naja, Vowles e Marshall dei Massive Attack e da loro inserito nell’album Protection - a Sly II, anch’esso prodotto con il gruppo di Bristol. Da This Love, dolce ballad interpretata da Elizabeth Fraser - voce dei Cocteau Twins - a Glasgow, omaggio di Armstrong al luogo natio, passaggio dall’aspetto dub che inocula in noi l’ambiente piovigginoso della città scozzese. Da Rise, techno con archi campionati fino allo stile essenziale à la Satie di My Father.
After The Storm sembra far fermare il nostro virtuale mezzo di trasporto e ci suggerisce di fissare nella mente il paesaggio, ora pulito dalla tempesta, che il finestrino ci offre. Ma è solo per la durata del pezzo perché Laura’s Theme, la canzone che segue, rimetterà in moto il convoglio ispirandoci una serie di quadri tinteggiati di puro romanticismo.
Balcony Scene - estratto proprio da Romeo + Juliet - apre con un breve assolo di pianoforte presto sostituito dagli archi che ci prendono per mano accompagnandoci fino all’emozione più sincera, come nel film pur senza il supporto delle immagini.
E per fornirci altre suggestioni Paul Buchanan, del gruppo The Blue Nile, interpreta Let’s Go Out Tonight, unica canzone del disco non scritta da Armstrong (il brano è dello stesso Buchanan e inserita nel disco Hats) ma che il musicista scozzese fa subito sua con un arrangiamento inconfondibile.
Childhood, prototipo ambient dall’andamento quasi monotono, annuncia la fine del percorso facendo fischiare i freni del nostro treno. Il viaggio termina con Hymn, un “signori si scende!” appena sussurrato dal piano che lo esegue. E tra le note scorgiamo già l’appuntamento col lavoro che seguirà, As If To Nothing, altro album meraviglioso che vi consiglio di recuperare.
Dopo l’ascolto (ripetuto) di questo disco, l’identità artistica di Armstrong – le sue melodie, i suoi arrangiamenti sono entrati a far parte della mia conoscenza musicale tanto da rendermi quasi sempre in grado di individuare i suoi lavori nelle colonne sonore dei film a cui assistevo: “Moulin Rouge!”, “Kiss of the Dragon”, “Love Actually”, “Wall Street – il denaro non dorme mai” solo per citarne alcuni tra i più famosi.
È un limite creare opere che riconducano immediatamente all’autore? La luce nei quadri di Caravaggio ne esalta il genio o lo riduce? La scelta di strumenti non convenzionali (il fischio nei western di Leone, la ritmica creata con macchinari ne “La classe operaia va in paradiso” di Elio Petri, l’uso dello scacciapensieri in “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto” anch’esso di Petri) e la sequenza di quelle note rendono Ennio Morricone un travet delle colonne sonore? Che giudizio diamo a Abraham Yehoshua e alla sua identificabile (meravigliosa) prosa?
Domande retoriche, certo, ma che danno una sola risposta.
cardstefano@libero.it
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