Pubblicata per la prima volta in Italia, da Gattomerlino nella sua Serie blu (poesia in traduzione con testo originale a fronte), una raccolta di poesie inedite della poetessa franco-libanese Nohad Salameh dal titolo Il tempo muore delle sue ferite. Se non fossimo abituati alle “amnesie” dell’editoria italiana, soprattutto nei confronti della poesia, ci sarebbe da restare esterrefatti per la totale assenza sin qui registrata di un’autrice che in Francia ha riscosso un notevole e meritato successo. Questo libro, (fortemente voluto dai traduttori, coraggiosamente supportati dall’editore), propone degli inediti assoluti ed è articolato in tre sezioni – Un rideau de sommeil, Le temps meurt de ses propres blessures (che dà il titolo all’intera raccolta), Les lendemains interdits – e riprende alcune delle tematiche proprie dell’autrice: una vena surrealista caratterizzata da una forte impronta mediorientale, testimone di “lacerazioni interminabili tra due lingue e una doppia cultura”, un tono sia solare che notturno, la volontà di restare legata ai vivi e superare l’ossessione della finitezza, lo specifico femminile e l’universale sentimento del tempo.
Meraviglia e mistero popolano queste dense pagine in cui la dimensione onirica fa scaturire personaggi/proiezioni dell’inconscio che si affermano immediatamente grazie all’uso insistito delle maiuscole: la Notte, l’Addormentata, l’Assopita, si presentano agli occhi del lettore già nella prima strofa della poesia inaugurale; basta poi semplicemente scorrere le pagine per trovare la Pattinatrice, la Dormiente, la Visitatrice, gli Impalpabili, ecc. Altri elementi si presentano ancora con iniziale maiuscola, a sottolinearne la capitale importanza: il Libro del tempo circolare, l’Oblio, la Notte profetica, la Follia, ecc. Ma un ruolo fondamentale viene attribuito al Tempo (scelto per il titolo dell’intero libro, parola presente ben dieci volte, di cui sette con maiuscola) nella sua valenza multiforme di – mi si perdoni l’estrema riduttività – nemico e alleato, fondamento dell’edificio del ricordo e dissipatore dell’esistenza (“Quante ore ancora/ all’orologio del cuore?”).
Ma ritorniamo al testo iniziale che introduce ex abrupto il lettore in una dimensione altra con alcune parole chiave: ecco che la Notte “se mélange” al corpo dell’Addormentata; e, all’inizio della terza ed ultima strofa di questa stessa poesia compare il participio “Metamorphosée”. Indubbiamente assistiamo ad una metamorfosi, una fusione in cui la (ma)donna Notte e la donna Addormentata costituiscono un unicum illuminato dal “sole del sogno”.
Pur nella grande unità stilistica e linguistica, la tripartizione del libro segna di volta in volta il prevalere di uno specifico aspetto sugli altri: nella prima sezione – lo abbiamo già in parte visto – è preminente la dimensione onirica; nella seconda emerge, come anzidetto, la figura ambigua del Tempo; mentre nella terza si alternano la consapevolezza della finitezza della vita umana e la presenza viva della memoria, con sullo sfondo, a più riprese, un anelito di rinascita.
Ad arricchire ulteriormente la trama del lavoro poetico contribuisce, come è ovvio, il vissuto della nostra autrice; ma la definizione di poeta dell’esilio può avere, nel caso di Nohad Salameh, una doppia valenza: quella letterale di una donna andata via nel 1989 dal proprio paese natale, il Libano all’epoca così martoriato dalla guerra civile (1975-1990) – a cui la scrittrice partecipò attraverso la redazione di un giornale di guerra, Les Enfants d’avril, e le cronache apparse a Beirut nel quotidiano Il risveglio durante gli anni di occupazione siriana – e coinvolto ancora oggi nella perenne instabilità dell’area mediorientale; ma anche quella metaforica (e in tal senso comune all’intera umanità) di un esilio dalla propria infanzia, che ritorna sotto forma di memoria costellata di alberi (“frutteti immacolati” ad es.), uccelli (moineau, ramiers, ecc.) e oggetti d’affezione (come ad esempio le “medaglie di cartone dorato”).
Ma, come giustamente detto da Rossella Nicolò nella sua illuminante postfazione, “[…] il suo simbolismo è un linguaggio cifrato del quale siamo lungi dal possedere tutte le chiavi”. Quindi a noi lettori, come sempre accade accostandosi ad una poesia profonda e stratificata, umanissima e arcana, spetta il compito e il piacere di leggere e rileggere più volte questi versi, ricavandone sempre ulteriori interpretazioni e nuove intense emozioni.
DUE POESIE DI NOHAD SALAMEH
da Il tempo muore delle sue ferite
*
La Nuit : madone noire sans figure
se mélange au corps de l’Endormie
et d’un trait
d’une touche grasse sans couture
repeint ses paupières en noir
tandis que l’Assoupie
se pare de sa chair d’organza
et s’en va exhumer le soleil du songe
flottant sur l’autre rive.
Nul désordre ni effritement
quand tout devient lisse et apaisé
livré au toucher hâtif de la sphère nocturne.
Métamorphosée par le glissement de la lumière
qui soudain bleuit
et invente ses tours d’ombre,
l’Endormie perce le tulle du cauchemar
en un balancement hâtif de bras
pareil aux ailes de moineaux
palpitantes de frayeur.
*
La Notte: madonna nera senza volto
si fonde con il corpo dell’Addormentata
e con un tratto
denso e continuo
ridipinge le sue palpebre in nero
mentre l’Assopita
si veste della sua pelle di organza
e va a risuscitare il sole del sogno
che galleggia sull’altra riva.
Nessun disordine né sgretolamento
quando tutto diventa fluido e tranquillo
lasciato al tocco rapido della sfera notturna.
Trasformata dal cambiamento della luce
che all’improvviso diventa blu
e inventa i suoi giri d’ombra,
l’Addormentata buca il tulle dell’incubo
con rapido bilanciamento di braccia
simile alle ali di passeri
palpitanti di paura.
*
Le Temps demeure éternel
lorsque nous touchons des yeux
le rivage de l’enfance
avec ses vergers immaculés
et ses médailles de carton doré.
Le temps qui meurt de ses propres blessures
lape le lait frais de nos années
de sa langue de sphinge.
*
Il Tempo resta eterno
quando tocchiamo con gli occhi
la riva dell’infanzia
con i suoi frutteti immacolati
e le sue medaglie di cartone dorato.
Il tempo che muore delle sue ferite
lecca il fresco latte dei nostri anni
con la sua lingua di sfinge.
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Nohad Salameh, Il tempo muore delle sue ferite, testo originale a fronte, traduzione di Rossella Nicolò e Giancarlo Cavallo, postfazione di Rossella Nicolò, Gattomerlino, Roma 2024, pagg. 84, euro 14,00.
Nohad Salameh nata nel 1947 a Baalbek nel Libano, è una delle voci più importanti della francofonia contemporanea. Da suo padre, poeta in lingua araba, ha ereditato il gusto delle parole e un vitale approccio ai simboli.
È autrice di una quindicina di raccolte. La maggior parte delle sue poesie è riunita nell’antologia personale D’Autres annonciations (Le Castor Astral, 2012), insignita del Premio Verlaine de l’Académie française. Premio Louise Labé per L’Autre écriture (1988) e Grand Prix de poésie d’automne de la Société des gens de Lettres nel 2007.
Nel 2017, ha pubblicato un saggio di successo, Marcheuses au bord du gouffre (La Lettre volée) su undici figure tragiche della Letteratura femminile: Emily Dickinson, Else Lasker Schüller, Renée Vivien, Nelly Sachs, Marina Cvetaïeva, Edith Södergran, Milena Jesenskà, Annemarie Schwarzenbach, Unica Zürn, Ingeborg Bachmann, Sylvia Plath.
Nohad Salameh è membro della giuria del Premio Louise Labé e dell’Académie Mallarmé.
gccaval@gmail.com
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