*
Vorrei averti scritto
di alzarti,
nonostante la volontà,
su gambe fini
e ginocchia di mela e polvere,
farti testamento
in assenza di eredi
e padri colpevoli.
Le mie domande nei gomiti,
quando ciò che era tondo
ha trovato il suo spigolo,
accade,
nostro malgrado,
se non sappiamo odiare.
La luna è arrivata sulla tegola maggiore
che sporge dal muro e tartaglia,
l’unica a farsi notare,
perché potrebbe cadere.
*
La sera
tramontavamo anche noi
oltre il tetto di fronte.
Come fosse possibile
da bambini
cadere al buio
aspettando l’alba
per rivivere.
*
Guarda cosa accade,
finestra o strada
l’incontro è lo stesso,
dall’alto e dal basso
un precipizio d’innocenza
è il corpo di Barbie
che cade e non piroetta,
s’inficca nella terra,
non sa scomporsi,
è nata dritta.
*
Di elio ho pieno il sogno,
la testa del pallone
contro l’arco a botte,
le pietre della storia
e i compleanni dell’infanzia.
Sopravvivi nella tensione.
Gratta e saliva
finché il cielo appaia.
Se lo guardi,
non può cadere.
*
Dal palazzo di fronte
nel nostro rifugio
fra l’assalto dei robot
e poi cantare,
non guardavamo la finestra.
Dove una settimana prima
una donna era volata,
scoprendo di non pesare più.
È stato implume
il sogno.
*
La croce del letto
e l’orizzonte bianco,
il padre si distacca dall’arto
che da servo s’è fatto dio.
Ecco la condizione umana
in assenza di misure integre
è un intervallo di opposti,
un singhiozzo, cadere.
*
Si è scorciato il nervo
alla gamba del tavolo
dove mangiammo le nostre vite,
apparecchiati gli anni
che più restano nel bicchiere
con l’osceno oblio
sul fondo.
La tua eredità
è la dimenticanza,
si affaccia da ogni bordo
e mi tiene in salvo,
mentre s’aprono dal centro
schizzando i lati
i piatti gettati in strada
per fare festa
l’ultimo dell’anno.
Mentre cadono,
è eterno il viaggio.
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