FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 63
marzo 2023

Cadute

 

CANTO E RACCONTO NELLA POESIA DI
GIOVANNI QUESSEP

di Jorge Iván Parra Londoño



Il mio primo approccio alla poesia del bardo di San Onofre, che sembra un arabo taciturno o un saggio in abiti civili, risale a tre decadi fa. Ho avuto bisogno solamente di due delle undici poesie di Quessep che Andrés Holguín aveva scelto per la sua Antología Crítica de la Poesía Colombiana 1874 –1974, i due volumi pubblicati da Tercer Mundo, che conservo ancora nella mia biblioteca come uno dei miei più grandi tesori. Due poesie ho detto: «Sulla luna che ho raccontato» e «Vicinanza della morte» che qui vi regalo:
      VICINANZA DELLA MORTE

      L’uomo solo abita una riva lontana
      guarda la sera cupa che finisce
      guarda le foglie bianche

      Volto perduto dell’amore
      appena canta e muove
      la ruota della fortuna
      che lo avvicina alla morte

      Straniero in tutto
      maledetto dalla gioia
      l’uomo solo in solitudine parla
      di un regno che non c’è.{1}

A pagina 213 del libro di Holguín, questa poesia è scritta a mano. Non ho avuto bisogno del giudizio critico (più accurato di tutti) di don Andrés quando dice che Quessep usa le parole più belle, dotate di una malinconia recondita, che la sua poesia è la meno eloquente, indicando infine caratteristiche come «pura malinconia», «profondità stupefacente», per poi battezzarlo, con una pennellata finale, il «nuovo apprendista stregone» le cui metafore sono «le più belle dell’ultima poesia colombiana». Trent’anni dopo questa frase è ancora valida, e «ultima» vuole dire dal 1970 alla settimana scorsa.

Cosa c’è in questa poesia citata che ha suscitato l’interesse di Andrés Holguín (il che significa molto) e che ha rapito così tanto me (il che non significa niente)? In primo luogo il titolo, che indica da subito che il poeta è legato a una tradizione, quella spagnola, di Quevedo quando ci insegna che «nascere è cominciare a morire» o quella di Manrique che ci ha avvisato «come sopraggiunge la morte/ tanto silenziosamente»; in secondo luogo, per quell’assonanza dei suoi versi, quella specie di sussurro, di sordina, che diventerà, forse, dal punto di vista musicale, la cosa più caratteristica di tutta la sua poesia.
Ma il mio vero e diretto contatto con la poesia di quest’uomo nostalgico, così discreto da non accorgersi nemmeno che è oggigiorno il più incomparabile della nostra poesia, è avvenuto nel 2007 a margine della presentazione a Cartagena, in un convento, per giunta, del libro Metamorfosis del jardín che raccoglie tutta la sua poesia fino al 2006, ad eccezione della sua prima raccolta, che non ha voluto includere. Quella della casa editrice Galaxia Gutenberg, che deve essere il massimo per ogni poeta, era l’edizione che la poesia di Quessep meritava. Con un prologo che dimostra che non si può e non si deve parlare di poesia lasciando fuori il poeta.
Con la mia copia in mano e una generosa dedica di Giovanni, ricordo di essermi detto: “Adesso sì che il mondo può finire”. Un verso, non so perché, mi perseguita misteriosamente da quella lettura, e lui lo sa: «Il cielo/ ruppe lo specchio della mia casa e profonda/ risuonò la morte nel pozzo».

Dopo aver letto tutte le poesie e senza alcuna intermediazione critica, che è come preferisco fare ed è quello che chiedo ai miei studenti, vedo che Quessep torna sempre sugli stessi temi, ma rinnovandoli sempre: sa che non c’è tradizione senza creazione che la rinnovi. Il mistero, la fantasticheria, l’ineffabile, la distanza, la morte e i ricordi, costituiscono la parte astratta del suo universo poetico. L’arabo e il mozarabo, rappresentato ora dal giardino, ora dal deserto ma anche dai pozzi, il lutto azzurro, Le mille e una notte, Sherazade e Dinarzade. La dialettica tra bellezza e morte, e tra il mare e l’esilio (quello della sua famiglia perseguitata dall’Impero Ottomano), mare che non è quello del sud, né il nordico né il caraibico, ma il mare omerico color del vino; così gli uccelli, tanti uccelli, soprattutto nella sua raccolta di poesie L’essere non è una favola, costituiscono la parte più concreta del suo universo simbolico. Ah! Dimenticavo le fate, che sono molto concrete, perché (me lo ha detto lui stesso), le tiene in una gabbia nel cortile di casa sua: «Niente evolve? È tutto nella pietra?/ Lo zaffiro, la rosa, il mattino?/ In essa l’aria scrive/ il nome delle tigri e delle fate».

Quella di Quessep è una poesia colta? Ovviamente! Sa anche che non c’è creazione senza tradizione che la sostenga. Per questo nelle sue poesie c’è tanto di miti quanto di leggende e favole; tanto di letteratura nordica, ebraica, araba, latina e greca; tanti dèi, indovini e maghi (come Merlino), tante cantiche, arie, epigrammi, salmi e sonate.
Ma la poesia di Quessep è anche intima, in gran parte dedicata alle donne che, come le fate e i folletti, hanno lasciato un segno profondo nella sua memoria: sua madre Paulina Esguerra, sua nonna Venut, la sua amica Violeta e la sua allieva Claudia.
La poesia di Quessep è soprattutto immaginazione? Ovviamente! Lui sa che la poesia è conoscenza criptata e che per questo una poesia deve essere letta di fronte e di traverso; ma sa anche, come ha detto Einstein, che l’immaginazione è più importante della conoscenza. La conoscenza è limitata. L’immaginazione abbraccia il mondo intero. La poesia di Quessep è racconto o canto? È entrambe le cose. Poesie come «Preghiera dei cacciatori» (con l’epigrafe di Blake) e «Canzone del barcaiolo» sono racconto che si canta. Lui sa (come Antonio Machado) che «Canto e racconto è la poesia./ Si canta una viva storia,/ raccontando la sua melodia».



{1}Traduzione di Martha Canfield, apparsa sul n. 3 della presente rivista.


Traduzione dallo spagnolo di Marco Benacci



Jorge Iván Parra Londoño e Giovanni Quessep


* * *

Intervento letto alla Casa de Poesía Silva, il 13 settembre 2016, nell’ambito del V Congresso Internazionale di Letteratura Iberoamericana dell’Universidad de Santo Tomás, evento in cui Giovanni Quessep ha ricevuto da detta università il premio Orden Facientes Veritatem, col grado di Commendatore.
Nei prossimi mesi verrà pubblicata in Italia, dalle Edizioni Fili d’Aquilone, un’antologia della poesia di Giovanni Quessep.


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