Narciso selvagem è la settima raccolta poetica di Narlan Matos (1975), autore brasiliano di ascendenza india, e già noto ai lettori di questa rivista. Spirito irrequieto e curioso, viaggiatore instancabile, Matos occupa un ruolo di assoluta originalità nel panorama letterario internazionale, con la sua poesia multiforme ed eclettica, caratterizzata da un’autenticità espressiva, che consente alle sue liriche di raggiungere altezze incomparabili.
In quest’ultimo libro, il poeta, residente da quasi un ventennio negli Stati Uniti, sorprendentemente, riprende “la strada di casa” e ci riporta indietro nel tempo e nello spazio, al suo villaggio natio, Itaquara, piccolo borgo sertanejo all’interno dello stato di Bahia, teatro della sua infanzia, prima scuola di vita e culla della sua poesia.
Un ritorno, a quanto ci racconta egli stesso nell’introduzione del libro, a cui è stato istigato dal “leggendario” professor Anatoly Mikhailovich Gakh, docente di Lingua e Letteratura portoghese presso l’Università di San Pietroburgo, che dopo aver letto il precedente libro di Matos Eu e tu, caminheiros dessa vida, era rimasto particolarmente colpito da una decina di liriche, dedicate alla sua terra natale (che è anche la terra natale di Gakh, figlio di emigranti ucraini, che in Brasile è nato ed è vissuto fino ai suoi 16 anni): “Aqueles dez poemas querem dizer muito mais: Há muito mais por detrás daquilo, poeta, pode cavar que vai encontrar.” (“Quelle dieci poesie hanno da dire molto di più: c’è dietro molto di più, poeta, e se scavi lo troverai”).
E quel lavoro di scavo ridà voce e vigore ai respiri mai sopiti di quelle lontane contrade, da cui, nel profondo, il poeta non si è mai staccato. Il Brasile riappare al lettore nella sua radiosità, negli scenari assolati immersi nei paesaggi che si dispiegano soprattutto nella varietà e nella diversificazione dei colori e degli habitat.
“Este é um livro - dice il poeta nella sua nota introduttiva - que vem com cheiro de mundo, e de fauna, de flora, de terra molhada, de povo, de Brasil. Eu atendi ao chamado profundo de meu país e de meu povo.” (Questo è un libro che viene con odore di mondo, e di fauna, di flora, di terra bagnata, di popolo, di Brasile. Io ho risposto al richiamo profondo del mio paese e del mio popolo.)
Riprendono forza e aroma i mille colori dei frutti esibiti nei mercati: “banana nanica e maracujás-de-cobra, sapoti e fruta-do-conde, mangas-espada e araçás, côco-verde e umbús, cajás e cajús e mais mil coisas”, con nomi che sembrano scaturire da formule magiche.
Prorompenti, riaffiorano da un oblio ovattato, i suoni: nei richiami e nelle melodie delle variopinte creature silvestri, nelle musiche di vecchi carnevali con pagliacci, arlecchini, saltimbanchi che intrecciano girotondi, nelle serenate del poeta adolescente che declama con passione le liriche di Vinícius de Moraes...
E, con il risveglio sensoriale, si spalanca del tutto il sipario dei ricordi, dalla mitica casa paterna alle storie vissute o apprese dalla narrazione degli antenati e dei compaesani. Sfilano i personaggi della sua infanzia, ma anzitutto domina la figura di quel bambino che gioca scalzo a pallone e che ascolta avidamente i racconti infiniti del vecchio zingaro analfabeta: “um velho Homero iletrado sem destino//ensinava a sonhar aquele provinciano menino” (un vecchio Omero analfabeta e ramingo//
insegnava a sognare a quel bambino ignaro). Quello stesso bambino che la notte contempla l’universo e l’inarrestabile fluire della Via Lattea, immenso fiume celeste che sorvola incessantemente la sua casa.
Ma prima di passare alla lettura delle poesie scelte e tradotte dal libro Narciso Selvagem, definito nella prefazione del professor Andrei Silin “una delle pagine più emozionanti dell’attuale poesia brasiliana e della lingua portoghese”, è opportuno tornare alla dedica iniziale, offerta alla trisavola Miguelina:
“Para Miguelina Vidal de Andrade, minha trisavó indígena, sequestrada violentamente da tribo dos Mongoyos, aos 11 anos de idade, por Miguel Vidal de Andrade – meu trisavô materno – e seus lacaios armados, nas florestas de Ubaira, Bahia.” (Per Miguelina Vidal de Andrade, mia trisnonna indigena della tribù dei Mongoyo, sequestrata con la violenza all’età di 11 anni, da Miguel Vidal de Andrade – mio trisnonno materno – e dai suoi scagnozzi armati, nelle foreste di Ubaira, Bahia.)
Il poeta, dunque, con questa brevissima ricostruzione di un tragico fatto di cronaca famigliare, risalente al XIX secolo, ci mette, fin dall’inizio, al corrente di essere un discendente della tribù, oggi estinta, degli indios Mongoyos. Non per niente, ha voluto per la sua copertina l’immagine di un “cacique” della tribù Mongoyo. Egli afferma: “o indigena na capa do livro propõe o novo mito do Narciso selvagem, do continente americano, com outros padrões de beleza” (l’indigeno sulla copertina del libro propone il nuovo mito del “Narciso selvaggio” del continente americano, secondo altri canoni di bellezza).
Il nuovo mito del Narciso selvaggio, rifondato da Matos, si propone di restituire, poeticamente intatta, la visione della sua terra ancestrale, fedele al ricordo dei giorni d’infanzia, come se si fosse preservata sotto un’immensa volta di vetro, trasparente agli astri e alle costellazioni, cui la coscienza culturale e religiosa del suo popolo è da sempre devota.
Il poeta si identifica e si rispecchia nella selvaggia natura sertaneja, nei suoi colori e nei suoni, nelle calde e vibranti luminosità dei giorni, nel tremulo passaggio notturno del firmamento.
E come in un gioco di specchi, che di continuo rimandano la sua immagine inscritta in quel leggendario universo, egli si fa Narciso, non perché innamorato di sé soltanto, ma un Narciso selvaggio e universale, incarnazione di ogni popolo tribale che ancora sopravvive su questo pianeta, di ogni minoranza di nativi che, relegata in minuscoli angoli riposti della propria terra d’origine, tuttora conserva la sapienza atavica e l’arcana spiritualità dei primordi.
Non resta ora che addentrarsi nella mitica poesia di Narlan Matos, non senza aver prima recitato, come il poeta stesso scherzosamente fa al termine della sua nota introduttiva, la potente formula magica della sua infanzia, che serve ad aprire tutte le porte:
Viva eu, viva tu, e viva o rabo do tatu!
POESIE DI NARLAN MATOS Da Narciso selvagem (2022)
À BEIRA DA ESTRADA
à beira da estrada antiga
uma laranjeira perdida
mitológica, adormecida
ah, como era frondosa
dona de frutas amarelas
debruçada sobre a cerca
do tempo, carcomida
à beira da estrada perdida
uma laranjeira antiga
leve, encantada e vívida
sabia da vida das gentes
rebanhos que passavam
na lida, jogral de laranjas...
tudo está guardado no silêncio
das verdes folhas acontecidas
à beira da estrada perdida
uma laranjeira antiga
debaixo de sua sombra
ofertava-nos laranjas doces
nos doces dias da infância ida
mas afinal de contas:
o que fez o tempo inclemente
com a laranjeira de minha vida?
SUL CIGLIO DELLA STRADA
sul ciglio della strada antica
un arancio perduto
mitologico, addormentato
ah, com’era frondoso
signore di frutti gialli
proteso sopra il recinto
del tempo, corroso
sul ciglio della strada perduta
un arancio antico
lieve, incantato e splendente
conosceva la vita della gente
le greggi che passavano
tra i braccianti, giocolieri d’arance...
tutto è custodito nel silenzio
del verde fogliame rispuntato
sul ciglio della strada perduta
un arancio antico
sotto la sua ombra
ci offriva arance dolci
nei dolci giorni dell’infanzia andata
ma in definitiva:
che ne ha fatto il tempo inclemente
dell’arancio della mia vita?
AULA DE PORTUGUÊS
quando meu irmão mais velho voltou de férias
do primeiro ano na universidade, se horrorizou:
encontrou o irmão infante – o futuro poeta –
um indomável capitão da areia
falando um péssimo português
igual ao que falavam os filhos das negras pobres
e dos lavradores e lavadeiras de roupas
e dos vaqueiros e varredores de rua
– seus fiéis escudeiros pelos cam-
pos selvagens da infância
e a poesia nascia assim, e a poesia crescia em mim
do vernáculo, da língua errada do povo
LEZIONE DI PORTOGHESE
quando il mio fratello maggiore tornò per le vacanze
del primo anno all’università, rimase inorridito:
ritrovò il fratello più piccolo – il futuro poeta –
un indomabile capitano della spiaggia
che parlava un pessimo portoghese
come quello che parlavano i figli delle povere negre
e dei braccianti e delle lavandaie
e dei mandriani e degli spazzini
– suoi fedeli scudieri nei terri-
tori selvaggi dell’infanzia
e la poesia nasceva così, e la poesia cresceva in me
dal vernacolo, dalla lingua scorretta del popolo
BAHIA
levei meu filho à Bahia
na respeitada casa de uma
velha negra rezadeira
para fechar corpo e alma
quando ela saiu para o terreiro
olhou séria e longamente
para o menino que brincava
depois me olhou sorrindo e disse:
“zu gringo num precisa de reza
braba, não. Zu gringo é fi di Ogun!”
BAHIA
portai mio figlio a Bahia
nella rispettabile casa di una
vecchia santona negra
per proteggergli corpo e anima
quando ella uscì sul terreiro
seria guardò a lungo
il bambino che giocava
poi mi guardò sorridendo e disse:
“al tuo gringo non serve rito
magico, no. Il tuo gringo è figlio di Ogun!”
CANÇÃO DO POVO
quero entoar um canto ao povo
como quem oferece uma prece
às almas perdidas do purgatório
como quem à noite e anônimo
rouba um amigo do manicômio
quero entoar um canto ao povo
para ser cantado nas ágoras
com a harpa e a cítara e a lira
para ser estrela nos infernos
e fresco como um oásis
para as caravanas do deserto
quero entoar um canto ao povo
para cicatrizar a ferida e a dor
fazer nascer um arco-íris sobre
a loucura o desespero a solidão
e decretar por lei, por evangelho
que a única estrada agora possível
– a única – é a estrada do amor
quero entoar um canto ao povo
que parta como uma epopeia
que escave o pretérito mais-que-perfeito
e encontre a Grécia Antiga
morta por debaixo da hera esquecida
no altar dos deuses do Olimpo
a tocha perdida para juntos eu e tu
repartirmos de novo de mão em mão
o fogo sagrado da vida.
CANZONE DEL POPOLO
voglio intonare un canto al popolo
come chi offre una preghiera
alle anime perdute del purgatorio
come chi di notte e anonimo
rapisce un amico dal manicomio
voglio intonare un canto al popolo
perché sia cantato nelle piazze
con l’arpa e la cetra e la lira
perché sia stella negli inferi
e fresco come un’oasi
per le carovane del deserto
voglio intonare un canto al popolo
per cicatrizzare la ferita e il dolore
far nascere un arcobaleno sopra
la follia l’angoscia la solitudine
e decretare per legge, per vangelo
che l’unica strada ora possibile
– l’unica – è la strada dell’amore
voglio intonare un canto al popolo
che parta come un’epopea
che scavi nel trapassato remoto
e ritrovi l’Antica Grecia
morta sotto l’edera dimenticata
e sull’altare degli dèi dell’Olimpo
la fiaccola perduta affinché io e te insieme
spartiamo nuovamente di mano in mano
il sacro fuoco della vita.
CHORINHO N. 5
ah, Itaquara sombra
Itaquara sol
bananas apodrecendo ao sol nas quitandas
velhos de olhos profundos nas janelas
somente os relógios de pêndulo falavam do tempo
havia crianças nas ruas cantando cirandas
“Três, três, passará
derradeiro há de ficar
bom vaqueiro, bom vaqueiro.”
Itaquara terra
Itaquara vento...
... e numa tarde tão rara
eu empinava papagaios de papel
e o vento era tão forte
que parecia querer me levar para os céus...
ah, Itaquara azul
Itaquara verde
nos casebres de palha da Rua do Cemitério
infestados de percevejos
eu descobria tudo que era belo e eterno
Itaquara mapa
Itaquara tempo
... e um velho me contava histórias
pelas tardes afora e a sombra da algarobeira
era do tamanho do universo...
ah, Itaquara riso
Itaquara sonho
e havia serenatas de amor
nos jardins, nas noites claras
e as estrelas se banhavam nuas na lagoa
Itaquara céu
Itaquara cores
... e ele vinha com seu jeep vermelho
e dava uma volta na nossa rua
eu e Zé Perequeté na garupa éramos felizes
e achávamos que todas as pessoas eram felizes
e que o mundo era do tamanho de nossa rua
ah, Itaquara vau
Itaquara lua
e um dia fomos escondidos tomar banho num aguadouro
no meio da serra, no mangueiro de seu Jaime Almeida
— onde o gado bebia água — e sujos de esterco e de lama
descobríamos o que era a vida
Itaquara chuva
Itaquara flor
e passavam as boiadas de seu Lu vindas de Goiás
ou do Mato Grosso, e a cidade inteira parava
para assistir a gigantesca boiada se arrastando lentamente
os vaqueiros aboiando e a boiada andando pela velha estrada
e como era belo aquele antigamente!
ah, Itaquara rosa
Itaquara vida
foi numa tarde de cor amarela
que eu conheci a mais que bela e ela me deu um arco-íris
e quanta vida vivida e esquecida...
ah, Itaquara da minha infância para sempre perdida!
CHORINHO N. 5
ah, Itaquara ombra
Itaquara sole
banane a guastarsi al sole sulle bancarelle
vecchi dallo sguardo profondo alle finestre
soltanto gli orologi a pendolo parlavano del tempo
c’erano bambini per le vie a cantar girotondi
“Tre, tre, passerà
solo l’ultimo resterà
buon bovaro, buon bovaro”.
Itaquara terra
Itaquara vento
... e in un pomeriggio inusuale
io facevo librare gli aquiloni
e il vento era così forte
che pareva mi volesse portare su nel cielo...
ah, Itaquara blu
Itaquara verde
nelle capanne di paglia della Via del Cimitero
infestate di cimici
io scoprivo tutto ciò che era bello ed eterno
Itaquara mappa
Itaquara tempo
... e un vecchio mi raccontava storie
tutti i pomeriggi e l’ombra dell’algarobeira
aveva le dimensioni dell'universo...
ah, Itaquara riso
Itaquara sogno
e c’erano serenate d’amore
nei giardini, nelle notti chiare
e le stelle si bagnavano nude nella laguna
Itaquara cielo
Itaquara colori
... e lui arrivava nella sua jeep rossa
e faceva un giro per la nostra via
io e Zé Perequeté seduti dietro eravamo felici
e pensavamo che tutti quanti fossero felici
e che il mondo avesse le dimensioni della nostra via.
ah, Itaquara guado
Itaquara luna
e un giorno di nascosto andammo a fare il bagno in un trogolo
in mezzo ai colli, nel recinto di don Jaime Almeida
– dove il bestiame beveva l’acqua – e sporchi di sterco e fango
noi scoprimmo che cos’era la vita
Itaquara pioggia
Itaquara fiore
e passavano le mandrie di padron Lu provenienti dal Goiás
o dal Mato Grosso, e tutta la città s’arrestava
per ammirare la gigantesca mandria che lenta si trascinava
coi bovari a incitare e la mandria ad avanzare lungo la vecchia pista
e com’erano belli quei tempi d’una volta!
ah, Itaquara rosa
Itaquara vita
fu in un pomeriggio di colore giallo
che io conobbi la bella tra le belle ed ella mi donò un arcobaleno
e quanta vita vissuta e poi scordata...
ah, Itaquara della mia infanzia per sempre perduta!
EPOPEIA
o poema acorda cedo e sai de casa
e vai caminhando junto com o dia nascendo
de olhos abertos para o mundo
pelas alamedas azuis da manhã
pelas avenidas de crepúsculos adormecidos
pelos largos nadas por onde já caminha
uma multidão vazia – e apressada
o poema sai de casa e vai em busca de poesia
– ao longe o mar se navega há milhões de anos
detém-se numa esquina onde prostitutas
defenderam a vida à noite a qualquer preço
e onde outros já se drogam à luz do dia
lê jornais revistas ventos hemisférios
toma água de coco numa banca
conversa com A, dá bom dia a B
e segue o poema em sua rota indizível
em busca de ternura em busca de beleza
em busca de poesia para alimentar o mundo
EPOPEA
il poema si sveglia presto ed esce di casa
e s’incammina insieme al giorno nascente
con gli occhi aperti al mondo
lungo le azzurre allee del mattino
lungo i viali dai crepuscoli addormentati
per gli ampi nulla ove già cammina
una moltitudine vacua – e frettolosa
il poema esce di casa e va in cerca di poesia
– al largo il mare già è navigato da milioni d’anni
s’attarda all’angolo dove prostitute
di notte hanno difeso ad ogni costo la vita
e dove altri già si drogano alla luce del giorno
legge giornali riviste venti emisferi
beve dell’acqua di cocco a una bancarella
discorre con A, dà il buongiorno a B
e prosegue il poema sulla sua rotta ineffabile
in cerca di tenerezza in cerca di bellezza
in cerca di poesia per sostentare il mondo
HOMERO
à sombra da grande algarobeira
sob sua gigantesca e verde-clara cabeleira
todas as tardes ele vinha e dormia
e depois acordava e a história continuava
a vida era inventada a cada momento
ao vento que descia da montanha
ele contava ao futuro poeta histórias infinitas
de reinos tempos lugares perdidos
por onde ele havia estado havia ido
reis rainhas castelos: em seu mundo
esquecido tudo era mais belo...
onipotente onisciente e onipresente
e eu menino inebriado aprendia o idioma
das coisas impossíveis, na grande copa
sobre nós eu ouvia a melodia do vento
ele o zíngaro misterioso trazia em si a memória
do mundo: cavaleiros com lanças brasões
caravelas antigas nobres, seres fantásticos
barcaças singrando mares velhos galeões
gigantes espectros corsários bufões
um olho no real outro no real maravilhoso
à sombra da grande algarobeira
sob sua gigantesca e verde-clara cabeleira
a vida passava-se muito além das fronteiras
e um velho Homero iletrado sem destino
ensinava a sonhar aquele provinciano menino
OMERO
all’ombra del carrubo imponente
sotto la sua immensa chioma verdeggiante
ogni pomeriggio egli veniva e s’assopiva
e poi si risvegliava e la storia continuava
la vita era inventata ad ogni istante
al vento che scendeva giù dal monte
lui raccontava al futuro poeta storie infinite
di regni d’epoche e di luoghi perduti
per dov’era passato e se n’era andato
re regine castelli: nel suo mondo
obliato tutto era più bello...
onnipotente onnisciente e onnipresente
ed io bambino inebriato imparavo l’idioma
delle cose impossibili, nel fitto fogliame
sopra di noi io udivo la melodia del vento
lui lo zingaro misterioso recava in sé la memoria
del mondo: cavalieri con lance vessilli
caravelle antiche e nobili, esseri fantastici
barconi che solcavano i mari vecchi vascelli
giganti spettri corsari giullari
un occhio alla realtà un altro alla realtà inventata
all’ombra del carrubo imponente
sotto la sua immensa chioma verdeggiante
la vita scorreva molto al di là delle frontiere
e un vecchio Omero ramingo e analfabeta
insegnava a sognare a quel bambino ignaro
POEMA ABORTADO
morto de tédio
exilado
numa tarde da América do Norte
farto de mortes mentiras crimes medos jornais
e obscenidades
meu poema (abortado) aguar-
da pelo nascimento de meu povo
POESIA ABORTITA
morto di noia
esiliato
in un pomeriggio dell’America del Nord
gravato di morti bugie crimini paure giornali
e oscenità
la mia poesia (abortita) atten-
de la nascita del mio popolo
POR TODA PARTE
a vida é impossível
e mesmo assim está em toda parte
lua nova no céu
um pouco abaixo uma estrela lhe faz companhia
uma lua nova e uma estrela dependuradas na escuridão da noite
do grande mistério por detrás de tudo
impossível contar quantas quilhas
cortam o sal do mar das Antilhas
na areia aprendemos a nascer a caminhar
a domar o calor do sol e o frio da chuva
mas existe a vida: o sol faz a sombra
achando a medida das coisas menores
acharemos a medida das coisas infinitas
a fumaça do avião corta o azul infinito do céu
pardais ocupados fazendo ninhos nos beirais
as folhas obedecendo o outono e caindo
isso que faz a copa da cerejeira dançar no ar
isso que faz tanto o mar ir e voltar
isso que faz o tempo passar e passar
disso jamais saberemos o nome e nem o que é
mas é infinito o glossário do que podemos fazer
nascer trabalhar gerar filhos sorrir ter amigos
saltar de paraquedas nadar envelhecer
– e quando finalmente tiveres tuas cãs aprenderás
a meditá-las paciente todas as manhãs
e quando chegar a hora indesejada
partiremos como viemos na brisa azul
e em todas as batalhas ganhas e perdidas
e marcado a ferro e fogo nas coisas idas
estará escrito com letra clara bem legível
que a vida é impossível
e mesmo assim está em toda parte
DAPPERTUTTO
la vita è impossibile
e nonostante ciò sta dappertutto
luna nuova nel cielo
un po’ più giù una stella a farle compagnia
una luna nuova e una stella appese nel buio della notte
del gran mistero che sta dietro a tutto
impossibile contare quanti vascelli
fendono il sale del mar delle Antille
sulla sabbia impariamo a nascere a camminare
a domare il calore del sole e il freddo della pioggia
ma esiste la vita: il sole crea l’ombra
trovando la misura delle minime cose
troveremo la misura delle cose infinite
la scia dell’aereo taglia l’azzurro infinito del cielo
passeri intenti a fare i nidi nelle grondaie
foglie che cadono ubbidendo all’autunno
ciò che fa danzare la chioma del ciliegio nell’aria
ciò che fa sì che vada e ritorni il mare
ciò che fa sì che il tempo continui a passare
di tutto ciò mai sapremo il nome né che cos’è
ma è infinito il glossario di quel che possiamo fare
nascere lavorare generare figli sorridere avere amici
buttarsi col paracadute nuotare invecchiare
– e quando infine la canizie arriverà imparerai
a pensarci su pazientemente ogni mattina
e quando l’ora ingrata giungerà
ce ne andremo come venimmo nella brezza blu
e in tutte le battaglie vinte e perdute
e marcato a ferro e fuoco sulle cose passate
starà scritto a lettere chiare e ben leggibili
che la vita è impossibile
e nonostante ciò sta dappertutto
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Traduzione dal portoghese di Manuela Colombo
Narlan Matos Poeta, musicista e accademico brasiliano, è nato a Itaquara, nello stato di Bahia, il 15 luglio 1975, e dal 2004 risiede stabilmente negli Stati Uniti. È considerato uno dei poeti emergenti latino-americani più importanti del nostro secolo. A ventun anni esordisce con Senhoras e senhores, o amanhecer! (Signore e signori: l’aurora! - Fundação Casa de Jorge Amado, 1997), che ottiene il premio Copene de Literatura. Nel 1998, fa la conoscenza di Waly Salomão col quale realizza la sua prima tournée di letture poetiche in Brasile. Nel 2001 dà alle stampe il suo secondo volume poetico No Acampamento das Sombras (Nell’accampamento delle ombre, Cone Sul, 2001) che riceve il Premio Xerox per la Letteratura brasiliana.
Seguono anni d’intensa attività, nei quali prende parte a recital e festival di poesia in Europa e a conferenze negli Stati Uniti. Nel 2002 è selezionato dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti per rappresentare il Brasile all’International Writing Program dell’Università dell’Iowa. La sua poesia ottiene l’attenzione di poeti straordinari come Evgenij Evtushenko, Robert Creeley, Lawrence Ferlinghetti e lo sloveno Tomaz Salamun. Il suo terzo libro di poesie, Elegia ao Novo Mundo (Elegia al Nuovo Mondo, 7Letras, 2012), viene tradotto in molte lingue e selezionato come una delle migliori opere poetiche del 2012. Nel 2014 la prestigiosa rivista italiana POESIA gli dedica 13 pagine. Esce, nel 2017, Um alaúde, a península e teus olhos negros (Un liuto, la penisola e i tuoi occhi neri, Editorial Penalux); questo è anche l’anno di nascita del suo amatissimo figlio “yankee” Yannik, a cui è dedicata la raccolta poetica Canto aos homens de boa vontade (Canto agli uomini di buona volontà, Editorial Penalux, 2018). Seguono Eu e tu, caminheiros dessa vida (Io e te, Viandanti di questa Vita, Editorial Penalux, 2019) e il più recente Narciso selvagem (Narciso selvatico, Editorial Penalux, 2022), che ha ottenuto ampi consensi da parte della critica specializzata.
Nel 2016 è stata pubblicata in Italia l’antologia poetica La provincia oscura (Edizioni Fili d’Aquilone, a cura di Giorgio Mobili).
manualdo.romano@gmail.com
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