FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 60
marzo 2022

Luna

 

MINNALOUCHE, IL GATTO CHE
HA DANZATO CON LA LUNA

Racconto ispirato alla poesia
“Il gatto e la luna” di William Butler Yeats

di Patrizia Tortora



Nel 1917 fu pubblicato per la prima volta I cigni selvatici a Coole, testo poetico del grande scrittore irlandese William Butler Yeats, vincitore del Premio Nobel per la letteratura nel 1923. In questa magnifica raccolta troviamo Il gatto e la luna, una poesia ricca di elementi simbolici e mitici, che ha suggerito le immagini e i pensieri di questo breve racconto.



* * *


Era una notte fredda e nera come l’inchiostro, benché ci fosse la luna piena. Sembrava che lo splendido astro avesse raccolto su di se tutta la luce dell’universo, lasciando nell’oscurità ogni altra parte del cielo. Mentre strisciavo tra l’erba umida per inseguire un raggio lunare che pareva indicarmi un sentiero, una forza magnetica mi obbligò ad alzare lo sguardo e a fissare la luna. Percepivo il potere seduttivo della sua “pura gelida luce che turbava il mio sangue animale”. Mi parve persino di udire la sua voce pronunciare il mio nome in modo suadente: “Minnalouche…”. Io e la luna, opposti eppure affini; tradizionalmente considerati come antagonisti nei rituali di magia, mentre, secondo le credenze popolari, le pupille dei miei occhi rivelano la mia natura lunare giacché mutano da tonde ad allungate a seconda dei cambiamenti dell’astro.

Distolsi il mio sguardo dalla luna, mentre giocavo ad acchiappare le falene che volteggiavano alla luce argentata dei suoi raggi. Improvvisamente, la densa oscurità della notte fu trafitta da bagliori sinistri, un fuoco infernale scese dal cielo, mentre terribili tuoni e boati sembravano provenire dalle profondità della terra. Io sono rimasto immobile, con la zampa sollevata a mezz’aria, con lo sguardo fisso, le orecchie dritte e il cuore impazzito. Cercavo di capire chi o cosa avesse infiammato il firmamento producendo quei suoni spaventosi. Poi ho compreso, pieno di sgomento e di antiche memorie, che gli esseri umani stavano cadendo di nuovo nel baratro della loro malvagità.

Sorpreso e agitato, ho guardato la luna e ho visto che aveva gli occhi coperti dalla notte. Era come se un velo nero si fosse appoggiato su parte del suo volto. Ho cercato gli occhi della luna, ma invano. Forse era stanca di guardare quell’inutile e infinita violenza; forse non aveva voglia di vedere le lacrime degli innocenti, oppressi da una pena, da una paura e da una solitudine nel cuore troppo grandi da sopportare. Ero immobile sull’erba e ho pensato che una delle cose più difficili per gli esseri umani sia trovare l’equilibrio. Io sono un gatto e so di cosa parlo. Posso cadere da un tetto e non farmi neanche un graffio. Posso camminare sulla ringhiera di un balcone con la stessa grazia e con la medesima disinvoltura con cui attraverso correndo un prato in fiore. Nessuna esitazione, nessun timore, nessuna incertezza. E se cado, quasi sempre cado sulle mie quattro zampe. Per gli esseri umani è diverso. Non riescono a trovare l’equilibrio tra il dolore e la gioia, tra l’odio e l’amore, tra la paura e il coraggio, tra la vita e la morte. Cadono così facilmente e non imparano quasi mai. Forse è per tale motivo che la luna ha coperto i suoi occhi: per non vedere questo mare di solitudine, di pena e disperazione.

Ero ancora frastornato e tremante quando, di colpo, ho sentito levarsi nel cuore della notte una voce spezzata dalle lacrime. Ho di nuovo drizzato le orecchie, tutto teso all’ascolto di quella voce che pronunciava parole piene di dolore e paura ma anche di speranza. Era la prima volta che udivo una preghiera. “Per favore, non permettere che sia spenta la mia stella. Con lei si spegnerebbe la speranza e anche la mia vita. Tu che sai tutto, tu che puoi tutto, ti prego: non lasciare che sia spenta la mia stella. Questa stella è così bella e così cara al mio cuore. Non permettere che le tenebre abbiano la meglio su di lei. Io spero e aspetterò con fiducia. Ora posso finalmente riposare”. La voce tacque.

Eppure, niente era più come prima. I colori della notte si erano illuminati, il cielo era tutto in festa. Davanti ai miei occhi le falene si muovevano con grazia e sembravano danzare. Io stesso mi sentivo pervaso da un’emozione nuova. Le parole di quella preghiera erano scese fin dentro al mio cuore. Allora, spinto da un impulso incontenibile, mi sono rivolto alla luna e l’ho invitata a danzare. Alla mia richiesta, il pallido astro si è riacceso di luce propria, mostrando finalmente i suoi malinconici e bellissimi occhi, mentre le stelle brillavano pulsanti. Quella danza non la scorderò mai. Per un attimo si sono uniti la terra con il cielo, la materia con lo spirito, l’uomo con Dio e un senso di completezza appagante ha riempito il mio essere. Quando tutto è finito, mi sono trovato nuovamente solo, ma più saggio e meno disperato.

È stato allora che mi sono accorto, almeno così è parso ai miei occhi di gatto, che accanto alla luna, chissà a quanti milioni di anni luce, una piccola stella pulsava più delle altre e diffondeva un chiarore che arrivava sull’erba, fino a lambirmi le zampette. Il mio cuore ha fatto una capriola, le vibrisse tremolavano e un brivido ha attraversato il mio corpo dalla testa alla coda. In quel momento, non ho potuto fare a meno di iniziare a miagolare verso il cielo, con quanto fiato avevo in gola: “Per favore, non lasciare che sia spenta quella stella. Con lei si spegnerebbe la speranza e un po’ anche la mia vita”.

Così, in quella notte indimenticabile, ho imparato che, fino a quando una voce si leverà al cielo, niente e nessuno potrà mai uccidere la speranza. Parola di Minnalouche, il gatto che ha danzato con la luna.


* * *


IL GATTO E LA LUNA
di William Butler Yeats


Traduzione dall’inglese di Ariodante Marianni

Il gatto andava qui e là
E la luna girava come trottola,
E il parente più stretto della luna,
Il gatto strisciante, guardò in alto.
Il nero Minnalouche fissò la luna,
Perché vagando e lagnandosi come gli piace
La pura gelida luce del cielo
Turbava il suo sangue animale.
Minnalouche corre nell’erba
Sollevando le zampe delicate.
Vuoi ballare, Minnalouche, vuoi ballare?
Quando due affini s’incontrano
Che c’è di meglio d’un invito al ballo?
Forse la luna può imparare
Stanca d’usanze cortigiane,
Un nuovo passo di danza.
Minnalouche striscia sull’erba
Da un punto all’altro illuminato dalla luna,
La sacra luna sopra il suo capo
È entrata in una nuova fase.
Sa Minnalouche che la sua pupilla
Passerà di mutamento in mutamento
E che da tonda a falce,
Svaria da falce a tonda?
Minnalouche striscia nell’erba
Solo, importante e saggio,
E alla luna mutevole solleva
I suoi occhi mutevoli.


patrizia.tortora60@gmail.com