Lo scorso 7 febbraio 2022 ci ha lasciato uno dei poeti più eclettici e puri della letteratura ispanoamericana. Membro della Generazione del ’60, insieme a Circe Maia, Washington Benavides, Hugo Achugar, Cristina Peri Rossi e Marosa di Giorgio Medici, Alfredo Fressia era nato a Montevideo il 2 agosto 1948 ed è venuto a mancare nella città di San Paolo, in Brasile, dopo una lunga malattia che aveva affrontato con l’ironia e la caparbietà che lo caratterizzavano. Era un ottimo traduttore, saggista e critico letterario, ma per me raffigurava molto di più. Prima di tutto era un grande amico, onesto e generoso, con il quale di tanto in tanto ci scambiavamo opinioni sulla letteratura universale. Condividevamo la passione per Baudelaire, per Rimbaud e per i surrealisti e non di rado ci inviavamo per posta elettronica dei componimenti tratti dalla migliore tradizione iberoamericana che, poi, puntualmente ci deliziavamo a commentare. Sì, Alfredo è stato un grande amico per me, anche se la nostra amicizia non è mai andata oltre il mondo virtuale di internet.
Il nostro primo contatto è avvenuto per ragioni lavorative, quando nel 2018 l’amico ed editore Alessio Brandolini mi diede la possibilità di pubblicare le prime traduzioni italiane di Fressia.{1} Questi era entusiasta del progetto di traduzione e ricordo che soprattutto nel primo periodo di elaborazione dell’edizione era solito inviarmi degli articoli di giornale e dei testi critici che erano stati pubblicati in precedenza su di lui e sulla sua lirica, con lo scopo di indagare e di confrontare più nel profondo il suo pensiero poetico. Non ho mai incontrato un poeta tanto affettuoso e premuroso, al punto che nel momento in cui l’edizione italiana della sua opera fu pronta, gli proposi di venire a presentarla insieme a me, in giro per l’Italia. Purtroppo, ciò non si avverò, dato che furono tanti gli impedimenti che non ci permisero di realizzare il suo sogno di un ritorno a Itaca. Già, perché l’Italia era parte della sua discendenza, la sentiva scorrere nel suo sangue e l’amava anche se non ne aveva mai toccato il suolo o respirato l’aria. Il nostro Ulisse non arrivò mai a Itaca perché il Covid-19 glielo impedì e, successivamente, la malattia e le cure mediche non gli permisero di allontanarsi dal suo domicilio.
Domicilio. Non è un termine che utilizzo casualmente. Negli anni ho imparato che ogni parola ha un significato ben definito e credo sempre più fermamente che il sinonimo assoluto in realtà non esista. Scrivo, dunque, di domicilio perché il cuore di Alfredo non aveva mai smesso di battere per la città natale di Montevideo e per l’Uruguay che considerava come la prima vera residenza. Amava sì il Brasile e i brasiliani, ma non aveva mai smesso di sentirsi uno straniero, un esule in un paese che lo aveva accolto come ricordava nel suo componimento 21 de marzo de 1976, inserito nella raccolta Eclipse. Cierta poesía:
I
Nadie quiso este canto
desalojado.
No fui yo quien lo quise
desterrado.
21 de marzo, otra estación
que nadie quiso,
en vano gritarán los hombres,
no la quieren,
nadie quiso esta frontera
desalojada,
nadie este día de otoño
clandestino.{2}
Esule, quindi, dal 1976, anno in cui la dittatura militare lo aveva destituito dal suo incarico come docente di letteratura francese e lo aveva obbligato a intraprendere la via dell’esilio, non soltanto per i suoi principi politici dissidenti secondo il regime dittatoriale, ma anche e soprattutto per il suo orientamento sessuale, dichiaratamente omosessuale e pertanto considerato facente parte della ‘feccia’ della società, insieme ad altri individui ritenuti sovversivi.
Ora che Alfredo ha concluso il suo esilio terreno, mi piace immaginarlo libero e sereno, a bighellonare nel suo Eden, in compagnia del suo Jean-Francis e delle sostanze angeliche che aveva cantato nella sua poesia. Il tema del paradiso perduto era una costante nella sua vita, un motivo che sentiva suo e che viveva da una duplice dimensione, dato che in lui la configurazione del concetto di esilio corrisponde da un lato all’esilio interiore, che percepisce dentro di sé a contatto con la società iper-virile del secolo scorso – molto più di oggi – e, dall’altro, equivale alla sua esclusione fisica dalla Montevideo-Eden, che coincide con il suo forzato allontanamento.
Riporto qualche verso del componimento Adán, in cui l’immagine dell’Eden è descritta sotto forma di ricordo nostalgico nel poeta:
[…]
Yo sé que te escapaste de velar una infancia
perdida en la memoria. Perdiste un paraíso
con un árbol cargado de imposibles manzanas,
y unos ríos bucólicos. ¿Tal vez sentiste alivio?
Hoy escribo estos versos y no espero respuestas,
son preguntas retóricas, no saldrá una mujer
ni un hombre ni un andrógino con sus falsas promesas
como de tu costilla tan llena de altivez.
Pero sé que estás solo, como se está en pecado,
materia de mis versos, nostalgia del Edén,
eres padre y hermano, el primer humillado
y siempre, siempre, siempre, el último a nacer.{3}
Desidero salutare Alfredo Fressia con un piccolo omaggio alla sua memoria. Propongo la traduzione di una rosa di componimenti inediti, ma di prossima pubblicazione,{4} in cui il nostro poeta ripercorre il ricordo degli avvenimenti degli ultimi tempi della sua esistenza con un tono drammatico e struggente, ma straordinariamente lucido.
{1}Cfr. A. Fressia, Radici del Paradiso. (Poesie 1998-2017), a cura di C. Spadola, Edizioni Fili d’Aquilone, coll. «I Fili» n. 26, Roma, 2018.
{2}“Nessuno volle questo canto / spaesato. / Non fui io a volerlo / esiliato. / 21 marzo, un’altra stagione / che nessuno volle, / gli uomini urleranno invano, / non la vogliono / nessuno volle questa frontiera / spaesata, / nessuno questo giorno autunnale / clandestino”. L’originale e la rispettiva traduzione del testo si trovano in Ivi, pp. 41-42.
{3}“So che hai evitato di vegliare una infanzia / perduta nella memoria. Hai perso un paradiso / con un albero carico di mele impossibili, / e di qualche fiume bucolico. Forse hai provato sollievo? // Oggi compongo questi versi e non aspetto risposte, / sono domande retoriche, non uscirà una donna / né un uomo né un androgino con false promesse / come dalla tua costola così piena di alterigia. // Ma so che sei solo, come si vive in peccato, / materia dei miei versi, nostalgia dell’Eden, / sei padre e fratello, il primo umiliato / y sempre, sempre, sempre, l’ultimo a nascere”. L’originale e la rispettiva traduzione del testo si trovano in Ivi, pp. 132-135.
{4}I componimenti inediti qui offerti alla memoria di Alfredo Fressia fanno parte della sua raccolta poetica Última Thule, di prossima pubblicazione per i tipi dell’editrice montevideana Yaugurú e per l’editrice argentina Lisboa.
* * *
RADIOTERAPIA
Piense en un velero, él se desliza
sobre el mar casi rosado del atardecer.
No se ve el joven marinero, sin embargo
piense en un pescador,
labra lento el paciente epitelio del mar.
Piense ahora en un tumor, casi inmóvil,
en la incierta galladura rosada
hundida a medias en la glándula
y repita que no, que no navega.
RADIOTERAPIA
Pensi a un veliero, questo scivola
sul mare quasi di colore rosa nel tramonto.
Il giovane marinaio non si vede, ma
pensi a un pescatore,
lento elabora il paziente epitelio del mare.
Pensi ora a un tumore, quasi immobile,
alla dubbiosa gallatura rosa
in parte sommersa nella ghiandola
e ripeti di no, che non vuoi navigare.
EL HUÉSPED
Arte Poética
Entre tú y yo, lector, hay un tercero
que no escribe ni lee. No sé de dónde vino
ese huésped con su equipaje leve.
El desván del poema estaba aseado
y anochece, ya es demasiado tarde.
La luna se levanta desde oriente
y estos versos plateados se iluminan.
El huésped canta una canción antigua,
su voz, lector, sólo tú y yo la oímos
junto a los versos que escribo y tú lees,
que seguirás leyendo cuando yo ya no esté,
y cuando no estés tú quedará la canción
de ese huésped que no escribe ni lee
y que canta en la noche entre versos de plata.
L’OSPITE
Arte Poetica
Tra me e te, lettore, c’è un terzo
che non scrive né legge. Non so da dove sia venuto
quest’ospite con il suo piccolo bagaglio.
Il loft della poesia era ordinato
e fa buio, ormai è troppo tardi.
La luna sorge da oriente
e questi versi argentati s’illuminano.
L’ospite canta una vecchia canzone,
la sua voce, lettore, la sentiamo soltanto tu ed io
insieme ai versi che scrivo e tu leggi,
che continuerai a leggere quando io non ci sarò più,
e quando non ci sarai tu rimarrà la canzone
da quest’ospite che non scrive e né legge
e che di notte canta tra versi d’argento.
SUPERVIVENCIA
Me senté en el jardín,
al fondo de la casa,
con un libro en la mano.
La primavera trajo
el primer caracol,
lo vi subiendo el tronco
del jazmín con su casa
a cuestas, su refugio
(carbonato de calcio,
me explicaron un día).
Subía el caracol
mientras yo recordaba
que una pizca de sal
podría disolverlo.
Me puse a leer vidas
de héroes antiguos
que dejan sus ciudades
para conquistar otras.
El libro describía
el grosor del escudo,
siete pieles de buey
protegen de las lanzas
pero no impedirán
el desquite inminente
del odio de los dioses,
la condena al exilio,
la tentación del fin.
Volví a entrar en la casa
y escribo este relato
en versos heptasílabos,
que parece un poema
y es sólo un amuleto.
Tiene forma de escudo
grabado en carbonato
con héroes en refugio
para sobrevivir
a otra primavera
entre las siete sílabas.
SOPRAVVIVENZA
Mi sedetti nel giardino,
dietro la casa,
con un libro in mano.
La primavera ha portato
la prima lumaca,
l’ho vista salire il fusto
del gelsomino con la sua casa
sulle spalle, il suo riparo
(carbonato di calcio,
mi hanno spiegato un giorno).
La lumaca saliva
mentre io ricordavo
che un pizzico di sale
avrebbe potuto dissolverla.
Mi misi a leggere vite
di eroi antichi
che lasciano le loro città
per conquistarne altre.
Il libro descriveva
lo spessore dello scudo,
sette pelli di bue
proteggono dalle lance
ma non impediranno
la vendetta imminente
dell’odio degli dèi,
la condanna all’esilio,
la tentazione della fine.
Sono rientrato a casa
e scrivo questa storia
in versi settenari,
che sembra una poesia
ed è solo un amuleto.
Ha la forma di uno scudo
intagliato con carbonato
con eroi in riparo
per sopravvivere
a un’altra primavera
tra le sette sillabe.
TANGO ROCK
Era un boliche de Durazno y Andes,
de strip-tease de muchachos y de baile.
Me sacó a bailar tango rock: “Yo llevo
el compás”, y me llevó noche adentro.
Hoy que el insomnio me lleva alma adentro
no sé si subo o bajo por mis huesos,
si tropiezo en la escala de mis años
ni qué cajones cierro y cuáles abren
la memoria de cuándo y de qué piano
llegan notas de un tango y los muchachos
que bailaron conmigo –y me llevaban–
en el boliche de Durazno y Andes.
TANGO ROCK
Era un caffè all’angolo tra via Durazno e via Andes,
dove si faceva strip-tease di ragazzi e si ballava.
Mi chiese di ballare il tango rock: “Sarò io
che ti conduco” e mi trascinò nel centro della notte.
Oggi che l’insonnia mi trascina l’anima dentro
non so se salgo o se scendo lungo le mie ossa,
se inciampo sulla scala dei miei anni
né quali casse chiudo e quali aprono
la memoria da quando e da quale piano
arrivano le note di un tango e i ragazzi
che hanno ballato con me – e mi portavano –
al caffè nell’angolo tra via Durazno e via Andes.
POETA Y OLVIDO
Y para qué servirán los recuerdos,
asomarse al abismo del pasado
hiriéndose los pies en la escollera
construida con piedras de otras vidas.
De qué sirven los ángeles nostálgicos,
sobrevuelan los mapas del despojo,
fantasmas que se adhieren a las alegorías,
naufragios que tal vez nunca existieron.
El poeta en un muelle sin recuerdos,
una estatua de sal disuelta por las olas,
ya no lee en vestigios, ganó el mar,
la medusa, el olvido, el horizonte.
POETA E OBLIO
E a cosa serviranno i ricordi,
affacciarsi sull’abisso del passato
e ferirsi i piedi sulla scogliera
costruita con pietre di altre vite?
A cosa servono gli angeli nostalgici?
sorvolano le mappe dello spoglio,
fantasmi che aderiscono alle allegorie,
naufragi che forse non sono mai esistiti.
Il poeta su un molo senza ricordi,
una statua di sale sciolta nelle onde,
non legge più in vestigia, ha vinto il mare,
la medusa, l’oblio, l’orizzonte.
PARAÍSO
Tan alto el paraíso. Hablo del árbol,
porque hoy quiero cubrirlo de palabras.
Acariciar con nombres, decir árbol
como se dice amor, o como dicen padre.
Cinamomo, agriaz, piocha, canelo,
tanta palabra hermosa nombra al árbol
humilde y hechizado de la infancia
que en la calle de un barrio de otro tiempo
se llamó, por su gloria, paraíso.
Donde el gorrión se vuelve mensajero
un niño atravesaba los veranos,
y trepado a la frágil rama oía
cardenales que iban a trinar,
su evidente lugar de paraíso.
Entre el silencio húmedo del árbol
y el cristalino cantar de los pájaros
supo el niño su sino de poeta,
la magia dócil de la enjundia verde
que sigue refugiándose en la sombra
montevideana de los paraísos.
PARADISO
Talmente alto il paradiso. Parlo dell’albero
perché oggi voglio ricoprirlo di parole.
Accarezzare con nomi, dire albero
come si dice amore, o come dicono padre.
Cinnamomo, cannella, martellina, myrsine,
tante parole belle nominano l’albero
modesto e ammaliante dell’infanzia
che per la strada di un rione di altri tempi
si chiamava, per la sua gloria, paradiso.
Laddove il passero diventa messaggero
un bimbo attraversava le estati
e arrampicato sul fragile ramo sentiva
cardellini che andavano a cinguettare,
il loro evidente luogo di paradiso.
Tra il silenzio umido dell’albero
e il canto cristallino degli uccelli
il bimbo scoprì il suo destino di poeta,
la docile magia della verde sostanza
che continua a rifugiarsi nell’ombra
montevideana dei paradisi.
LA TAPERA
Primero se rajó, después cayó
la primera pared, como una tapia
al fondo de la casa, en el jardín
que los yuyos dañinos invadieron.
Y las puertas se hincharon de humedad,
ya no abren ni cierran, las ventanas
el viento las selló o fueron los años.
Ya no hay caranchos sobre la tapera.
Nadie yace allí dentro, ni los zorros
que buscaban entrar para morir.
Después cayeron las tapias del frente,
y un callejón de viento era la casa.
Sólo alimañas hacían sus nidos
bajo patas de catres o de mesas
que los vientos, las lluvias de verano
o la helada durante los inviernos
convirtieron en polvo o piedra estéril.
Las tapias laterales resistieron
una estación o dos, no más que eso.
Lo que restó fue un muro, terco, mínimo.
Sin yuyos, sin musgo, sólo una piedra.
LA BARACCA
Prima si spaccò, dopo crollò
la prima parete, come un muro
in fondo alla casa, nel giardino
che le erbe cattive avevano invaso.
E le porte si gonfiarono per l’umidità,
ormai non aprono né chiudono più, le finestre
sono state sigillate dal vento o forse dagli anni.
Non ci sono più caracarà sulla baracca.
Là dentro non ci dorme più nessuno, nemmeno le volpi
che una volta entravano lì per morire.
Dopo sono crollati i muri della parte anteriore
e la casa è risultata un vicolo di vento.
Soltanto bestiacce facevano le tane
sotto le gambe delle brandine o dei tavoli
che il vento, la pioggia estiva
o la gelata durante l’inverno
trasformavano in polvere o pietra sterile.
I muri laterali resistettero
una stagione o due, non di più.
Ciò che rimase è stato un muro, tenace, minuto.
Senza erbacce, senza muschio, soltanto una pietra.
TAROT, XIII
Cuando aún mana el agua y es alegre la sed
y la tierra es promesa abierta a la semilla
y el fuego hornea el pan y templa la esperanza,
paciente, en el silencio, estaba allí el Tarot
con los cuatro elementos de tu vida y del Mundo,
el Amor, las Estrellas, el Ermitaño-guía
desde tu desamparo el día que entreviste
la Torre en el abismo abierto frente a ti.
Y esperar fue un destino hecho de trampas, buscas,
estrategias, recursos para no ser, no ver
aquel Arcano XIII, instante detenido
del que, tú lo sabías, ya no podrás huir.
Entre el muro macizo y tú está el Tarot.
Con el día primero también venía el último,
el sello de la Carta que te trajo hasta aquí,
donde hace noche y duele como otro nacimiento,
el de antes de la aurora por donde se atraviesa
la hora en que se nace, la hora en que se muere.
TAROCCO, XIII
Quando l’acqua sgorga ancora e la sete è allegra
e la terra è promessa aperta alla semina
e il fuoco cuoce il pane e addolcisce la speranza,
paziente, nel silenzio, il Tarocco era laggiù
con i quattro elementi della tua vita e del Mondo,
l’Amor, le Stelle, l’Eremita-guida
dal tuo abbandono il giorno che intravedesti
la Torre nell’abisso aperto dinanzi a te.
E l’attesa è stato un destino fatto di tranelli, di busche,
strategie, ricorsi per non essere, non vedere
quell’Arcano XIII, istante intrappolato
da cui, tu lo sapevi, non potrai più fuggire.
Tra te e il muro massiccio si trova il Tarocco.
Con il primo giorno arrivava anche l’ultimo,
il sigillo della Carta che ti ha portato fin qui,
dove arriva la notte e fa male come un’altra nascita,
quella di prima dell’aurora attraverso la quale passa
l’ora in cui si nasce, l’ora in cui si muore.
YO SÉ QUE MERODEA
Merodea, yo sé que merodea,
que viene desde antes de la infancia
y brilla en la luz fría de un ocaso.
Merodea, sus pasos no se oyen,
nace y muere en la noche de Saturno,
trae en su insomnio luna y terciopelo.
Yo presiento sus pasos sigilosos,
son huellas en la arena de una playa
sin arena ni límites ni huellas.
Merodea también en la esperanza
incierta como el día de la fuga
del prisionero de una celda aciaga.
Y merodea en las palabras ávidas,
las que arden certeras en la herida
y entran recto como una hipotenusa.
A cada nacimiento merodea,
vela tu sueño junto a las cenizas
de tu madre dispersas en el tiempo.
Y si llega el olvido de ala azul
y pasan días mansos como bueyes
sin otro gozo que acercarse al fin,
merodea, verás que merodea
sin peso y gravedad, como el destino
ya cumplido a la hora señalada.
IO SO CHE GIRONZOLA
Gironzola, io so che gironzola,
che viene da prima dell’infanzia
e splende nella luce fredda di un tramonto.
Gironzola, i suoi passi non si sentono,
nasce e muore nella notte di Saturno,
nella sua insonnia porta luna e velluto.
Io presento i suoi passi furtivi,
sono orme sulla sabbia di una spiaggia
senza sabbia né confini né orme.
Gironzola anche nella speranza
incerta come il giorno della fuga
del prigioniero di una cella funesta.
E gironzola nelle parole avide,
quelle che bruciano sicure nella ferita
ed entrano rettilinee come un’ipotenusa.
Ad ogni nascita gironzola,
sorveglia il tuo sonno insieme alle ceneri
di tua madre disperse nel tempo.
E se arriva l’oblio dall’ala blu
e passano i giorni mansueti come buoi
con l’unico piacere di avvicinarsi alla fine,
gironzola, vedrai che gironzola
senza peso né gravità, come il destino
ormai compiuto all’ora indicata.
ASÍ
Mensurar las paredes de este cuarto
Absorber el silencio de la puerta
Girar la cerradura para siempre.
COSÌ
Misurare le pareti di questa camera
Assorbire il silenzio dalla porta
Girare il chiavistello per sempre.
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Alfredo Fressia poeta, traduttore e critico letterario, nasce a Montevideo nel 1948. Figlio di un italiano e di una spagnola emigrati in Uruguay. Insegna lingua e letteratura francese fino al 1976 quando viene destituito dalla dittatura militare. Costretto all’esilio, si trasferisce in Brasile dove lavora come docente e critico letterario e qui muore nel febbraio 2022.
Ha pubblicato: Un esqueleto azul y otra agonia (1973), Clave final (1982), Noticias extranjeras (1984), Destino: Rua Aurora (1986), Frontera móvil (1997), El futuro/O futuro (1998), Veloz eternidad (1999), Senryu o EI árbol de las silabas (2008), Ciudad de papel. Crónicas en movimiento (2009), Poeta en el Eden (2012), La mar en medio (2017). Tra le antologie si segnalano: Eclipse. Cierta poesia 1973-2003 (2003) e Susurro Sur (2016).
Nel 2018 è stata pubblicata in Italia l’antologia Radici del paradiso (Poesie 1998 – 2012), Roma, Edizioni Fili d’Aquilone, a cura di Carmelo Andrea Spadola.
carmeloandrea.spadola@gmail.com
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