FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 37
gennaio/marzo 2015

D'aria e di terra

 

DALL'ALTO

di Rossella Maiore Tamponi



*

Alla vostra sinistra le alture,
la macchia, pochi alberi e
il primo Forte in pietra.
Alle spalle prosegue
la linea difensiva,
il fantasma delle mura
con quello che resta dei tornanti,
strappato il doppio senso.

Alla vostra destra il castagneto,
inciso con dolore e in più punti
dall’asfalto, in tutta la sua umidità
nel carname di ombre.

Davanti a voi il Tirreno,
invaso da un colore
che nomina di nuovo la distanza,
allude a un Sud stracarico di assunti,
di illusioni supreme.

L’acqua dal sole.
Se la luce facesse rumore
qui

sarebbe di spade.


*

Non parlare, ti prego non parlare
davanti all’immodestia del paesaggio, agli ocra di Van Gogh,
alle sue bruciature. Potrei anche odiarti per questo,
se dicessi qualcosa,
un qualunque commento, un aggettivo, ora
di fronte alle colline
penetrate sul fianco dal primo pomeriggio -
la stoccata di sole, la frattura in un quarzo.

Ci dev’essere anche in te una coscienza
che risvegliandosi al centro del giorno
comanda chiaramente di tacere.


*

È una tempesta di luci sbieche,
demoni di giallo.
Magnifica.     Eppure,
resta molto di più quello che non vedi -

i parassiti per esempio e i funghi,
lo spavento delle lucertole, oppure
nelle case piccole da qui, nei palazzi,
le donne quasi giovani che hanno ancora
le labbra assegnate a una frase malferma.


*

L’ ordine del bosco dopo l’asfalto della strada.
La giusta distanza tra gli alberi,
le dicerie delle foglie secche a quelle nuove.
Le diagonali del sole
in perforazioni accese   -   “Oltre
gli orti ancora bui, le chiese e i culmini
il cielo era chiaro in cima ai rami
…”*.

È tutto vero, le
fenditure lungo la corteccia dove
ballano insetti,
la tragedia delle zone d’ombra -   “Perché
pietà per quell’ombra, perché
la scongiuro se scorgo
le orme di minuscole ferite
…”*,

un’ idea delle tane. Le poche
parole appese ai tronchi
si portano in spalla
i divieti di caccia e noi,
che non li leggeremo mai

(“Rispondo che è pietà per l’avvenire … …”)*.

*Franco Fortini, Composita solvantur, Questo verso


*

Neppure dall’alto
si aprono amnistie o idee di grazia
per i quartieri oblunghi,
per le periferie in colori di ossido
sfamate lungo il fiume.


*

(E’ chiaro che
la luna trasparente
meriterebbe pagine protette,
o taciturne allusioni, in crescendo).


*

Ma a volte la luce è ingiusta.
E la vita a raschiare il vuoto lucente
che avrebbe potuto essere in me.


*

Ho pensato al fare dentro l’esserci.
Al colore come a un fantasma del desiderio.
Alla Terra che sfama il corpo e a volte
affama l’anima. Non per come è, ma per come
disponiamo di lei.


*

Dall’alto ci sono cose che non vedi
perché troppo piccole, altre
perché sono lontane, altre ancora
perché in basso o sepolte.
Ci sono cose che non vedi
perché accadranno a breve,
un arcobaleno ad esempio, sopra quel promontorio
in un giorno di ottobre col cielo impazzito. E poi
ci sono cose che non vedi perché ti sono accadute e invece

bisognava trovarle.

“Cosa avevi davanti,

se per davanti s’intende
il tempo della vita, o il falsopiano
che lieve degrada verso l’orizzonte,
il tesoro che portavi tra le gambe,
all’inguine”- *

*Cesare Viviani, “Infinita fine”.


*

Ginestre.
I rami a pioli sui pini deprivati.
Tappi a corona ficcati nel terreno, macchiette di stelle.
Il fango a risultare i muri a secco.
Bicchieri di carta nelle foglie.
Ripido un bosco.
Il sacco rotto dei rifiuti
e i rifiuti sparsi dappertutto.

Il muschio sulle mura. L’erba
in un grumo di terra
che svicola dalle fenditure.

Camere figurate nel bosco,
separate dai tronchi come le stanze di un canto.

Il bordo, la cunetta,
dove finisce l’asfalto e inizia la natura,
o dove finirebbe la distanza e inizierebbe il cammino.


*

Partirai da qui
nei prossimi trecento giorni,
dal sole del mattino
come uno sconto di pena.

Passa, dove tutti sono già passati,
riempi ogni spazio, allarga il cerchio,
si fermeranno a pensarti gli animali,
le bordure coi boccioli forzosi,
le voci bianche dal fondo.

Qualcuno spegnerà i lampioni,
governerà la luce in un
fiotto di onnipotenza. Da qui
una volta passarono i cavalli,
la strada conserva,
come dosi omeopatiche di storia,
gli spostamenti dell’aria.