FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 29
gennaio/marzo 2013

Velocità

 

RAPSODIA

di Francesco Macciò



                  a Ilí, per un bodhrán in viaggio dal Vermont


                  c'è un legame stretto tra lentezza e memoria,
                  tra velocità e oblio

                  Milan Kundera                        


                  veritas patefacit se ipsam et falsum

I

È segno incolore, dimora
spaesata ogni gesto di pace,
un saluto, un abbraccio,
che un niente all’improvviso divide
e tramuta in sventura.
Nascono dalla stessa pianta
velocemente
il bene e il male
e con cento teste di cenere
cresce incessante la nostra paura.


II

Afferrala per il ciuffo
rapidamente, perché sai
nella nuca è calva, colei
ch’è tanto posta in croce
anche da chi dovrebbe amarla.
I grandi cerchi d’acqua,
come un respiro, un dettaglio
che si frantuma, nascono
tutti dal medesimo punto
che in un istante li muove
come verso un sonno
e in un sonno scompare.


III

Se non hai più voce prova a rubarla
a chi non può parlare,
affrettati ora che l’alba
è già nel rosso di un tramonto.
Anche la terra si deformerà
in una crosta molle
senza misura, ma avvolta
nel suo mantello intatto durerà
nei secoli come la notte
la nostra smisurata paura.


IV

La velocità è una variazione
di grandezza, una parola bucata
da restaurare. La velocità
accecante del ghepardo, del falco
in picchiata... la velocità
nel terso stupore alla finestra
del vento, del mare.
La velocità è complementare
alla lentezza. La velocità
di fuga, sai, è la velocità
minima iniziale a cui un oggetto
senza propulsione si muove
per potersi allontanare.


V

Una forza mutilante è l’amore,
dimora dorata di povertà,
ponte senza arcate che spezza
e congiunge rive lontane.
Nei tuoi occhi, se chiudo i miei,
l’azzurro assorto d’oltremare,
l’incanto e la paura,
una fuga a perdifiato nei campi,
una rosa purpurea trafitta
che disfiora e vive a metà.


VI

Squarcia il vento un cielo duro,
alle folate la pioggia apre
nel chiarore dei monti varchi
invisibili. Férmati un poco,
arresta il passo in questo luogo.
Consurge puella! Ci sono fuochi
ancora accesi e altra terra
solforosa e volatile.
Si piega come un arco
tra un dono e la memoria
quel ramo di ciliegio, ci sfiora
con le sue piccole foglie avvizzite.
Ci sono radure, sai, e cavalli
veloci pronti a partire
e vecchie stazioni di sosta
nell’intrico della foresta.


VII

La velocità è cieca. Avvince,
avvolge, impedisce di vedere.
Non è piombo l’accidia, mi dici,
e neppure indizio di ogni male
ma un inizio obliquo di lentezza.
Risalgono fino alla superficie
liscia dell’acqua
le bolle d’aria senza fretta
e in un punto invisibile
si dissolvono per ricomporsi
e tornare alla vita.
Soltanto la polvere
preserva ogni traccia,
ogni cosa che ricade in se stessa
e disseccandosi scompare.


VIII

La neve che cade...
che appanna i vetri
della finestra, i campi,
i passi sordi di mia madre...
la neve ostinata che salva
il torpore di un paesaggio
incompiuto ed elementare.
Nessuno s’affretta, ogni cosa
rimane immobile e indifesa
come un suono disarticolato
sulla pagina di un sillabario.
Non è poco questo giorno
assurdo e sconfinato
nella luce breve del solstizio,
non è follia nell’attesa
immaginare un altro giorno
che nasce e si consuma
senza perdita e senza profitto,
così inutile e umano...


IX

A noi che a nostro danno
abbiamo generato un mondo
che non serve, moltiplicando
velocemente ogni altro inganno,
questo giorno di scadenze
interrotte, di agende da annullare,
questo silenzio di neve
è un breve passaggio scombinato,
un richiamo impercettibile
come un seme, un fiore che le parole
non sanno più nominare.


X

Si sgranano le dita sul tamburo
piegano la lentezza, la materia,
il fragore dell’oceano a Inishmore,
del vento che sradica
e lascia arida e salata la terra.
Ai bordi il suono è più acuto,
colpisce veloce, scompagina
la memoria chiusa nelle cose,
è assordante come il sangue
dei bambini uccisi a Gaza.
Sono colpi esplosi contro il Sole,
contro gli dèi e le stelle,
se non trema nel vuoto la mano
e non s’arresta nel bianco di un foglio
dove tutto ancora può accadere.


(dicembre 2012 – gennaio 2013)


La silloge è inedita.


Note dell’Autore

Il verso in corsivo al movimento II, che allude alla Fortuna, è ricavato da Dante (Inferno, VII, 91).

L’incipit del movimento VIII è quello di una filastrocca infantile.

Il movimento X ha un avvio percussivo, dettato dalla timbrica del bodhrán Glen Velez, un modello speciale di tamburo irlandese che prende il nome da un suo eccezionale interprete; Inishmore è il nome della maggiore delle isole Aran, al largo delle coste occidentali d’Irlanda; al verso 10 il riferimento è ai bombardamenti israeliani di novembre sulla Striscia di Gaza.


francesco.maccio@fastwebnet.it