FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 26
aprile/giugno 2012

Botteghe

 

PERIFERIA E POESIA
Le periferie urbane nella poesia contemporanea italiana

di Miriam Romano



Il centro geografico e storico di ogni città – inteso come luogo entro il quale sono racchiuse le principali attività politiche, commerciali, ricreative, economiche, del terziario – è da sempre considerato il cuore pulsante di ogni organismo urbano. Al contempo gli angoli più estremi sono visti con una certa diffidenza o timore poiché legati all’idea di disagio sociale, degrado, mancanza di stimoli artistici e culturali. Queste considerazioni oggi tendono via, via a rispecchiare sempre meno l’immagine delle città italiane, in quanto molte periferie hanno acquisito peculiarità che le rendono più vitali del centro. Quest’ultimo infatti, ancorato a quell’istituzionalizzazione che lo caratterizza, tende sempre più verso la staticità e l’immutabilità. La periferia, invece, in virtù della sua caratteristica principale, ovvero l’essere un territorio in costante sviluppo e metamorfosi, ha fatto della dinamicità una forza, un punto di partenza per sviluppo e crescita. In un tempo di crisi economica come quello nel quale ci troviamo è dunque in essa che confluiscono attività, idee, persone diverse per rango sociale e razza. È in questi luoghi più esterni che si sviluppano nuove attività commerciali, lontano dal centro troppo costoso per investirvi economicamente.

In passato i cittadini, in cerca d’una sorta di riscatto psicologico, si spostavano dalla periferia al centro. Oggi, invece, la tendenza è quella di muoversi in senso contrario, a volte per seguire un’opportunità lavorativa o, più semplicemente, per allontanarsi dal caos e dallo smog del centro, verso spazi urbani a dimensione umana, con più verde e meno inquinamento.
Ogni città italiana possiede alcune caratteristica che la rendono unica e speciale. Ognuna, inoltre, proprio in virtù di queste qualità, ha sviluppato un proprio tipo di periferia. La città, infatti, tende a plasmare l’aspetto estetico e quello funzionale anche delle sue aree più remote. Nella periferia, dunque, si respira l’aria della città a cui essa appartiene, eppure, ognuna appare capace, proprio in virtù di quelle caratteristiche che la distinguono dal centro, di avere un’identità propria. Come scrive Mario Santagostini la periferia è “un’anima decentrata, una esteriorità astratta e assoluta, una sorta di ‘fuori’ sempre più visibile”.

Da sempre la periferia è stata capace di affascinare e ispirare gli autori di letteratura in prosa e in poesia che hanno dedicato a essa testi o versi in lingua italiana e in dialetto. Questo merito le è stato riconosciuto anche dalla critica che negli ultimi anni sembra aver sviluppato una certa sensibilità nei confronti del tema. È da sottolineare, però, che spesso gli studi critici si sono soffermati in modo più assiduo sulla presenza del tema della periferia nelle opere in prosa. Poco si è parlato del rapporto tra periferia e poesia.
Un esempio eloquente di questa tendenza è il XIII Congresso dell’associazione degli italianisti (ADI) che nel 2009 si è tenuto a Foggia sul tema “La letteratura degli italiani. Centri e Periferie”. Lo scopo principale dell’evento era quello di analizzare il rapporto tra la letteratura italiana e le periferie delle nostre città nei diversi momenti storici. Partendo dal Trecento con la Divina Commedia di Dante si è passati al rinascimento napoletano, poi alle periferie nel Barocco, da quella romana a quella di Venezia, per attraversare da lì tutti i periodi della letteratura fino a giungere, nell’ultima sezione di incontri, all’Ottocento e al Novecento con la letteratura triestina, Testori, Svevo. In questo Congresso del legame tra letteratura contemporanea e periferia si è parlato pochissimo e solo per quanto riguarda la prosa.
Eppure la poesia, soprattutto quella contemporanea, ha saputo cogliere ampliamente e con attenzione la ricchezza di occasioni poetiche offerte dalle zone esterne ai centri urbani. La periferia di Napoli, Roma, Milano, così come quella di altre città italiane, è oggi una delle maggiori fonti di ispirazione per i poeti.

Se però da un lato può risultare più agevole individuare, categorizzare e analizzare la poesia della periferia in riferimento alle aree non metropolitane, ovvero alla campagna esterna all’aera urbana, piuttosto che ai paesini che gravitano nell’orbita di una città, dall’altra parte è significativamente più complesso fare uno studio critico che vada a rintracciare e studiare la poesia dedicata agli angoli più estremi, ma sempre compresi nel territorio urbano.
La critica contemporanea che si è concentrata sull’analisi degli autori di periferia non sempre si è soffermata su questo secondo tipo di periferia, quella cittadina, tendendo piuttosto a comprendere i poeti che ne parlano nel gruppo indistinto degli autori di periferia in generale, o, più spesso, considerandoli semplicemente scrittori della città. Questo secondo approccio della critica è, in base alle valutazioni sopra riportate sulle caratteristiche che oggi assume la periferia, quello più corretto. È comunque doveroso dire che, per la particolarità dell’argomento “periferia urbana”, vale la pena soffermarsi su ragionamenti critici mirati su questo tema, al fine di analizzare e comprendere i meccanismi attraverso i quali questi angoli più o meno remoti di città sono capaci di ispirare i poeti rispetto alla città in generale.

Molti dei poeti che parlano della periferia urbana sono legati ad essa da un profondo senso di appartenenza e di compartecipazione che emerge costantemente nei testi. Analizzando le loro biografie, infatti, si scopre che alcuni di essi hanno trascorso quasi tutta la vita in periferia, come nel caso di Mario Santagostini. Altri poeti, invece, come Alessio Brandolini e Claudio Damiani, vi si sono trasferiti per motivi di lavoro, familiari o semplicemente l’hanno preferita al centro. Questi autori, pur non essendo nati nella periferia cittadina l’hanno scelta, hanno deciso di piantare lì le proprie radici. Al contempo anche essi si sono sentiti scelti. Le loro poesie sono intrise d’un forte senso di adesione a questi luoghi che hanno avuto la capacità di diventare un importante punto di riferimento nelle loro vite.
I poeti contemporanei che tanto amano la propria città si fanno portavoci delle caratteristiche della periferia alla quale appartengono. Attraverso l’analisi dei testi poetici e il confronto tra le opere dei diversi autori è possibile comprendere a fondo l’anima della periferia di cui essi parlano nei loro componimenti, nonché cogliere le differenze tra le periferie dei diversi centri urbani italiani. Bisogna sottolineare, però, che in virtù del legame che si istaura tra il poeta e la propria città, la maggior parte di essi non circoscrive la propria produzione agli angoli più estremi della stessa, ma dedica i propri versi anche al suo centro.

Uno studio dei componimenti poetici di questi autori risulta, perciò, particolarmente interessante in quanto permette di analizzare i legami che intercorrono tra entrambe le aree della città e fare un confronto circa i meccanismi attraverso i quali la periferia e il centro sono capaci di generare l’ispirazione poetica. Questo è il caso, ad esempio, della poetessa milanese Giovanna Zoboli, la cui raccolta A Milano nessuno è milanese (2004), dedicata al capoluogo lombardo, risulta essere un vero e proprio alternarsi di testi poetici che trovano ispirazione da aree del centro come Brera, via Montenapoleone e da aree che, come piazza Loreto o via Padova appartengono invece alla periferia della città. Un uscire e un rientrare, dal dentro al fuori, dal centro alla periferia, e viceversa, oltrepassando continuamente un confine che, seppur geograficamente tracciato, risulta quasi impercettibile a chi legge i versi della poetessa milanese.

Le due città le cui periferie sembrano maggiormente capaci di ispirare i poeti contemporanei sono quelle di Roma e di Milano. Queste due aree urbane possiedono periferie molto diverse. Tali differenze sono riscontrabili anche mettendo a confronto le opere di poeti che dedicano loro alcuni componimenti.
Innanzitutto è necessario sottolineare che per queste due città non si dovrebbe parlate di periferia ma di periferie. Sia per la città laziale che per quella lombarda il territorio urbano si è sviluppato in modo tale che ogni angolo di periferia, pur rispecchiando le caratteristiche e i tratti peculiari che distinguono la città di cui fanno parte, ha assunto una propria specifica fisionomia. Ad esempio, analizzando la periferia romana, si può notare come le diverse aree più esterne della città si dispongano come anelli concentrici attorno al suo centro. Tali fasce o anelli, come accade per le increspature sempre più sfumate e ampie che si formano intorno a un punto nell’acqua, perdono i tratti peculiari del centro man mano che si allontanano da esso, fino a giungere ai confini più esterni della città dove tendono a confondersi con la campagna romana.

A Milano, invece, la periferia ha subito un’evoluzione totalmente diversa da quella della capitale. Analizzando le caratteristiche peculiari delle diverse aree della periferia milanese, infatti, è possibile notare come per ognuna di esse il fatto di possedere caratteri più o meno simili a quelli del centro non dipenda dalla maggiore o minore vicinanza dallo stesso, ma dalle vocazioni che appartengono a ciascun’area. Le diverse zone della periferia milanese, dunque, si possono immaginare disposte sul territorio quasi a macchia di leopardo, piuttosto che a cerchi concentrici. Questa peculiarità della città lombarda è stata capace di ispirare molti poeti contemporanei, i quali hanno dedicato poesie a zone specifiche della sua periferia individuandone e sottolineandone la precisa vocazione.
Maurizio Cucchi, ad esempio, in Poesie della fonte (1993) dedica un testo poetico alla Bovisa, zona periferica a nord della città dalle caratteristiche prevalentemente industriali, ma anche Giovanna Zoboli nella poesia Naviglio Grande, appartenente alla raccolta sopra citata sottolinea come una zona, quella dei Navigli, sia stata capace di sfruttare (nel bene e nel male) le proprie peculiarità, l’essere attraversata da corsi d’acqua, per divenire un’area cittadina di forte tendenza, uno dei simboli principali della cosiddetta “Milano da bere”, trasformandosi così da “area periferica” in zona di riferimento per l’economia e la movida milanese.

Nella poesia dedicata ai luoghi più estremi del territorio di Roma e Milano è possibile individuare dei leitmotiv: dei fili rossi attraversano la produzione poetica degli autori delle due città, tematiche presenti, ovviamente, anche nei testi poetici dedicati alla periferie urbane delle altre città italiane.
Quello che ispira i poeti romani e milanesi sono i luoghi fisici della periferia: case, monumenti, negozi, fabbriche, persone e gli spazi rimasti vuoti. La capacità di questi elementi di generare l’ispirazione è particolarmente spiccata proprio per la loro facoltà di stimolare la fantasia, l’emozione e il ricordo. Quest’ultimo elemento, quello del ricordo, è uno dei temi più affascinanti della poesia della periferia. Se infatti il tema dei luoghi fisici della città risulta essere un motivo guida comune anche nei versi dedicati al centro cittadino, quello della memoria è un tema che nella poesia della periferia urbana ha uno spazio decisivo.

Molti poeti contemporanei vivono o hanno vissuto in periferia e l’esperienza biografica conduce un autore a creare legami così profondi con questi luoghi da rendere gli angoli remoti della città – una fabbrica in disuso, una strada semibuia o delle case popolari a ridosso della campagna – capaci di evocare in loro forti emozioni, di mescolare vita passata e presente, di generare intensa poesia.
Il tema del ricordo è rintracciabile nella produzione poetica di molti autori contemporanei milanesi come Maurizio Cucchi, Mario Santagostini, Franco Loi. I loro componimenti sono intrisi di racconti di vicende personali, di emozioni e antiche sensazioni riportate alla luce da luoghi specifici della città. Via Teodosio, via Wildt diventano per il poeta dialettale Franco Loi occasioni per immergersi nei ricordi di un’infanzia e un’adolescenza vissute in una periferia difficile da vivere, ma capace di regalare sogni e speranze.

Uno dei temi principali della poesia della periferia urbana è infine quello del viaggio all’interno dei luoghi più estremi della città. Tale tema è legato strettamente a quello della strada. Via Appia Antica per Giovanna Zoboli rappresenta un percorso da fare a Roma per rievocare le memorie di una città dalle radici profondamente ancorate nella storia. Le strade della periferia milanese per Cucchi, Santagostini o Loi sono itinerari che si legano e s’intrecciano ai propri ricordi, itinerari da percorrere in solitudine o accompagnati dai propri affetti siano essi persone o animali, magari di notte quando la mente è più libera di viaggiare spinta dai giochi di luci e ombre creati dai lampioni e dal chiaro di luna che rievocano il passato, sfrangiano il pensiero o danno diverse e nuove forme ai desideri.




ALCUNE POESIE DEDICATE ALLA
PERIFERIA ROMANA E MILANESE


Giovanna Zoboli

    *

    Dal grembo terreno del marzo
    per fervore dei biancospini s’affina
    l’aria di acqua e di fango.
    Di frutti si accende la memoria, il tepore
    dei corpi la breve stagione della mano.
    Muove fra i campi la spoglia d’anime,
    fra pallide dimore, fervida di preghiere,
    fra sepolture.

da La solitudine dell’ospite, Manni, 2002


    LORETO

    Mi dicono che qui c’è stato un crimine
    di piazza – ora invece grazie alla tecnologia
    sottoterra ha aperto un enorme negozio
    di gastronomia – ci calano dall’alto
    prosciutti formaggi lasagne surgelate
    quintali e quintali di derrate – prima però
    nel ventre la piazza nascondeva
    una smisurata macelleria – vanto
    dei commercianti – sfilavano maiali
    scannati, batterie di tacchini,
    quarti di bue – di sopra intanto
    la piazza continuava la sua perfetta vita
    circolare – gente macchine autobus

    la città – si sa – che gran caos
    che traffico
    quanta violenza

da A Milano nessuno è milanese, LietoColle, 2004

 

Alessio Brandolini

    LARGO PRENESTE

    Hanno cicatrici ovunque e lo sguardo che si dilata
    incastrato tra le dita nude dei piedi e delle mani
    lumache uscite fuori per via di questo panorama
    di baracche e cartoni che circondano la marana.
    Non gemano i muri crepati della vecchia fabbrica
    i cadaveri nascosti qui sotto la rendono necessaria
    in qualche modo si lavora ancora, si sopravvive
    trovi persino i panni stesi su fili di ferro arrugginito
    i fuochi con la zuppa di verdure o würstel o legumi.
    Molti dell’est con in faccia gli schiaffi del sole
    pochi gli africani: stanno tre giorni poi scappano
    perché i loro corpi
    umiliati non ce la fanno a restare immobili
    per via di quel sogno che ancora persiste…

    Qui nell’inferno rimangono quelli che tutto
    hanno perduto e nulla hanno trovato
    se non le lamiere i rifiuti le porte d’aria
    la marana di via Prenestina sepolta dai ruderi
    dell’ex fabbrica e lì d’estate salgono su tralicci
    in bilico sfidano la morte tuffandosi nell’acqua
    attenti a non sbattere la testa nel basso fondale.
    Sono attori poi nel tornare a galla e nel mostrare
    i pochi denti cariati e sporgenti la bocca che saluta
    stretta sbieca e la lingua loro mischiata a frammenti
    – che Dante certo amerebbe – della lingua italiana.

da Il male inconsapevole, Il Ramo d’Oro, 2005


    *

    Ho te, fino a piazza Vittorio
    poi al volo scendo dal tram
    cammino e riprendo a pensare
    ancora di più al fiume che scorre
    tra le gambe dei palazzi umbertini
    i treni della stazione centrale,
    dona umidità ai negozi (ora molti
    sono cinesi), agli uffici e alle case.

    Ho te, insisto, fino a Porta Maggiore
    salto il tram e prendo via Casilina
    supero a piedi il raccordo anulare
    la ragnatela esterna di Torre Angela
    quella verde di Pantano Borghese
    svolto a destra e ritrovo i vigneti
    a passo lento risalgo il paese.

    Tocco la pioggia con il naso
    mi lascio portare dal vento.
    Ho te fino al confine
    lo dico per la ventunesima volta
    e dovrei pensarci più spesso
    sì, certo, rifletterci sopra
    per ore, per lunghe giornate
    però non ce la faccio
    ghermito come sono
    dal giro turbinoso delle cose.

    Procedo al buio sul ponte di foglie
    tenuto in piedi da fragili canne:

         sotto c’è il mare
         attraversato dal fiume.

da Il fiume nel mare, LietoColle, 2010

 

Mario Santagostini

    Mai capito del tutto
    se è stato andate via, o tornare.
    Nemmeno se i segni
    erano quelli visti all’entrare o all’uscire
    di città: le spianate,
    discariche,
    i controviali, i fossi lerci
    d’acque coloratissime,
    teli di plastica,
    macchie di benzina sulla Martesana,
    camion che rallentano,
    molto che ricorda il sonno.

    Sera: chi ha fatto qualcosa,
    adesso non sa se è stato bene, o male.

da Versi del malanimo, Mondadori, 2007


    *

    La località è ancora periferica, ma ha già un nome bellis-
    simo: Paradiso dei coltellinai.
    Aggiungo: qui è indistinguibile chi è l’osservatore, chi
    l’osservanza. Chi Mario Santagostini, chi no...
    Come se tutto ( e a questo punto i due o tre migliori indica-
    no davvero tutto) fosse Dio, se stesso e chi manca...

da L’olimpiade del ’40, Mondadori, 1994

 

Franco Loi

    Mia via Teodosio, oh füm di gent antìgh!
    La Cisa che sciavatta ne la palta,
    Carissimi che ciucch regala el pan,
    el Malaspina, Marchiun, el bun Segàla
    e la Lia sarta, la Lina cunt i can...
    E amô de név recordi quèla sera
    cun la Carluccia, Marialuisa in Wildt
    da quèl fiurista che vendeva i arbur
    e nüm che vém nel scür tea i stell de sass...
    Uh, ne la nott la név sota la luna!
    e quèl tasè di strâd pien de sperans,
    câ che fànn lüs, i vöj rümor luntan
    - rümor che rìvien tra i culmègn di câ,
    i piatt di lampedin ch’j pend dal bianch
    di fil che curr süj marciapè desert -
    e nüm cuj facc refrés tra abièss che dunda
    ai strâd repòrtum memoria del duman...
    E amô de Meri nel sò giardin che varda
    tra i secch di ramm e i cachi che pend tund
    e mì cun lé a ciciarà de l’aria
    drè de la müra spessa de la curt
    - ah la mia curt sota la név de sera!
    curt de bumbâs, i tecc che van luntan,
    i àrbur biott che pàren pien de verd
    e l’aqua del trumbìn stecca de giass...
    E pö l’Enrica, el Bertin, l’Ivana,
    al bajaffà de név nel giögh di ball... (*)

Dall’antologia Poeti per Milano, a cura di A. Gaccione, Viennepierre, 2002

(*) Mia via Teodosio, oh fumo di genti antiche! / La Cisa che ciabatta nella palta, / Carissimi che ubriaca il pane, / e Malaspina, Marchionni, il buon Segàla / e la Lia sarta, la Lina con i cani... / E ancora di neve ricordo quella sera / con Carluccia e Marialuisa in Wildt / da quel fiorista che vendeva alberi / e noi che andiamo al buio tra le stelle di sasso... / Uh, nella notte la neve sotto la luna! / e quel tacere delle strade piene di speranze, / case che fan luce, i vuoti rumori lontani / rumori che arrivano tra i comignoli delle case, / i piatti con le lampadine che pendono dal bianco / dei fili che rasentano i marciapiedi deserti / e noi con le facce raffrese tra gli abeti che dondolano / alle strade riportiamo la memoria del domani... / E ancora di Mery nel suo giardino che guarda / tra il secco dei rami e i cachi che pendono tondi / e io con lei a chiacchierare dell’aria / dietro il muro spesso della corte / ah la mia corte sotto la neve di sera! / corte di ovatta, i tetti che s’allontanano, / gli alberi spogli che paiono pieni di verde / e l’acqua del lavabo stecca di ghiaccio... / poi l’Erica, il Bertino, Ivana, / il confuso sbraitare sulla neve nel gioco delle palle....

 

Maurizio Cucchi

    L’uomo della Bovisa non poteva immaginare
    che il suo avvenire, così presto,
    sarebbe diventato preistoria.
    Torna e rimugina quei nomi: la Società Smeriglio,
    l’Officina del Gas e scopre come un monumento
    la torre di mattoni altissima,
    dove di dentro gli operai
    si arrampicavano.

    In un oblio forse sognante, quei diroccamenti
    e le navate al sole o nella palta,
    gli immensi alberi strani contro il cielo, nelle refezioni,
    gli insegnano la muta dignità delle rovine.

da Poesia della fonte, Mondadori, 1993


romano.miriam@tiscali.it