Bisogna per forza di cose partire di lì, da Aragon: Il grande sacerdote della poesia francese, era conosciuto non solo per il pensiero e i versi ma per la generosità e il fiuto nello scoprire talenti. Nella prefazione al primo libro del giovane Delouze (Souvenir de la Maison des mots, 1972), Aragon ebbe a scrivere mentre già avanzava l’età: «Ecco una voce nuova che ascolto crescere, affermarsi, trionfare di se stessa: un primo libro, ai miei occhi, resta dopo questa mia lunga vita, una cosa sempre commovente, una nascita dell’uomo…
Di Marc Delouze, si deve imparare il nome, come altre volte imparammo Nerval o Rimbaud. Qualcosa qui comincia. Qualcosa di cui non vedrò affatto la fine. Ma che ho fretta di anticipare, con le ultime forze della mia età.»
Nella biografia di Delouze si scopre che dopo il primo libro vi furono molti anni di silenzio. Ma di sicuro si sarà trattato d’un silenzio “abitato” poiché, in seguito diede origine a una scrittura dalle risonanze multiple. Seguendo le orme del suo maestro, la poesia, per il poeta parigino è innanzitutto un atto di resistenza, ed ecco allora ch’essa si scrive in concomitanza con la vita che è politica, incontri, scambi culturali. E viaggi. Molti viaggi, non certo per turismo ma per incontrare l’altro, per non invecchiare sul pianerottolo degli editori e «per guardare il mondo con l’occhio del gatto».
Il «poète par la force des choses» (poeta per destino) nasce, come già accennato, a Parigi, nel diciottesimo arrondissement ma guai, a parlargli di radici: con ironia cita Brassens, il quale detestava «quegli imbecilli che sono nati da qualche parte». E la cosa pare una boccata d’aria fresca in un momento in cui la Francia da parecchio tempo si arrovella in dibattiti infiniti sulla famigerata Identité culturelle.
«Disarmato / ma non inquieto», così egli scrive di sé e questa sua forza / fragilità, insieme a un impegno costante nel ricercare la salvezza dal naufragio della coscienza diventa elemento predominante della sua poetica: «Come se / infatti / bastasse / guardare».
Poeta in dialogo – dicevamo – spesso con un Altro o con gli altri, con gli assenti, con il sacro, con una donna, e sempre alla ricerca della «sorgente come idea fissa» o di un «sogno di sorgente ribelle / dove annegare». In mancanza di sorgente, egli ha imparato non solo che cos’è la sete, ma soprattutto che cos’è lo spazio che divide gli esseri. Spesso si rivolge alla poesia con amore e tormento. Scrive, infatti, con inchiostro-lacrima: «Les mots / en fin de compte / ont fait de moi / un juge» (Le parole / in fin dei conti / hanno fatto di me / un giudice).
Ciò che importa a Marc Delouze è dimostrare che si può essere poeti non solo perché ci si innamora delle parole ma per il fatto che la poesia va vissuta come esperienza densa e interrogativa del linguaggio e del pensiero, come costruzione di valori.
POESIE DI MARC DELOUZE
PAROLE PERDUE
Tes mots sont des petits objets fragiles et grossiers, les caillots de tes yeux, les bulles brunes de ton ventre. Je joue avec comme s’il s’agissait de mes larmes. Ma mémoire n’y trouve plus de quoi s’y ressourcer.
Tu as usé ton corps à toutes les réponses. Aujourd’hui la question se pose lourdement sur tes épaules fatiguées tandis que ton corps s’enlise dans l’antique gadoue des paroles.
Gorge pleine à vomir des radieux avenirs qui pourrissent. Je bavarde je braille et bafouille et vacille. Je fuis. Je pourrais me tuer – n’était cette parole perdue que je m’obstine à ne pas avaler.
(Mon père meurt)
PAROLA PERDUTA
Le tue parole sono piccoli oggetti fragili e grossolani, i grumi dei tuoi occhi, le bolle brune del tuo ventre. Gioco come si trattasse delle mie lacrime. La mia memoria non vi ci trova più di che rigenerarsi.
Hai consumato il tuo corpo a tutte le risposte. Oggi la domanda si pone pesantemente sulle tue spalle stanche mentre il tuo corpo sprofonda nell’antico letame delle parole.
Gola piena fino a vomitare dei radiosi ricordi che marciscono. Io chiacchiero, sbraito, farfuglio e vacillo. Fuggo. Potrei uccidermi – non fosse per questa perduta parola che mi ostino a non inghiottire.
(Mio padre muore)
L’HOMMAGE DES NUAGES
1.
Une parole mauve Sur le glacier du ciel l’immense frottis de givre imite une chevelure crantée. Dans la Cappadoce du visage la bouche jadis gourmande ne mange plus les mots ni ne happe la vie. Éventé le champagne de l’œil.
(A Abidine Dino, in memoriam, Cimetière de Villejuif, 13/12/93)
L’OMAGGIO DELLE NUVOLE
1.
Una parola malva. Sul ghiacciaio del cielo l’immensa velatura di brina imita una capigliatura a onde. Nella Cappadocia del volto la bocca un tempo ghiotta più non mangia le parole né ghermisce la vita. Svaporato lo champagne dell’occhio.
(A Abidine Dino, in memoriam, cimitero di Villejuif, 13/12/93)
2.
Là-haut lentement les nuages rampent vers leur destin qui est de disparaître. C’est pour ça qu’ils sont beaux, qu’on les aime. Ils font la pluie et le beau temps.
2.
Lassù lentamente le nuvole strisciano verso il loro destino che è di sparire. È per questo che sono belle, che le amiamo. Fanno la pioggia e il bel tempo.
*
Le vent
*
Il vento
*
Difficile d’observer l’ombre des nuages la nuit d’en gouter le mystère. Difficile dans la pleine lumière de savourer la douleur des non-réponses. Chaque matin le jour à la fenêtre. Chaque matin le monde le reprend. Non l’aube n’est pas un poème mais la prison des yeux. Le poème est une serrure noire.
*
Arduo osservare l’ombra delle nuvole la notte gustarne il mistero. Arduo in piena luce assaporare il dolore delle non-risposte. Ogni mattino il giorno alla finestra. Ogni mattino il mondo lo riprende. No l’alba non è una poesia ma la prigione degli occhi. La poesia è un nero chiavistello.
*
Le philosophe ne s’est pas envolé. S’est écrasé sur le bitume aux merdes de chien. Une tache de sang séché où les bottes des brutes pataugent. L’armée noire de l’ignorance fait mouvement.
(A Gilles Deleuze, in memoriam, 20 novembre 1995)
*
Il filosofo non ha spiccato il volo. Si è franto sul selciato lordato dai cani. Una macchia di sangue asciutto dove gli stivali dei beoti sguazzano. La nera armata dell’ignoranza fa movimento.
(A Gilles Deleuze, in memoriam, 20 novembre 1955)
*
Que mourir soit partir beaucoup pas de tombe pas de tombe
pas de racines
une source pour mes cendres n’importe où
mais une source
où partir
vraiment partir
*
Che morire sia partire molto nessuna tomba nessuna tomba
niente radici
una sorgente per le mie ceneri ovunque
ma una sorgente
dove partire
partire davvero
TU CROIS PARTIR TRES LOIN
un désir fou de voyager te soulève. Tes omoplates se déploient comme des ailes. Ne te retourne pas ferme les yeux tu pétris l’air qui file entre tes doigts. Ne te retourne pas. Ouvre les yeux : les ailes de ton dos sont là oui devant toi la cible est déjà contenue dans la flèche.
CREDI DI PARTIRE MOLTO LONTANO
Un folle desiderio di viaggiare t’innalza. Le tue scapole si dispiegano come ali. Non voltarti chiudi gli occhi impasti l’aria che fila tra le tue dita. Non voltarti. Apri gli occhi: le ali della tua schiena sono lì sì dinanzi a te il bersaglio è già contenuto nella freccia.
LES OBJETS
font de toi cette armoire où le réel est entassé plié naphtaliné. Tu crois que c’est dedans et quand c’est dedans tu crois que c’est dehors et tu ressors nu comme Adam et tu dis : mais comment ? Tu ouvres ainsi crois-tu les portes. Et si c’était la porte qui t’ouvrait ? Et quoi et qui à l’intérieur ? Ce qui te pénètre ? Ce qui t’échappe ?
GLI OGGETTI
fanno di te questo armadio dove il reale è impilato piegato naftalinato. Tu credi sia dentro e quando sei dentro credi sia fuori ed esci di nuovo nudo come Adamo e dici: ma come? Tu apri così credi le porte. E se fosse la porta ad aprire te? E cosa e chi all’interno? Ciò che ti penetra? Ciò che ti sfugge?
TAIS-TOI
rien qu’un instant tais-toi. Écoute. Écoute très fort. Écoute le bruit de ce qui se tait en toi ce qui remue quand tu es immobile pourrait surgir… Ne bouge pas. Tu marches. Tu t’arrêtes. Tu te baisses. touche du doigt dis tu sens pas ? Ça bat sous la terre sous la peau de la terre ça bande doucement une vague allant-venant. Laisse-toi pénétré Laisses-toi pénétrant
TACI
solo un istante taci. Ascolta. Ascolta fortissimo. Ascolta il rumore di ciò che tace in te ciò che muove quando sei immobile potrebbe sorgere… Non muoverti. Tu cammini. Ti fermi. Ti chini. Tocchi col dito dici non senti? Vi è battito sottoterra sotto la pelle della terra v’è calma erezione un andirivieni d’onda. Abbandonati penetrato Abbandonati penetrante.
DANS LA FOULE ANONYME
Il faudrait parfois s’inquiéter. Où sont passés la courbe de l’épaule le creux du bras la veine bleue du sexe le genou tendu la cambrure du pied ? Ne sont plus que des mots, des mots comme ça perdus dans le dédale des rues et des correspondances. Assis au bord de ton regard, tu aimes à croire le monde simple. Devant la forme simplifiée du monde mesure le compliqué de ton regard.
NELLA FOLLA ANONIMA
Talvolta bisognerebbe preoccuparsi. Dove sono finiti la curva della spalla l’incavo del braccio la vena azzurra del sesso il ginocchio teso l’arco del piede? Non sono più che parole, parole così perse nel dedalo delle strade e delle corrispondenze. Seduto sull’orlo del tuo sguardo, ami credere al mondo semplice. Davanti alla forma semplificata del mondo misura la complessità del tuo sguardo.
*
Une plage de sable blanc. Les débris d’un piano noir torturé tendrement. La mer, le sable. L’une façonne l’autre et l’autre calme l’une. Le sable meurt en de larges festons à l’instant même où naît la mer. Tu poses le bout de ton doigt sur cet instant précis. Tu crois toucher ta mort. Tu écoutes le piano de la mer. La musique est belle, si belle. La musique n’est pas simple. Toi non plus.
*
Una spiaggia di sabbia bianca. I rottami d’un pianoforte nero teneramente torturato. Il mare, la sabbia. l’uno plasma l’altro e l’altro rasserena l’uno. La sabbia muore in larghi smerli nell’istante stesso in cui nasce il mare. Tu posi la punta del tuo dito su questo preciso istante. Credi di toccare la tua morte. Ascolti il pianoforte del mare. La musica è bella, così bella. La musica non è semplice. Neppure tu.
*
Tu dis : la pierre est dure, il me faut l’être aussi. Le regard traverse le cristal tu rêves ainsi de traverser la pierre. Ton regard est dur, trop dur. Ton regard n’est pas le tien. Il y a quelque part en toi un œil vide. Qu’il s’offre enfin.
*
Tu dici: la pietra è dura, anch’io debbo esserlo. Lo sguardo traversa il cristallo così sogni di traversare la pietra. Il tuo sguardo è duro, troppo duro. Il tuo sguardo non è il tuo. Da qualche parte in te vi è un occhio vuoto. Che finalmente si dona.
*
Incorrigible tu es toujours quoi que tu dises dans l’angle aigu d’un triangle de femme.
Tu danses autour pour mieux voir au travers. Tu feras flèche ainsi de toute transparence.
*
Incorreggibile sei sempre qualunque cosa tu dica nell’angolo acuto d’un triangolo di donna.
Danzi attorno per meglio vedere attraverso. Così farai freccia d’ogni trasparenza.
da T’es beaucoup à te croire tout seul
*
ils étaient les époux des lèvres molles des nuages et leurs baisers les brisaient de désir ils étaient les époux des oiseaux qui griffaient le drap du ciel dans leur plaisir aléatoire ils étaient les époux des enfants effrayés et moqueurs qui leur jetaient des pierres comme des cris ils étaient les époux des cailloux comme des fruits tombés à leurs genoux ils étaient les époux des arbres qu'ils semblaient imiter mais c'était le contraire ils étaient les époux des collines fardées de bleu de mauve de rosée pareilles à des épaules courtisanes ils étaient les époux du vent
*
erano gli sposi labbra molli delle nuvole e i loro baci li spezzavano dal desiderio erano gli sposi degli uccelli che graffiavano le lenzuola del cielo nel loro piacere aleatorio erano gli sposi dei bambini spaventati e scherzosi che gettavano loro delle pietre come grida erano gli sposi delle pietre cadute come frutti ai loro piedi erano gli sposi degli alberi che fingevano d’imitare ed era invece il contrario erano gli sposi delle colline truccate d’azzurro di malva di rugiada simili a spalle di cortigiane erano gli sposi del vento
*
l’épée des hommes est passée frappant de taille et de fureur rasant les arbres sur la joue de la terre comme le sabre d’un barbier fou clouant l’oubli sur le ventre prégnant des collines arrachant les pattes des oiseaux qui tombèrent comme les cils du ciel meurtrissant la glaise grise des nuages écorchant les cailloux et les faisant saigner comme des genoux d'enfants arrachant la mémoire du vent
*
la spada degli uomini è passata colpendo di taglio e di furore radendo gli alberi sulla guancia della terra come la sciabola d’un folle barbiere inchiodando la dimenticanza sul ventre gravido delle colline strappando le zampe degli uccelli che caddero come ciglia dal cielo ferendo l’argilla grigia delle nubi lacerando le pietre e facendole sanguinare come ginocchia di bambini strappando la memoria del vento
da Epouvantails, ou le veuvage du vent (23 versi su 23 foto di spaventapasseri abbandonati da contadini palestinesi)
Traduzione dal francese di Viviane Ciampi
Marc Delouze è nato a Parigi nel 1945. Vive tra La Goutte d’Or (Parigi) e la Puisaye (Borgogna). Poeta e viaggiatore «per destino». Dopo la prima raccolta nel 1971, Souvenir de la Maison des Mots (preceduta da Par manière de Testament, con prefazione di Louis Aragon), rifiuta di «fare il poeta» e lascia che s’instauri un silenzio editoriale d’una ventina d’anni duranti i quali lavora alla ricerca di nuovi supporti d’espressione poetica collegati alle città di oggi: spettacoli di strada, poesia musicale, finché, nel 1982, crea l’associazione Les Parvis Poétiques organizzando eventi, festival, esposizioni sonore, letture-spettacolo. Creatore e animatore del Festival Permanent des Poésies nel diciottesimo arrondissement di Parigi dal 1990. Co-fondatore e consigliere letterario del festival di poesia Les Voix de la Méditerranée, a Lodève.
- Souvenirs de la Maison des Mots, preceduto da Par manière de Testament, Ed. Messidor / Temps actuels, 1971 (prefazione di Louis Aragon)
- Anthologie de la poésie hongroise contemporaine, Ed. Messidor / Temps actuels, 1978
- Poèmes de Younous Emre, Publications Orientalistes, 1973
- T'es beaucoup à te croire tout seul, poème, La passe du vent, 2000
- La Diagonale des Poètes, essai, La passe du vent, 2002
- L'homme qui fermait les yeux sans baisser les paupières, récit, Le bruit des autres, 2002
- Epouvantails, poèmes, Lanore-littérature, 2002
- Rue des martyrs, récit, Le bruit des autres, 2003
- Dames de chœur, récit, Le bruit des autres, 2004
- Yeou, Piéton des Terres poème, La passe du vent, 2007
- C’est le monde qui parle, récit, Verdier, 2007
- 14975 jours entre, Poésies en phases terminales, Ed. La passe du vent, 2012
viviane.c@alice.it
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