Talvolta le bambole sono così perfette che sembrano un dono fatto all’infanzia per festeggiare l’avvento della stessa infanzia sulla terra. Ma chi le protegge?
Le bambole, come le persone, invecchiano, si ammalano, si feriscono. Può accadere persino che muoiano di morte violenta. A meno che, un miracolo…
I miracoli hanno luogo per mano di un ‘chirurgo’ di nome Jean-Jacques Neerink.
L’artigiano restauratore vive in Francia, a Limoges (la città delle porcellane) a due passi dalla bella cattedrale dove ‘cura’ bambole, in particolare quelle antiche, fino a rimetterle in vita.
Arrivano da lui con fratture multiple, corpi decapitati, occhi sbriciolati, “perché una bambola è la cosa più delicata del mondo”.
Jean-Jacques guarisce le sue ‘figlie’ con pinze, pennelli da restauro, forbici, sgorbie, ago, filo, bottoni. Nessuno lo ha mai visto senza una di quelle creature in mano, nel misterioso atelier che assomiglia più a una sala operatoria che a una vera e propria bottega. Il suo è un artigianato che miscela talento e poesia: con pazienza smisurata, spietata, egli smonta, rimonta, entra dentro le teste.
La sua mano ruvida si posa su quella piccolissima della bambola, quasi bianca. Ecco che infila nuovi occhi, fissa gambe al tronco, annoda, lima, imparrucca, fa sparire cicatrici.
Ora bisogna scegliere i colori giusti.
Non dare troppo rosso sugli zigomi.
Riempire fessure.
E colmare un vuoto.
Scuote il capo ogni tanto Docteur Jean-Jacques. “Non, ça ne va pas”. Non è mai del tutto soddisfatto.
Quando ha finito sta lì, tra i rintocchi dell’antica campana, come Mastro Geppetto, fuori e dentro dal tempo.
Il delicato volto di porcellana pare dirgli grazie. Domani Mademoiselle sarà pronta e tornerà nelle mani di un antiquario venuto dall’estero.
Altre signorine la invidiano. Nessuno può dire che cosa fanno quando Jean-Jacques abbassa la saracinesca.
Lei ha dedicato la sua vita alle bambole…
È una passione che risale a circa cinquant’anni fa, quando bambino giocavo nel retrobottega di mia nonna. Quello era un mondo speciale poiché lei riparava antichi giocattoli, automi, orsi di peluche, bambole d’ogni tipo che collezionava e restaurava. E anche mia madre lo ha fatto per quarant’anni. Io ero sempre lì: osservavo, aiutavo, andavo dagli antiquari e robivecchi per cercare stoffe speciali che potessero adattarsi alle bambole.
Lavora anche su antichi documenti?
Su antichi documenti, su vecchie fotografie, sui ricordi delle persone e la mia esperienza personale fa il resto. Spesso si tratta non solo di bambole con valore affettivo ma anche di bambole molto antiche, di ottima fattura e quindi di grande pregio poiché sono parecchio ricercate dagli antiquari e dai collezionisti. Non posso permettermi errori.
Ci sono segreti del mestiere, immagino.
Sì, a volte si tramandano da generazione a generazione. E c’è la pratica.
Dico sempre che non amo ‘operare’ le mie bambole sotto gli occhi della gente.
Ricorda episodi particolari legati al suo mestiere di artigiano restauratore di bambole?
Ogni bambola è legata a una storia particolare, la parte più affascinante sono gli incontri.
(mentre parla resta a testa bassa, non smette di lavorare…)
Ripenso a una signora partita dalla Francia da piccola con i genitori per andare in Algeria. All’età di vent’anni, come molti francesi d’Algeria dovette fare il viaggio all’incontrario, lasciando ogni bene per via della guerra. La bambola restò in quel Paese con grande rimpianto della proprietaria che però, con buona intuizione, vi aveva scritto il nome e cognome dentro. Passarono molti anni da quegli infelici eventi quando un giorno fu chiamata al telefono da una signora che aveva comprato la casa della sua infanzia e aveva trovato la bambola nascosta in un angolo.
Come mai la bambola finì sul suo ‘tavolo operatorio’?
In Algeria, la bambola era sopravvissuta all’incendio della casa. Capelli e vestiti ormai bruciati. Restava qualche lembo e ho potuto rimetterla in vita secondo una foto e il ricordo della signora. Aveva le lacrime agli occhi quando le ho ridato la bambola tale e quale a quando era bambina.
Un grazie a Jean-Jacques Neerink, titolare de “La clinique des poupées” (storica bottega della città di Limoges), per la collaborazione.
Le foto sono di Lino Cannizzaro.
viviane.c@alice.it
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