FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 23
luglio/settembre 2011

Vulcani

 

BOCCANERA, PALMA REALE
Poesia come ricerca delle radici

di Marco Testi



Quando si finisce di leggere Palma Reale di Jorge Boccanera (Edizioni Fili d’Aquilone, 2011) si ha l’impressione di essere alla fine di un tunnel, quello della poesia come ostensione dell’autoreferenzialità dolente dell’io ipertrofico, se non fosse che il continente poesia non è un blocco unico ma piuttosto un mosaico fatto di frammenti di tessere.
In questo volume, edito prima in Spagna nel 2009 e poi in Argentina (dove Boccanera è nato nel 1952 da famiglia di immigrati italiani), il poeta infatti non solo pone, ma risponde – e una risposta poetica non può non essere individuale, anche se le sue radici attingono agli archetipi, altrimenti non avremmo più né poesia né arte in genere – ad una congerie di lamentele, soliloqui, esequie ed affini praticati da certa poesia, fatta di dubbio sull’esistenza, di crisi come eredità del moderno, mentre invece di crisi esistenziale abbiamo tracce proficue già in Cavalcanti, per dirne una, senza andare alle vertigini – cronologiche – di Saffo. Ha fatto bene Oscar Palamenga, in una recensione a Sordomuta, precedente raccolta poetica di Boccanera (vedi per questo il numero 10, aprile-giugno 2008), a parlare di una tradizione nobilitata dalle inquiete domande pirandelliane sulla natura e la realtà della parola: tradizione che rischia di diventare tòpos rassegnato e ripetitivo se non si esce dall’impasse egotica.

Riandare a Pirandello non è stato un vuoto esercizio colto, ma ha fatto comprendere che ci sono alcuni autori moderni in grado di essere all’altezza – non per imitazione o per estenuazione terminale – del canone, come, appunto Boccanera. Ma bisogna fare attenzione, perché a tutta prima, fin dal titolo, si potrebbe pensare ad un esercizio esotico e datato, visto che, tra l’altro, il poeta ha vissuto a lungo in Costa Rica, luogo di foreste lussureggianti, mentre invece Palma Reale rappresenta un esercizio di fuoriuscita dall’io lamentante attraverso il distacco da sé.
Intendiamoci: questo distacco non è il solo passaggio importante del poema, perché altrimenti staremmo a parlare di un procedimento di proiezione, mentre qui assistiamo alla pienezza del rapporto uomo-natura, con passaggi ulteriori di circolarità e movimento all’interno del rapporto creature-creazione. Il problema delle parole è risolto da Boccanera con il riferimento ad un tu che stavolta è la natura, ma questo tu si inarca nella forza di gravità che piega ogni cosa intorno alla creazione, finché la seconda persona non diventa un noi avviato alla comunione con il tutto:

      Siamo appena un brandello di brezza questo pomeriggio di
      ottobre a Tortuguero (…)
Già da questo lacerto, un vero e proprio frammento (operato dal critico, il che dimostra che la poesia risponde di sé anche quando è tagliata e mutilata) ci si accorge che qui la lirica ha preso strade diverse da quelle di certo occidente, se si fa qualche attuale eccezione, Bonnefoy, o Szymborska, per esempio, e per fortuna non solo loro. Il movimento è divenuto incessante, la parola non è più oggetto staccato, frammento perduto di molteplice, ma realtà stessa, rinunciando alla tentazione occidentale di staccarsi dal tutto, il che era già una bella botta di hybris.
La foresta non è più richiamo ad avventure, neppure viaggio mancato baudelairiano, o compiuto di Rimbaud e Campana, ma riconoscimento, pacificazione – provvisoria, sorte data all’uomo – atto di umiltà culturale, oltre che individuale, perché diviene madre del movimento incessante di ogni cosa, e la madri talvolta si perdono, si maledicono, si cercano. Si ha l’impressione che la dimensione di questa poesia sia quella equorea, amniotica e comunque tendente alla liquidità vischiosa che, secondo il Mann della Montagna incantata doveva essere alla radice di ogni cosa:
      Viaggio verso i suoi occhi.
      Porto un bambino sciolto nella saliva.
La non razionalità di alcuni passi poetici è l’essere cosa stessa, l’affondare alle radici del pre-logico, dove l’unico mondo possibile è quello dell’indifferenziato. Così gli indicatori testuali come i verbi e gli articoli diventano desueti, se a regnare è il senso di abbandono al tutto, se a dominare è la fusione che non sopporta distinzioni troppo nette:
      Lo dice il papero-ago, macchia azzurra, ali nere becco chiacchierone, volo indolente.
Siamo di fronte ad un procedimento che in altri tempi avremmo chiamato pànico, in cui l’andamento frastico si purifica del superfluo, e dice ciò che deve essere detto: in quel deve si legga la traduzione del greco ànanke, necessità dell’accadimento. Ma mentre nella letteratura classica la necessità si manifestava nell’azione degli uomini, regolata dal fato, qui la necessità è riconoscimento dell’unità di ogni cosa, e tentativo non di dire, ma di entrare nella circolarità con suoni che sono ancora tracce di distinzione, ed ecco l’infelicità della separazione della parola, di cui parlavamo in apertura.
Questo singolare viaggio verso il riconoscimento della natura di ogni molteplicità è testimoniato dalla assunzione di responsabilità antropologica, prima che psicologica, del posto da assegnare alla morte:
      Mi centra questo acquazzone, mi collega all’anello perso
      e a una bara più ampia di questi anni stretti.
È una poesia che si avvicina al senso religioso, profondamente religioso, del compimento: assunzione di responsabilità dentro l’infinita varietà di un ordine la cui la comprensione ultima ci è esclusa, ma che partecipiamo nella cosa più importante, la vita:
      All’interno della parola “mogano”, tutto diventa silenzio.
      La foresta ti respira, la respiri. Cicale nella bocca
      della tigre e pietre ululanti, (…)
Siamo alla fine, e per coerenza con il nostro – e quello del poeta – discorso, torniamo circolarmente all’inizio. Abbiamo ascoltato la risposta delle cose del mondo agli annunci di crisi, di fine, di morte di tutto, dal mondo al romanzo alla poesia. Il poeta Boccanera vi viaggia attraverso, sapendo che le cose nascondono e svelano, svelano e nascondono, in questo gioco di danza originaria, che non è solo induista. Le dice senza timore, perché la necessità è anche in questo dire, in questo aprire al mondo affinché anche il mondo fin da ora apra e sveli alcuni dei suoi segreti. Eccolo il ruolo delle parole, cose del mondo.


Jorge Boccanera, Palma reale, a cura di Alessio Brandolini, introduzione di Juan Gelman, Edizioni Fili d’Aquilone, Roma 2011, 147 pagine, 13 euro.




QUATTRO POESIE DI JORGE BOCCANERA
da Palma Reale


I

La selva está hecha a lápiz, punta fina
sobre papeles rotos, garabatos que se alzan en el aire y
                         [cajitas de música y el oso perezoso.
Una lágrima verde rueda sobre la lengua del jaguar.
Tierra tatuada, selva
con la palma en el centro que en un aire de reina
despliega su penacho, su cabellera de hilos, su serena ebriedad.
Abajo, el viento junta restos del universo.


I

La foresta è fatta a matita, punta fine
su fogli stracciati, scarabocchi che si sollevano in aria e
                                             [carillon e il pigro orso.
Una lacrima verde ruota sulla lingua del giaguaro.
Terra tatuata, foresta
con la palma al centro che con un’aria da regina
distende il pennacchio, la chioma di fili, la sua serena ebbrezza.
Sotto, il vento congiunge i resti dell’universo.


II

Junco con el turbante desmañado y fruta en el penacho.
La Palmera,
faro del bamboleo,
bengala de cabeza reflejada en el río.
Su cabeza de pólvora ¿en qué piensa?
Arde viajando en su quietud.
Cuenta un naufragio en catedrales de hojas.
Calla una historia entre un temblor y un sueño.
Hay un niño que piensa construirla,
amarrando una estrella el extremo de un palo.


II

Giunco dal maldestro turbante e frutta nel pennacchio.
La Palma,
faro oscillante,
bengala a capofitto riflesso nel fiume.
Che pensa la sua testa di polvere da sparo?
Avvampa viaggiando nella sua quiete.
Racconta un naufragio in cattedrali di foglie.
Tace una storia tra un tremore e un sogno.
C’è un bambino che pensa d’innalzarla,
ormeggiando una stella all’estremità di un palo.


III

No habrá trago más fuerte que el corazón disuelto
de la selva. Hecho polvo lo guardo en los pulmones.
Va dormido, molido y en cenizas.
Hay un ángel expulsado del cielo: es el bosque.
Rueda con sus antorchas de silencio, sus pastizales altos,
sus martillos que trozan las verdes telarañas.
No hay más lugar que sus lugares.
Es un dios que no es nadie. Y es un dios.


III

Non ci sarà sorso più forte del cuore disciolto
dalla selva. Distrutto lo conservo nei polmoni.
Va addormentato, tritato e incenerito.
C’è un angelo scacciato dal cielo: è il bosco.
Gira con le sue silenziose torce, i suoi alti pascoli,
i suoi martelli che fanno a pezzi le verdi ragnatele.
Non c’è altro luogo che i suoi luoghi.
È un dio che non è nessuno. Ed è un dio.


IV

La rosa es una máscara,
oculta el rostro de la selva,
barro verde.
Furia que no envejece.
Como la respiración contenida de un dios.
Lo que no es selva es ruina.


IV

La rosa è una maschera,
nasconde il volto della foresta,
fango verde.
Collera che non invecchia.
Come la respirazione trattenuta di un dio.
Quello che non è foresta è rovina.



Traduzione dallo spagnolo di Alessio Brandolini




JORGE BOCCANERA
nasce nel 1952 a Bahía Blanca, precisamente nel porto di Ingeniero White, a sud di Buenos Aires, dove vive una numerosa popolazione di immigrati italiani. Nel 1962 si trasferisce con la famiglia nella capitale argentina. I suoi nonni paterni sono di origine italiana, provengono da Recanati. Dopo il colpo di stato militare (marzo 1976) è costretto all’esilio nel giugno dello stesso anno. Durante la feroce dittatura soggiorna a lungo in Messico e in Centroamerica. Torna in Argentina nel 1984. Alla fine del 1989 si trasferisce in Costa Rica e vi resta fino al 1997. Attualmente vive in un paese della provincia di Buenos Aires. Collabora a periodici e riviste, sia in Argentina che all’estero e tiene corsi universitari sulla poesia. Ha diretto «Nómada», rivista bimestrale di cultura e poesia.
Nel 1976 ha ottenuto per la poesia il Premio “Casa de las Américas” a Cuba e nel 1977 il “Premio Nacional de Poesía Joven”, in Messico. Suoi testi sono presenti in varie antologie di poesia ispanoamericana e sono stati tradotti in diverse lingue.
Ha pubblicato i libri di poesia: Los espantapájaros suicidas (1974, Argentina), Noticias de una mujer cualquiera (1976, Perù), Contraseña (1976, Cuba), Poemas del tamaño de una naranja (1979, Perù), Música de fagot y piernas de Victoria (1979, Messico), Oración (para un extranjero) (1980), Contra el Bufón del Rey (1980) – gli ultimi tre libri riuniti in Los ojos del pájaro quemado (1980, Messico) –, Polvo para morder (1986, Argentina), Marimba (antologia, 1986, Argentina), Sordomuda (1991, Costa Rica), Antología poética (1996, Argentina), Zona de Tolerancia (antologia, 1998, Argentina), Bestias en un hotel de paso (2001, Argentina), Antología Personal (2001, Argentina), Poemas (antologia, 2002, Argentina), Servicios de insomnio (antologia, 2005, Spagna), Palma Real (2008, Spagna, VIII Premio Casa de América de Poesía Americana), Tambor de jadeo (antologia, 2008, Costa Rica), Jadeo del viaje (CD/ Jorge Boccanera en su voz, 2008, Messico), Cuaderno del Errante (antologia, 2009, Messico), Sombra de dos lugares (antologia, 2009, Colombia).

Nel 2008 è stata pubblicata in Italia la raccolta poetica Sordomuta (a cura di Alessio Brandolini, LietoColle, Premio Camaiore 2008 - sezione Internazionale).
Ha scritto anche testi per il teatro e canzoni musicate da importanti artisti (Mercedes Sosa, Silvio Rodríguez), poi raccolti in La poesía es un mal necesario. Ha pubblicato libri di saggi, tra i quali: Confiar en el misterio (1994, sull’opera di Gelman) e Sólo venimos a soñar (1999, Messico, sull’opera di Luis Cardoza y Aragón). Tra i volumi di prosa si segnalano: Malas compañías (1997), Tierra que anda. El exilio de los escritores (1999), Redes de la memoria. Escritoras ex detenidas (2000), La pasión de los poetas (2002).


testi.marco@alice.it



Vedi anche, sul num 14:
Jorge Boccanera, Palma Reale
di Alessio Brandolini