FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia
Numero 10
aprile/giugno 2008

Identità & Conflitto

FIENO

di Michele Governatori



L'ultimo tratto di strada in salita era coperto da lastre bombate di ghiaccio e ghiaia buttata sopra per far salire le macchine.

Mi sono fermato dai Forgon per salutarli e chiedere se a casa era tutto in ordine, soprattutto l'acqua e il riscaldamento, e le varie cose che in montagna d'inverno danno problemi.

La moglie di Erio Forgon ha aperto la porta e mi ha salutato affacciandosi fuori. Ha visto Susi in macchina e probabilmente si è accorta che non era Simona. Ha chiamato suo marito, che è emerso dal buio della stanza e mi ha invitato a entrare per un tè.

Gli ho risposto che preferivamo salire subito a casa, per via di Susi che era stanca. Forgon ha dato un'occhiata anche lui, e Susi ha fatto un mezzo cenno dal finestrino appannato.

La macchina ha slittato un po', ma alla fine siamo riusciti ad arrivare in cima. Susi è scesa fuori con una faccia di sollievo e ha osservato le tre palazzine a forma di baita. Le guardava come se non capisse cos'erano.

Poi mi ha chiesto qual era il mio appartamento.

Era strano arrivare di mattina, col sole bianchiccio che schiariva la neve e lasciava chiazze scure di marrone dove si era sciolta.

Ho iniziato a salire le scale esterne mentre Susi dietro ansimava e sbatteva le scarpe in terra a ogni passo. Bisognava costeggiare il vecchio cortile che conoscevo bene dai tempi di Simona e del nostro gruppo, e che adesso però era silenzioso senza neanche una voce.

Susi mi ha chiesto se c'era un ascensore da qualche parte, o un passaggio interno per salire fino in casa.

No, non c'era. Gliel'ho detto, e ho indicato i gradini dove mettere i piedi.

Faceva abbastanza freddo, mi sono fermato per allacciare meglio la giacca e ho notato che le finestre delle baite erano quasi tutte chiuse.

Quando ho aperto la porta l'ho tenuta spalancata con il braccio in modo da lasciar passare Susi per prima. Lei allora ha fatto due passi nell'ingresso, poi ha appoggiato la valigia e si è guardata intorno.

C'era un odore di freddo chiuso. Ho visto sulla credenza un portadocumenti che credevo di aver perso e mi sono avvicinato a guardarlo.

"Carino qui" ha detto lei. Ma non ha aggiunto altro.

Ho aperto le finestre e anche la porta del balcone, per fare entrare un po' d'aria da fuori e mandare via quella che c'era dentro, e intanto Susi cercava spazio libero nell'armadio del soggiorno.

Ha notato una foto con me e Simona e i nostri amici di quando sciavamo insieme. Ha sollevato il portafoto per indicarmela, ma io ho risposto con un cenno di sorriso senza importanza.

A quel punto si è sentito qualcuno che camminava di sopra. Probabile che fossero arrivati anche i vicini, al che ho proposto di salire a salutarli.

Lei però preferiva prima mettere un po' in ordine.

"Da quanto tempo hai questa casa?" ha chiesto con ancora in mano la foto.

Non ero sicuro che qualcuno avesse parlato. Le ho spiegato che dovevo passare in cantina a prendere certe cose, poi mi sono messo i guanti e sono uscito.

Sono passato da dietro per raggiungere la scalinata che va nel sotterraneo. Ho girato la chiave nella serratura quasi gelata, poi sono entrato nel corridoio che aveva lo stesso identico odore di muffa raffreddata di sempre.

Ho pensato che non cambiava mai niente dei miei gesti, e che invece le persone intorno a me adesso erano tutte diverse, e che la familiarità che avevo verso ogni pezzo di quel posto, oramai, era una questione soltanto mia.

Quando sono rientrato c'era Susi che armeggiava con il rubinetto del gas. Voleva cucinare qualcosa. Allora le ho fatto vedere dov'era la valvola da sbloccare.

"Da quando il gas si chiude da dietro il divano?" ha chiesto.

"Da sempre" ho detto io.

Lei era stanca, così all'inizio del pomeriggio, una volta messa a posto la roba e preparato il letto, è andata a dormire.

Io allora sono uscito per una passeggiata.

Ho deciso di salire verso un gruppo di case sul lato più erto della valle dove abita solo gente del luogo. Sono più fienili che case, in realtà, fatti con tronchi grezzi intrecciati e sporgenti, quasi come un modellino di fiammiferi ingrandito fino alle dimensioni naturali.

Camminavo sulla crosta di ghiaccio depositata sul sentiero e c'era un sole ormai pallido che tagliava tutto di lato. Di fianco, dalle porte di legno delle baite uscivano certe file di orme già un po' cancellate che in alcuni punti facevano vedere l'erba secca sotto alla neve.

Il sentiero poi andava avanti parecchio, ma io lo conoscevo già, e ho pensato che tanto valeva mettermi seduto su un pezzo di tronco.

C'era un profumo di resina identico a quello di molti anni prima, che avevo sentito insieme a Simona e a tutto il gruppo di quel periodo, e probabilmente sarebbe rimasto identico anche dopo dieci o vent'anni, dopo un secolo, e con lui anche le baite, il sentiero gelato e le case giù in valle.

Vicino a dove avevo i piedi era sopravvissuto un ciuffo d'erba secca. L'ho strappato e me lo sono messo in bocca come ho sempre fatto.

Aveva il sapore familiare del fieno, ma non sapevo chi potesse ricordarlo insieme a me.

Il racconto "Fieno" è stato pubblicato nell'antologia Mutazioni (Giulio Perrone Editore 2008, a cura di XoMeGap).


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Vedi anche, sul n. 6
Michele Governatori, La città scomparsa
di Alessio Brandolini